Scienza e sovrannaturale. Dalla psicologia alla religione

Una professione di curatori laici di anima i quali non hanno bisogno di essere medici e non dovrebbero essere sacerdoti” 

Sigmund Freud

Il primo passo è quello di chiedersi: Cosa è la psicologia della religione? Essa è una disciplina che si radica nell’osservazione e nell’interpretazione scientificamente psicologica della religione delle persone: l’insieme delle idee, delle credenze e dei comportamenti di coloro che aderiscono ad una religione o che la rifiutano.

La Psicologia della Religione ha radici profonde che, seppur non molto conosciute, rivelano quanto nel tempo gli psicologi si siano interrogati circa il fenomeno religioso nel comportamento del soggetto. E’ altresì doveroso sottolineare che non studia la religione ma il credente ovvero l’uomo e il suo atteggiamento verso la religione nel senso dell’adesione di fede e del rifiuto ateo. Pertanto, come per qualsiasi altro approccio empirico in psicologia, la Psicologia della Religione si pone come ambito di studio e di ricerca circa il vissuto psichico di un individuo verso la religione presente nel contesto socio-culturale in cui il soggetto ne fa esperienza, sia nel senso di una adesione di fede che del suo rifiuto. Infatti, la religione, intesa come fenomeno culturale, si inserisce nella vita del soggetto intrecciandosi con il suo sviluppo psichico: l’interazione tra dimensione psichica del soggetto e dimensione socio-culturale determina le vicende dell’identità, sia in senso religioso che di rifiuto della fede. In questo senso, la psicologia non può affermare che l’individuo sia naturalmente orientato verso la religione o, al contrario, naturalmente irreligioso: l’approccio psicologico osserva come l’individuo possa diventare religioso in una propria cultura con una propria religione; oppure come, invece, non lo diventi. Perciò, è la natura del processo del divenire religioso (o ateo) che la Psicologia della Religione indaga.

L’identità religiosa (ma anche l’identità atea) è un’identità psicologica e si contraddistingue per i medesimi processi che regolano la formazione dell’identità psichica di una persona. Pertanto, allo psicologo della religione importano i processi, le dinamiche, i percorsi, i conflitti che l’individuo affronta nel diventare o meno una persona religiosa. Il compito fondamentale è quello di comprendere le motivazioni dell’atteggiamento degli individui verso la religione, analizzando anche i fattori inconsci della personalità, sia in senso ampio del termine sia in senso propriamente psicoanalitico.

La religione, dunque, non è patogenica di per sé mentre è vero che personalità patologiche possono trovare modo e canali di espressione della propria patologia in tutti gli ambiti della loro vita quotidiana. In linea di principio, quindi, si dovrebbe dire della religione come di tanti altri fenomeni culturali che se può far ammalare può far anche guarire. Ma da un punto di vista clinico questo cosa significa? Che cosa è una religione? È una vita di tutta la persona fatta di idee, sentimenti e azioni simboliche in relazione con potenze soprannaturali più o meno personali che si crede agiscano sul mondo e sulla persona in particolare in risposta a quelle preghiere e alle azioni rituali. Per i soggetti religiosi sono le potenze soprannaturali che rendono malati o che guariscono. L’osservatore moderno che non condivide la fede nella religione così considerata, prende le distanze e formula un’interpretazione psicologica dicendo che è la convinzione religiosa che esercita la sua influenza attraverso dei processi psicosomatici. Per i cristiani dei tempi moderni, invece, la questione si pone diversamente: il Dio personale non fa ammalare e, se si crede che egli possa guarire, si è sempre più prudenti nell’indicazione di un’azione soprannaturale terapeutica. In altre parole, il credente può confidare che Dio agisca in favore della salute psichica ma si tratta di una fede e non di un’osservazione empirica. Il cristiano è comunque consapevole che, nel caso di una vera e propria patologia, l’azione di Dio non si sostituisce alla psicoterapia. 

La psicologia della religione si qualifica anche per l’oggetto di studio proprio che non è la religione ma la persona religiosa o, per meglio dire, l’insieme dei processi psichici attraverso i quali il soggetto si relaziona con la religione-ambiente lungo tutto il percorso di costruzione della propria identità personale, sia nel senso di adesione di fede sia in quello del rifiuto ateo; è anche per questo che non si può dire se una religione sia sana o malata perché né la religione né la salute mentale esistono da sole ma solo nell’esperienza del soggetto. La salute o la patologia psichica così come l’atteggiamento religioso, la fede o la non credenza sono espressioni della persona e sono osservabili solo all’interno dei percorsi del soggetto. In altre parole, ciò che interessa davvero è il processo di riscrittura autobiografica del sistema culturale e linguistico-simbolico della religione. 

Ma quale è il ruolo dello psicologo? egli si limita ad osservare il rapporto che l’individuo intrattiene con una entità trascendente postulata e vissuta come presenza significativa nella vita del soggetto. Lo psicologo, quindi, è interessato alla religione professata dal soggetto, il quale indicherà la religione oggettiva a cui si riferisce in un contesto culturale. L’atteggiamento dell’uomo verso la religione (nella direzione della non-credenza o in quella dell’adesione di fede) interpella lo psicologo non sul piano dei contenuti ma su quello dei percorsi e processi in gioco. Non si può mai prescindere dal significato culturale che la condotta religiosa assume in quel contesto; l’uomo sviluppa la sua religiosità entro la rete di interrogativi che scaturiscono da esperienze esistenziali. Studiare le vicissitudini determinate da esperienze conflittuali e dalla loro soluzione è il modo migliore per cogliere sentimenti, rappresentazioni e strutture sottostanti che sono corresponsabili della situazione di religiosità e non. 

Per concludere vorrei fare un piccolo cenno al cosiddetto odio ispirato dal fanatismo religioso. Questa tragedia dell’umanità interpella anche il mondo degli psicologi e li richiama alla responsabilità del loro contributo alla realizzazione del benessere sociale. Ma interpella in modo particolare gli psicologi della religione perché un’ ideologia che si ammanta di religione e trasmette il disprezzo per la vita propria e altrui costituisce una deriva non solo della religione ma dell’umanità. 
Abbiamo perso per sempre la nostra innocenza, ma la fiducia dell’uomo di comprendere l’altro non deve venir meno.

Dott.ssa Giulia Ingrosso

Psicologa in Abruzzo

mail: Giulia.ingrosso9@gmail.com

Per approfondire:

Aletti, M. L’illusione religiosa: rive e derive. Centro scientifico editore, 2001.


Aletti, M. (1994). Religione o psicoterapia? Le ragioni di un confronto. In M. Aletti, Religione o psicoterapia? Nuovi fenomeni e movimenti alla luce della psicologia. Roma: LAS.


Aletti, M. Percorsi di psicologia della religione alla luce della psicoanalisi. II edizione, 2010. ARACNE editrice.

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