Lettere della Psicoanalisi. I come Inconscio

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Prima di iniziare vorrei fare una premessa: questo breve articolo non vuole affrontare la tematica dell’inconscio né da un punto di vista teorico né didattico, ma bensì l’intenzione è quella di rilevare e sottolineare due aspetti della letteratura sull’argomento che emergono quando la si affronta. Questi aspetti sembrano riferirsi e comunicare qualcosa rispetto all’oggetto stesso di studio: l’inconscio.

Il termine “inconscio” – e il concetto a cui esso si riferisce – è entrato nella vita di tutti i giorni sin da quando il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, ne ha fatto un oggetto di ricerca sistematica. Gli stessi Laplanche e Pontalis nella loro “Enciclopedia della psicoanalisi” (1967) evidenziano che se si volessero riassumere le scoperte freudiane in una parola sola essa sarebbe proprio l’inconscio.

L’importanza di questo concetto all’interno della psicologia clinica e teorica è tale che è stato ripreso e utilizzato da diversi orientamenti, anche molto diversi tra loro, tanto che ad oggi si può dire che è uno di quelle terminologie trasversali a quasi tutti gli orientamenti che studiano la mente umana. Probabilmente infatti, sono pochi i ricercatori e gli studiosi di psicologia che non riconoscono che parte del funzionamento mentale vada oltre il dato cosciente. Siamo sicuri tuttavia che quando parlano di inconscio si riferiscono alla stessa cosa?

Se si legge un po’ di letteratura sull’argomento quello che si nota è che è molto difficile tenere insieme tutte le osservazioni e i diversi punti di vista che sono state fatte che per la loro diversità appaiono non integrabili e a volte anche contraddittori. I punti di vista sono molteplici e spesso il termine inconscio viene utilizzato in riferimento a dei concetti anche molto differenti tra loro.

Tuttavia questo non ci deve spaventare, per il fatto che probabilmente ci sta indicando qualcosa dell’oggetto di studio, cioè che per inconscio si intende qualcosa che per definizione non è completamente conoscibile e probabilmente non lo sarà mai. Questo significa che l’inconscio ha come condizione di esistenza logica proprio il fatto di non essere pienamente spiegabile e trasformabile, altrimenti perderebbe la sua natura aperta, il suo linguaggio e la sua ricchezza.

Un altro aspetto spinoso che si riscontra dell’argomento in questione, strettamente connesso al precedente, è che gli anni trascorsi di riflessioni e di lavoro clinico da parte di chi si è occupato di questo concetto non hanno affatto semplificato e chiarito le cose, ma anzi le hanno complicate, con il risultato che arrivare ad una definizione univoca e condivisibile di cosa sia questo inconscio appare impossibile da delineare nonostante l’evidenza della sua presenza e importanza ad esempio nella clinica ma non solo, universalmente accettata.

Probabilmente anche questo aspetto riguarda un’altra caratteristica dell’inconscio da tenere presente e cioè il fatto che esso stesso possa essere considerato una riserva quasi inesauribile di sensi e significati (Cfr A. Green 1983) e che per questo motivo esso viene spesso associato a ciò che in parte caratterizza, se le cose vanno bene, la natura umana: la sua creatività e le forme ad essa associate.  L’inconscio infatti, viene spesso associato all’energia psichica, in quanto fonte o natura stessa, e in effetti una esperienza comune di chi passa attraverso il congegno psicoanalitico e che viene spesso riferita soprattutto in una prima fase di analisi, è la percezione dell’aumentare delle proprie energie psichiche.

In conclusione, ricordiamoci che qualsiasi processo che cerca di rendere cosciente l’inconscio, prima o poi deve scontrarsi contro un muro proprio per la natura dell’inconscio stesso, in tal senso non è possibile dire tutto sull’inconscio.

Questo metaforico “muro” tuttavia deve essere concepito non come un limite in negativo, ma bensì qualcosa che parla dello sviluppo della soggettività umana e del desiderio che ognuno di noi porta dentro di sé. Mi riferisco al desiderio di desiderare, quella spinta corporale che a volte ci fa un po’ soffrire, ma che in parallelo ci muove verso una apertura di qualche tipo e ci fa pensare con un po’ di gratitudine: “sono vivo”.

Dott. Leonardo Provini

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leonardoprovini123@gmail.com

Per Approfondire:

Recalcati (2020) Critica della ragione psicanalitica

Cimino (2020) Tra la vita e la morte. La psicoanalisi scomoda

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