La genitorialità. Nascere come genitori
Lavorando come psicologa in un consultorio familiare, una buona parte del mio lavoro consiste nel sostenere le coppie di neogenitori nella transizione dalla diade alla triade, ovvero uscire dalla dimensione di coppia, in cui ognuno dei partner richiede e fornisce accudimento all’altro. L’arrivo di un figlio determina una rivoluzione nella strutturazione di questo rapporto e del nostro funzionamento interno.
Freud scrisse che l’innamoramento costituisce l’unico momento nel quale mettiamo da parte il nostro Io per porre al centro l’altro. Credo che l’amore a cui si riferisse il padre della psicoanalisi fosse proprio quello genitoriale. I nove mesi che precedono l’arrivo di un figlio forniscono alla coppia la possibilità di rivisitare le proprie esperienze di accudimento, i propri legali affettivi e le proprie vicende di attaccamento. La genitorialita infatti va considerata una dimensione psicodinamica interna, che si forma dall’infanzia, attraverso le interazioni con i nostri caregiver, fatte di comunicazioni verbali e non verbali, bisogni, desideri, proiezioni e fantasie che interiorizziamo nel corso del nostro sviluppo, e che lo psicologo Eric Berne definiva “genitore interno”, costituito sulla storia delle “interazioni reali e fantasmatiche” con i nostri genitori. Le ricerche sull’attaccamento adulto confermano queste ipotesi, dato che l’esito delle vicende affettive infantili, e la qualità dei nostri rapporti con i caregiver, determinano anche l’esisto del nostro attaccamento adulto, e quindi la nostra capacità di funzionare a nostra volta come caregiver.
Il primo passo verso la genitorialita lo compiamo quando costituiamo il legame di coppia. È proprio quando il nostro legame di attaccamento trova come oggetto il partner e non più i nostri genitori che passiamo dall’essere oggetto di cura, a caregiver dell’altro, il quale risponde in modo reciproco. Ciò mi permette di poter diventare a mia volta generatore di una nuova vita della quale prendermi cura unidirezionalmente. Secondo Visentini la genitorialita è il momento più maturo della dinamica affettiva, in cui convergono le esperienze, rappresentazioni, ricordi, modelli comportamentali e relazionali della propria storia affettiva. Infatti in base a questi elementi dentro di noi vengono a formarsi i Modelli Operativi Interni che rappresentano l’interiorizzazione, in modelli mentali, delle nostre esperienze nella relazione con chi si è preso cura di noi, orientando il nostro modo di essere un giorno genitori. Di questo era ben conscia Selma Friberg, che nel volume fondamentale “Ghosts in the nursery” descrive come ogni genitore corra il rischio di ripetere la tragedia della propria storia di accudimento con il suo bambino.
Questi fantasmi rappresentano le esperienze interiorizzate e non elaborate delle proprie vicende relazionali con i caregiver, che ogni genitore rischia di poter rimettere in atto inconsapevolmente nella transizione da oggetto di cura a colui che si rende cura dell’altro. Le teorie della Friberg trovano riscontri nelle ricerche più recenti sul ruolo del trauma e sulla memoria dissociata delle esperienze di attaccamento traumatico, le quali, essendo costanti e generalizzate, tendono a formare dei modelli di relazione inconsapevoli. Per essere dei genitori non maltrattanti si deve essere consapevoli di aver subito o meno dei maltrattamenti. Madri vittime di abusi sessuali intrafamiliari durante l’infanzia possono esporre i propri figli allo stesso rischio, spesso con gli stessi perpetratori, a causa della dissociazione traumatica dalla coscienza di quelle esperienze. Il trauma resta isolato dalla rappresentazione interna del genitore, non consentendogli di riconoscere il pericolo o peggio, finendo egli stesso per agire quelle stesse modalità di maltrattamento. Ne sono testimone ogni giorno nel mio lavoro con le neo-mamme. Il modo in cui tengono il loro bambino in braccio, lo attaccano al seno, lo cullano, testimonia la storia del loro stesso accudimento. Madri non responsive, non sintonizzate sui propri bambini, incapaci di “funzionare” perché bloccate nel tentativo di elaborare un proprio trauma o di contenere le proprie emozioni, a loro volta figlie di madri che non sono state in grado di svolgere una buona funzione genitoriale. Di fornire quella reverie materna postulata da Bion, e fondamentale per poter permettere alla mente del bambino di pensare il mondo e poterlo significare.
La genitorialita quindi rappresenta uno spazio psicodinamico interno che viene attivato dalla nascita del figlio reale, fin dal momento della consapevolezza della gravidanza, rimettendo in discussione memorie, desideri, paure, fantasie legati alla nostra storia di figli prima e di futuri genitori poi. Una madre, durante un corso di accompagnamento alla nascita in cui sono intervenuta come psicologa ha fornito u ottimo esempio di come queste modalità di funzionamento si attivino in modo inconsapevole. L’incontro prevedeva che le coppie presenti rappresentassero attraverso delle sculture dinamiche, il loro modo di “vedere” la triade, una volta tornati a casa con il neonato. La richiesta era quella di mettere in scena una immagine rappresentativa dell’organizzazione della nuova triade, utilizzando se stessi come attori.
Questa madre aveva espresso verbalmente il desiderio di coinvolgere il partner in tutti i compiti di accudimento del figlio. Non voleva essere una di quelle madri che non lasciano spazio al padre, simbiotiche, e iperprotettive. Avrebbero fatto tutto insieme e lei lo avrebbe coinvolto nell’accudimento del figlio fin dall’inizio. Le chiesi allora di metterlo in scena, posizionandosi nello spazio, assegnando una posizione nella stanza per lei, il bambino, e il partner. La donna si posizionò al centro del cerchio costituito dai partecipanti. Il bambino era tra le sue braccia rivolto verso di lei. Il partner fu posizionato ad almeno mezzo metro di distanza, dall’altro lato, solo, rivolto con lo sguardo verso la donna è il bambino. Tra di loro non vi era alcun contatto fisico. Soltanto dopo aver ricevuto i feedback delle altre coppie la donna si rese conto che aveva rappresentato una scena opposta a quella che in realtà desiderava.
Probabilmente questa disposizione prossemica derivava proprio dalla storia di accudimento di quella madre e dai modelli interni che ne erano derivati.
Per diventare genitori bisogna esplorare profondamente la nostra storia relazionale, per poterci liberar dai “fantasmi” del nostro passato ed essere davvero i genitori che vorremmo diventare.
Dott.ssa Valeria Colasanti
Psicologa, Psicoterapeuta e Psico-Oncologa
Riceve su appuntamento a Roma (zona Corso Trieste)
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Per Approfondire
Stern D. “La costellazione materna” Bollati Boringhieri, Torino, 1995
Fraiberg S. “Ghost in the nursery” Cortina, Milano 1999
Bowlby J. “Costruzione e rottura dei legami affettivi” Cortina, Milano, 1982