La Sentinella di Brown. Quando il diverso è dentro di noi

“Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata subito guerra; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano 50mila anni‐luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso, la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame…”

Questo è un estratto del racconto di fantascienza Sentinella (Sentry) di Fredric Brown del 1954. È considerato, a livello mondiale, un classico della fantascienza ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1955 con il titolo Avamposto sul pianeta X.

Il racconto gioca molto sul colpo di scena finale dove il lettore, dopo essersi immedesimato nel protagonista, scopre che in realtà si parla di un alieno che ha appena ucciso un essere umano. La storia ci suggerisce l’importanza di dare valore ai diversi punti di vista. Proviamo empatia per la sentinella protagonista perché prova le nostre stesse sensazioni fisiche (freddo e fame), e le stesse emozioni che proveremmo al suo posto (la malinconia nello stare lontano da casa). Il tutto cambia dopo aver scoperto il finale.

Quante volte ci ritroviamo in situazioni simili? Ovvero credere di stare dalla parte giusta per poi scoprire che stiamo sbagliando? Quante volte proviamo affinità ed empatia per persone che ci sembrano così vicine a noi, per poi scoprire, dopo un po’ di tempo, che in realtà sono una specie di alieni?

Spesso i nostri errori di valutazione sono dettati da un nostro modo sbagliato di porci davanti a determinate situazioni, come se volgessimo lo sguardo verso dettagli che riteniamo fondamentali ma che, in realtà, non fanno altro che distrarci da un senso più profondo.

Riprendendo il racconto di Brown possiamo leggere abbastanza facilmente anche il senso di ritenere ciò che è diverso da noi il nostro nemico, dal quale dobbiamo difenderci e verso il quale provare paura e timore. Capovolgendo il punto di vista, però, possiamo vedere come i due personaggi della storia, in realtà, rappresentino praticamente la stessa cosa. Entrambi sono lontani da casa, hanno paura, vorrebbero essere da un’altra parte e stanno combattendo una guerra che entrambi ritengono giusta. A parte, dunque, per l’aspetto fisico, sono praticamente identici.

Sottolineo questo aspetto perché mi è d’aiuto nel riprendere il discorso precedente relativo ai nostri errori di valutazione. Prima di giudicare qualcuno, valutare una situazione, esprimere decisi i nostri bisogni credendoci nel giusto, imboccare una strada piuttosto che un’altra, elogiare o criticare eccessivamente una persona. Prima di tutto questo, dovremmo fare i conti con il diverso che è dentro di noi.

Cosa vuol dire?

Spesso siamo orientati a rapportarci con l’esterno basandoci su quello che vediamo e la nostra esperienza diretta. Questo comportamento, però, è influenzato e filtrato dal mondo interiore che abbiamo costruito nell’arco della nostra vita e, a volte, è un mondo scomodo che non vogliamo accettare fino in fondo (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo Fare vuoto per pensare – La meditazione). Spesso, infatti, al nostro interno, ci sono immagini di noi stessi, bisogni, desideri che rifiutiamo o cerchiamo di allontanare perché non li troviamo giusti, perché pensiamo possano farci del male o metterci in cattiva luce davanti al mondo che ci circonda. Ovviamente, con questo, non sto dicendo che dovremmo sempre tirare fuori tutto quello che sentiamo o ci passa per la testa, sarebbe un comportamento altrettanto dannoso. Fare i conti con le parti scomode e, volendo, pericolose di noi stessi è quello che intendo quando parlo di affrontare il diverso che abbiamo dentro.

Accettare i propri limiti, accogliere le proprie difficoltà o non criticarsi troppo quando siamo delusi da noi stessi, è un modo per migliorarci e rafforzare la nostra persona. Dovremmo evitare, a differenza dei protagonisti del racconto, di “sparare” contro ogni cosa che non ci piace. Superare i primi giudizi può aprirci a un mondo di sorprese, soprattutto se lo sguardo è rivolto verso noi stessi. Potremmo scoprire nuovi interessi, desideri, bisogni o risorse che non immaginavamo neanche di avere. Ovviamente non  è un percorso semplice e potremmo aver bisogno di un aiuto professionale per riuscire a superare determinati blocchi. Ciononostante iniziare a mettere in discussione i propri pensieri, chiedersi realmente se quello che facciamo, in ogni campo, ci fa stare bene, aprirci alle nostre parti più oscure, è un primo passo per influenzare, positivamente, le nostre capacità di scegliere, di prendere decisioni, di decidere le persone affini di cui circondarsi.

Riassumendo, far si che alieno e umano, anziché combattere, posino il fucile e si abbraccino.

“La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza.” – Gregory Bateson –

Dott. Luca Notarianni

Riceve su appuntamento a  Roma

cell. 3804739760

email: luca.notarianni@alice.it

Per approfondire

Fredric Brown, Avamposto sul pianeta X (Sentry), Arnoldo Mondadori Editore, 1955

Rafael Santandreu, L’arte di non amareggiarsi la vita, Feltrinelli, 2013

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