Toxic Positivity
Il lato oscuro del #AndràTuttoBene

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“Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi “felice”.

Mi dissero che non avevo capito il compito e io dissi loro che non avevano capito la vita.”

(John Lennon)

La felicità è una ricerca interminabile.

Una spinta, una speranza, un sogno e a volte una possibilità.

La felicità non è scontata o meritata a priori, è un compito che dura una vita intera.

Nei tempi dei grandi filosofi come Epicuro veniva raccontata la fatica dietro il continuo esercizio di scelta che precede la felicità, una felicità che, sottolineavano, si coltiva nella semplicità, nelle relazioni autentiche, nella curiosità, nella consapevolezza della propria mortalità e dello scorrere del tempo.

Nei tempi di oggi, socialmente – ancor prima che individualmente –  siamo spinti ad allontanare ogni fatica.

Se devo faticare, è meglio non fare” è un’equivalenza che ci muove inconsapevolmente.

E allora non facciamo o fuggiamo dalla fatica e dal compromesso.

Nelle relazioni, ad esempio, è molto frequente. Alcuni pazienti – come molti di noi – sognano un amore da favola che non ha nulla a che vedere con un amore possibile (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “Psicodinamica degli amori impossibili- relazioni di coppia tra realtà e immaginario”). Rappresenta  una relazione idealizzata e plasmata sulla propria idea di storia perfetta che, come il principe azzurro o il principe ranocchio, in realtà non può esistere. Ci si difende dentro l’idea di una storia perfetta per sfuggire alla fatica della relazione, la fatica del compromesso e dell’incontro con l’altro.

È un meccanismo di gran lunga più semplice pensare “Non è la persona adatta a me” piuttosto che lottare e faticare per quelle emozioni e quei sentimenti intensi che si provano che non sono – fortunatamente – soltanto positivi, ma anche negativi.

Nell’amore maturo, superata la fase dell’innamoramento e dell’idealizzazione dell’altro, si incontrano le sue parti scomode, quelle che non ci piacciono, quelle che talvolta odiamo e si entra in contatto con la rabbia, la tristezza e altre emozioni negative più complesse senza fuggire.

Le relazioni sono anche un “lavoro” e dobbiamo tenerlo a mente, come lo è, forse, l’intera felicità.

Nei tempi di oggi, socialmente – ancor prima che individualmente – siamo spinti a rigettare i sentimenti negativi, dolorosi, angoscianti, difendendoci mostrando uno stato di felicità, positività e ottimismo in verità non autentico, ma illusorio.  

In rete spopolano contenuti che ci parlano di questa dimensione.

Sono innumerevoli le foto e i video sui social che raccontano esperienze di vita entusiasmanti, corpi perfetti, situazioni, amori e famiglie da favola. Vite da copertina costruite ad hoc.

Non è solo il mondo degli influencer, dei mental coach o dei diet coach, ma è un meccanismo che coinvolge tutti. Ognuno di noi mostra sui social la realtà che vuole mostrare e spesso si tratta di una realtà che brilla. Sappiamo razionalmente che non è tutto oro quello che luccica, ma quando osserviamo online la vita dei nostri amici felici, vediamo in quelle condivisioni la realtà.

La realtà è per noi la felicità mostrata, una felicità che in quel momento diamo erroneamente per scontata sull’altro, ma che probabilmente non sentiamo vera allo stesso modo in noi. Sono comuni pensieri come “Perché lui ha tutto, mentre io non riesco in niente. Sono proprio uno sfigato”, come diretta conseguenza di un movimento sociale di negazione della sofferenza quale è la Toxic Positivity.

Per Toxic Positivity, o positività tossica, si intende una condizione di felicità e di ottimismo espressa socialmente in maniera generalizzata  e a-contestualizzata.  È la sindrome del giullare, l’ostentare la felicità a tutti i costi, il meccanismo difensivo della vita da copertina, del “pensa positivo” o del caro e famoso “andrà tutto bene”. Una difesa, per gli psicologi, simile alla “formazione reattiva” che allontana i sentimenti negativi e angoscianti,  amplificando e mettendo in scena esattamente l’opposto.

Questa positività fake,  ci induce a nascondere le emozioni negative poiché non contempla alternativa alla positività e a mettere in scena un nostro falso sé; la repressione dei vissuti negativi genera frustrazione e nuove emozioni negative. Ne conseguono sentimenti di sfiducia, perdita di autostima e sensazione di fallimento e uno stato di frustrazione per l’impossibilità di esprimere il dolore, l’insoddisfazione, l’impotenza, la paura, la rabbia…

È chiaro come non basti fare pensieri positivi o scrivere “Stay Positive” come stato su Facebook per diventare in automatico felice.

La positività tossica non ha a che vedere con il sano ottimismo, una predisposizione psicologica a considerare favorevole il corso degli eventi, valutando la realtà nel suo lato migliore. Essa non ha nulla a che vedere con la realtà, è un’ottimismo auto-imposto, non autentico e difensivo che si propaga dentro l’illusione che la felicità sia una condizione di base dell’essere umano, uno stato naturale, una dimensione che esiste in maniera innata e che è nel potere dell’uomo attivare.

In altre parole ciò che viene teorizzato come “la trappola della felicità”: la rincorsa della felicità come obiettivo di vita e come unica  e totalizzante possibilità emotiva, irrealistica, che fa cadere in un vortice di sofferenza e insoddisfazione.

La felicità è una conquista fatta di attimi, momentanea come tutte le emozioni, che si alterna ad altri vissuti.  

Per ogni su, c’è sempre un giù” cantava il saggio Merlino ne La Spada Nella Roccia.

Per essere felici in quegli attimi, dobbiamo lavorare. Ma come?

Lavorare per avere uno spazio o delle relazioni in cui poterci sentire anche infelici, frustrati, delusi, arrabbiati… e poterne parlarne senza averne paura, vergognarsi, sentirsi in colpa, reprimere le emozioni ed isolarsi e senza rischiare di ricevere una pacca sulla spalla, una rassicurazione sterile o un andrà tutto bene.

Lavorare per uscire dall’ottica del valutare le emozioni come giuste o sbagliate: ogni emozione , anche quella più negativa, ha il suo significato. Come InsideOut ci racconta: senza Tristezza, Gioia non avrebbe ragione di esistere.

Lavorare per accettare di essere fragili e meno fighi di quanto vorremmo essere. Imparare ad essere Robin, smettere di sognare di essere Batman (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “Ode a chi sa perdere – Nessuno vuole essere Robin”) ed accedere a vissuti tristi e depressivi, senza avere paura di morirne.

Lavorare per una felicità possibile.

Dott.ssa Emanuela Gamba 

Psicologa, Psicoterapeuta e Esperta in Psico-oncologia

Riceve su appuntamento a Roma- zona Prati

tel. (+39) 389.2404480

mail. emanuela.gamba@libero.it

Per Approfondire:

-Epicuro, “Lettera sulla felicità”, Ed Einaudi

-Harris R. (2010) “La Trappola della Felicità”, Erickosn

-“Il Sosia- The Double” (2014) – Film di R. Ayoade

-“InsideOut”  (2015) – Film di animazione della Disney-Pixar

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