Toxic Masculinity. Liberarsi dell’uomo violento
Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace Onlus in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/
In una vignetta dell’artista Pat Carra di qualche anno fa due donne conversano sul divano: una dice “Si parla tanto di violenza sulle donne” e l’altra “così non si parla di violenza degli uomini”.
È da qua che vorrei partire: c’è un gran volume di letteratura su chi siano le donne sopravvissute alla violenza, quale trauma infantile abbiano vissuto, perché non se ne siano andate prima da quella relazione (sono forse masochiste? dipendenti affettive?), perché denuncino così tardi (o perché non denuncino proprio), perché non tutelino i/le figli/e, perché fossero vestite in quel modo (se la sono andate a cercare) eccetera eccetera eccetera.
Ma se capovolgessimo la questione e pensassimo che la violenza sulle donne non sia un problema esclusivamente femminile?
In quanta letteratura quotidianamente ci imbattiamo che affronti il tema dell’autore della violenza? Non parlo di quando un certo giornalismo definisca “gigante buono” l’uomo che ha ucciso la propria ex compagna, o del vicino che dice che il tizio in questione era una così brava persona (salutava sempre) o ancora il “raptus di gelosia”. Parlo invece di letteratura che esplori contesto, cause e motivazioni maschili alla violenza.
D’altronde, se in Italia una donna su tre è vittima di una qualche forma di violenza (Istat, 2014), un uomo su tre è autore di violenza.
In realtà c’è un filone di letteratura che esplora le origini della violenza sulle donne dal punto di vista maschile, ma (purtroppo) fa meno notizia. Questo è il motivo per cui ho scelto di approfondire questo tema in una rivista di psicologia divulgativa come Il Sigaro di Freud.
Qual è quindi l’identikit di un uomo autore di violenza?
Partiamo dall’abbattere qualche stereotipo in merito, a titolo esemplificativo.
• Gli uomini violenti sono uomini poco istruiti. Falso. I dati dicono che gli uomini violenti hanno un profilo trasversale alle categorie economico-sociali, culturali, religiose, al grado di istruzione e di professionalità.
• È violento perché ha una patologia psichiatrica. Falso. È forse la patologia psichiatrica a rendere violenti? Tutte le persone con patologia psichiatrica sono forse violente?
• È violento perché fa uso di alcol, cocaina etc. Falso. Tutte le persone sotto l’effetto di alcol, cocaina etc. sono forse violente? Molte persone, sotto l’effetto dell’alcol o di una sostanza, rimangono non violente. L’alcol, o sostanze eccitanti come la cocaina, disinibiscono l’autocontrollo, rivelando quindi quello che c’è sotto.
Se queste motivazioni non reggono, allora perché l’uomo è violento? Perché la percentuale di uomini violenti è così alta?
La lettura che mi piacerebbe proporre in questa sede è una lettura di tipo culturale.
Il patriarcato è un modello che hanno respirato da sempre non solo le donne, ma anche gli uomini. Questo modello si fonda su una disparità, un’asimmetria nella vita quotidiana e quindi anche nella coppia, dove il potere è sbilanciato a favore del maschile.
I modelli culturali sono un patrimonio che riceviamo in eredità dall’ambiente familiare e sociale nel quale nasciamo e ci sviluppiamo. Non li scegliamo e non li possiamo scegliere. Ma qualcosa possiamo fare: possiamo assumerli e identificarci con questi, possiamo ribellarci e rifiutarli completamente, oppure possiamo osservarli quando li mettono in pratica le persone che ci circondano, testarli, vedere se funzionano, se corrispondono all’idea che abbiamo di noi e della persona che vogliamo diventare, e quindi personalizzarli: tenere qualcosa dal modello ricevuto, rifiutare qualcos’altro, sperimentare qualcosa di nuovo, rendendo quindi questi modelli “a misura di sé”.
Il modello patriarcale offre una serie di privilegi al mondo maschile e spesso è più difficile mettere in discussione un modello se ci si trova in una posizione di vantaggio.
Quando parliamo di modello patriarcale, facciamo riferimento al concetto di “toxic masculinity” introdotto negli anni Ottanta dallo psicologo americano Sheperd Bliss con i suoi studi per una nuova definizione della mascolinità.
In psicologia si parla di mascolinità tossica facendo riferimento a una serie di rigide regole culturali sulla mascolinità che sono lesive per la società e per l’uomo stesso. È l’insieme degli stereotipi che definiscono l’uomo come un essere dominante nella società, spesso con derive di misoginia e omofobia che diventano tossiche nel momento in cui promuovono comportamenti violenti come abusi sessuali o femminicidi.
L’uomo deve essere colui che porta i soldi a casa, colui che è forte e non crolla mai, colui che nella paternità è sbilanciato sulla dimensione pratico/normativa (meno coccole, più garage), colui che nella chat di calcetto “non fa la checca” ma condivide e fa commenti osceni a video in aria di pornografia (nella sezione in calce “Per approfondire”, rimando a un interessante articolo sul tema delle “chat di calcetto” in merito al fatto di cronaca recente del video hot diffuso senza consenso della maestra di Torino) eccetera eccetera.
Ho volutamente stressato il profilo di questo “uomo tipo” per poter sottolineare lo stereotipo sotteso che (sono consapevole) potrebbe generare insofferenza fastidio e rabbia, per evidenziare un aspetto: la mascolinità diventa tossica quando si cristallizza su un ruolo di genere che non permette una libera esplorazione ed espressione di sé.
Questo, associato a una povera educazione emotiva e all’affettività, già carente per entrambi i generi, ma addirittura scoraggiata quando si parla di maschile, e ad un arroccamento narcisistico, decisamente in linea con la nostra società, dove l’altro (in questo caso l’altrA) non esiste se non in funzione di me, prepara un terreno assai fertile all’emersione della violenza nei confronti delle donne.
Il problema della forza del modello della mascolinità tossica è che non esiste un modello alternativo altrettanto forte per il mondo maschile.
I modelli in generale sono odiosi perché a lungo andare imprigionano, ma in una fase complessa come quella dello sviluppo, in cui si cercano degli appigli da cui partire per la costruzione della propria identità, anche quella di genere, è fondamentale offrire ai ragazzi la possibilità di un’identificazione con un modello non disfunzionale e non orientato alla violenza.
Ma, una volta che abbiamo definito questo scenario, come agire?
Innanzitutto è fondamentale riconoscer l’esistenza di questo modello e comprenderne le origini.
Poi, è fondamentale che di questo problema del modello unico si interroghino ed occupino gli uomini, o almeno gli uomini per primi. Un po’ come è avvenuto per le battaglie femministe: sono nate dalle donne esasperate da un modello femminile (quello patriarcale) insopportabilmente scomodo e, una volta avviata la battaglia, donne e uomini l’hanno portata avanti insieme.
Infine, la formula è una e semplice: l’educazione emotiva e affettiva.
Educarsi all’ascolto di sé, conoscere e riconoscere le proprie emozioni, imparare a gestirle (soprattutto quelle negative) ed esprimerle in maniera consapevole, educare all’ascolto dell’altro (e dell’altra) e all’empatia, educare al conflitto sano e paritario. Questo permetterà al maschile di esprimersi in tutte le singolarissime sfumature che può acquisire.
Infine, per fortuna, nonostante i modelli duri a morire, sempre più uomini, nella società odierna, si stanno prendendo la responsabilità di fare qualcosa per questa situazione (di seguito il link all’interessante associazione “Maschile plurale”), prendendosi il diritto e la libertà di creare uno mille centomila modelli di maschile non tossico.
Ph.D., Psicologa, Psicoterapeuta
Riceve su appuntamento a Perugia e Roma
(+39) 349 5887485
Per Approfondire:
Associazione Maschile Plurale: https://www.maschileplurale.it/info/
Bliss, Shepherd (1995). “Mythopoetic Men’s Movements”. In Kimmel, Michael S. (ed.). The Politics of Manhood: Profeminist Men Respond to the Mythopoetic Men’s Movement (And the Mythopoetic Leaders Answer). Philadelphia: Temple University Press
Fornaro M. (2014) “Narcisismo e società. Per un’integrazione interdisciplinare”. In “Sociologia n. 2/2014. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali – Culture politiche in mutamento.
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