La tirannia della bellezza. Ode alla libertà
“Io non sono una bella ragazza, quindi è molto probabile che non trovi un partner”.
Prendo in prestito queste parole da una mia paziente per affrontare un tema più che mai attuale: la bellezza è forse una virtù? La virtù è una disposizione d’animo volta al bene, quindi implica una volontà o un’azione in una direzione positiva, appunto, virtuosa. La risposta alla domanda è quindi: no, la bellezza non è una virtù.
Potremmo quindi archiviare l’argomento, potrei dare una risposta chiara e rassicurante alla paziente e chiudere agilmente l’articolo.
Eppure, nonostante la bellezza non rappresenti una virtù, sembra che nella nostra società abbia un ruolo cruciale. Perché?
Elena di Troia è nota nella storia non per la sua intelligenza, saggezza, benevolenza, giustizia. Rappresentava invece un’icona di bellezza, e questo il suo fascino viene considerato causa dell’omonima guerra. Ma perché la bellezza di questa donna provocava queste conseguenze? Da sempre l’essere umano s’interroga sul tema della bellezza.
Nell’antica Grecia si pensava che la bellezza fosse legata alle cosiddette proporzioni “auree”.
Plotino introdusse il concetto di simmetria tra le parti.
Il concetto di simmetria tra le parti, in particolare tra la parte destra e la parte sinistra del viso, è stato approfonditamente studiato, sia nel mondo animale che tra gli esseri umani. Le femmine di rondine preferiscono maschi con code più lunghe e simmetriche, così come le zebre si accoppiano con maggiore frequenza con il maschio che ha le strisce nelle gambe posizionate simmetricamente.
Secondo i ricercatori, la logica dietro la preferenza di simmetria negli esseri umani come negli animali è che questa sia indicatrice di geni più resistenti, quindi foriera di prole con maggiore probabilità di resistenza in condizioni avverse.
Molte ricerche svolte sulle preferenze degli esseri umani, trasversalmente alle diverse culture, confermano che il medesimo volto viene considerato più attraente se simmetrico, anziché con dettagli asimmetrici.
La bellezza non ha vantaggi soltanto evoluzionistici, ma anche sociali.
Il cosiddetto “effetto alone” prevede che le persone tendono ad aspettarsi che una persona che risulta bella ad una prima impressione, debba necessariamente avere anche altre caratteristiche positive.
Una meta-analisi americana ha rilevato come gli studenti più belli, americani e non, tendono ad essere giudicati dagli insegnanti come più competenti e intelligenti, ed hanno quindi più probabilità di ricevere un voto positivo.
Uno studio inglese ha rilevato una differenza dal 10 al 15% nei guadagni fra le persone più belle e meno belle di un gruppo, che si traduceva in una differenza, a vantaggio dei belli, di 224mila euro di guadagno nell’arco della vita.
A questo punto, sembrerebbe che abbiamo una risposta (di triste conferma) all’affermazione della paziente.
Però, a pensarci bene, essere belli non porta soltanto vantaggi.
Ad esempio, spesso capita che una donna bella possa essere considerata una “minaccia” nell’ambiente di lavoro, sollecitando il pregiudizio sessista per cui ciò che probabilmente ha ottenuto è frutto dei servigi offerti o attesi da lei, anziché delle sue competenze e dei suoi sacrifici.
Quindi, chi vince nella competizione tra il partito belli e non-belli?
Un giorno ho letto una frase in un romanzo (non ricordo quale, né l’autrice, ricordo solo che l’autrice fosse donna) che diceva più o meno così: come sarebbe il mondo se ci vedessimo per come siamo dentro anziché per come siamo fuori? Gli equilibri rimarrebbero forse gli stessi?
La domanda retorica lascia spazio ad un’interessante riflessione: quanto conta lo sguardo nell’altr* nella nostra definizione?
Nasciamo e sopravviviamo solo se visti, pensati, amati. È alla base della teoria dell’attaccamento. Lo sguardo dell’altr* è fondamentale per confermare la nostra esistenza, che dovrà prima essere confermata esternamente, ma dovrà poi arrivare a rispondere a leggi interne. Ognuno con le proprie.
La ricetta da seguire è una: fare quello che ci fa stare bene, senza danneggiare l’altro.
Quindi: chissenefrega dei canoni di bellezza, che peraltro variano come variano le mode (la Venere del Botticelli non somiglia certo ad Emily Ratajkowski). Non è una virtù, non è una scelta, non può essere l’unico criterio di valutazione nel mondo esterno, a meno che non siamo noi a permetterlo.
Quindi, cara paziente, via libera a tutto: il pelo sotto l’ascella per non dover sottostare alla schiavitù della depilazione, la chirurgia plastica per modificare quello che non sopportiamo…
A patto che sia guidata da un mantra: lo faccio per stare bene con me. Non per te.
Sarà bello avere compagn* di viaggio, se vorranno stare al nostro fianco (senza volerci cambiare). Altrimenti, impareremo a ballare da sol*.
dott.a Giulia Radi
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giulia.radi@hotmail.it
Per Approfondire
Bowlby J. (1988) Una base sicura. Raffaello Cortina Editore
Lemma A. (2011) Sotto la pelle. Psicoanalisi delle modificazioni corporee. Raffaello Cortina Editore