Elogio della lentezza. Rallentare come atto rivoluzionario e benfico

Viviamo in una società che ci propina giochi televisivi dove anche cucinare un piatto diventa una lotta contro il tempo; una società che ci invita a mettere da parte i sentimenti, o perlomeno che non ci permette di dedicargli il giusto tempo; una società dove i “piu bravi” sono quelli che irrefrenabilmente producono.

E se invece tornassimo a godere della bellezza del preparare un piatto con il giusto tempo, se ci dedicassimo alle relazioni con la giusta intensità, se ci prendessimo il tempo che serve per pensare, per costruire, per progettare; se rallentassimo, verremmo considerati dei rivoluzionari?

Decidendo di raggiungere un determinato luogo a piedi, rinunciando alla comodità, alla velocità e all’immediatezza di uno spostamento con la macchina o con altri mezzi, quantomeno verremmo considerati “strani”. Ma quanto il nostro corpo e la nostra mente gioverebbero di questa scelta?

Avremmo molte più possibilità di sviluppare la nostra socialità, il nostro fisico riscoprirebbe un’attività ormai quasi andata perduta e i nostri pensieri sarebbero maggiormente liberi di fluire.

Avevo ormai percorso quasi 700 km ed ero a pochi giorni da Santiago; erano state tre settimane fantastiche, mi sentivo vivo come non mai. Pensai di continuare il mio cammino fino all’Oceano, ma sapevo che per farlo avrei dovuto rispettare determinati ritmi, in modo da essere di ritorno a Santiago in tempo per il volo che mi avrebbe riportato a casa. Arrivò una forte perturbazione metereologica che mi costrinse ad accorciare una tappa prima, e a dimezzarne una il giorno seguente a causa della grandine. Il senso di benessere che mi aveva accompagnato per tutti quei giorni era svanito,mi sentivo agitato e nervoso, non accettavo l’idea di dover rinunciare al programma che mi ero prefissato. Il giorno seguente, camminando, probabilmente con un passo più lento del solito, capii che tutto il giovamento di cui avevo goduto fino a quel momento era stato proprio dovuto al fatto che avevo vissuto ogni istante ed ogni cosa con il giusto tempo, senza forzature o imposizioni di ritmi frenetici. In quegli ultimi giorni rallentai, assaporai ancora meglio tutto quello che mi circondava; capii che quella mia voglia di accellerare e arrivare era soltanto voglia di scappare via il prima possibile dalla tristezza che la fine di quell’esperienza avrebbe inevitabilmente portato. Rallentai, imparai ad affrontare quel sentimento che tanto volevo evitare e di cui tanto avevo paura. Arrivai a Santiago felice, vivo nel senso più ampio del termine; mi tolsi le scarpe e capii che dovevo arrivare li in quel momento.

                                                                                                                                                  Un pellegrino della via francese per Santiago

A volte accettiamo gli attuali ritmi frenetici proprio per sfuggire a problemi o pensieri che ci perseguitano; preferiamo intasare le nostre agende piuttosto che rallentare ed affrontare le nostre vere preoccupazioni. Un po’ questi ritmi esagerati ci fanno comodo!

“In questo viaggio che è iniziato quando ho voluto avere un nome ho imparato tante cose. Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi”.

                                                                                                                                                                                          Luis Sepulveda

Lo scrittore cileno Sepulveda, nella sua favola per adulti e bambini, “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, ci invita a pensare quanto conformarsi automaticamente ai canoni e ai ritmi societari possa portare all’apatia, alla “morte cerebrale” e non solo.

Ogni cosa ha un suo tempo, un tempo stabilito che permette che questa stessa cosa riesca nel modo giusto. E questo vale per tutto, sia che si parli di produzione materiale, sia che si parli di costruire relazioni o di elaborazione di emozioni e pensieri.

Pensiamo a quante volte abbiamo gettato oggetti, anche solo con qualche leggera imperfezione, semplicemente perchè è più sbrigativo comprarne altri, piuttosto che spendere tempo per riparare quelli già utilizzati; oppure a quante volte abbiamo perso l’occasione di vivere una relazione perchè non avevamo abbastanza tempo da dedicare all’altro, eravamo troppo presi dal nostro correre.

Ogni cosa ha bisogno del suo tempo, e noi spesso non glielo concediamo, non ce lo concediamo.

Anche Piero Pelù, famoso cantautore fiorentino, cofondatore del gruppo rock “Litfiba” in passato ha dedicato una canzone alla lentezza.

E puoi volare, su questo mare

Su un guscio di noce, che è la tua fragilità

Lo puoi capire

Fallo senza fretta
E prenditi il tempo perché la tua lentezza
È l’equilibrio per restare in piedi

Lento
Tempo

 

In questa parte di testo mi ha colpito molto l’associazione tra la lentezza, intesa come proprio ritmo personale, e l’equilibrio.

In effetti, se utilizzassimo un andamento troppo veloce, potremmo ad un certo punto sentirci smarriti e disorientati; se invece il nostro andare seguisse un ritmo eccessivamente basso, ci sentiremmo frustrati e ansiosi probabilmente. Soltanto rispettando noi stessi e la “nostra lentezza” potremmo sentirci in equilibrio.

Analizzando l’argomento da un punto di vista più strettamente scientifico, scopriamo che l’andamento lento e la camminata hanno comprovati benefici fisico-sociali e proprio per questo alcune Asl, inizialmente del nord Italia, ma ora anche del centro-sud, hanno iniziato ad organizzare gruppi di cammino. Questi rappresentano un’importante opportunità di salute e di socializzazione proposta alla comunità. Il camminare oggi risulta uno strumento preventivo e ricreativo di benessere, sia dal punto di vista fisico che sociale.

I gruppi si incontrano in un determinato luogo, che può essere un parco, ma anche un qualsiasi angolo del quartiere e seguono il percorso proposto dal Team leader, che inizialmente è una persona selezionata dai Servizi, ma poi può essere tranquillamente sostituita da un membro del gruppo stesso.

Questi gruppi permettono di vivere un momento al di fuori del contesto frenetico della quotidianità, lasciando ai partecipanti la possibilità di conoscere meglio loro stessi e gli altri, tenendo in attività corpo e mente.

La lentezza è una variabile del tempo. La distanza di sei chilometri, coperta in un’ora da un buon passo non è lenta, è giusta. Oggi una lentezza di apprendimento è considerata un ritardo e la contemplazione un disturbo del comportamento. “Il tempo è denaro” scrisse in un saggio l’inglese Francis Bacon, nel 1597, inaugurando l’identità a scopi commerciali. Ma il tempo non si calcola in spiccioli e spesso rimborsa largamente chi lo sta perdendo

                                                                                                                                                                                          Erri De Luca

Lamberto Maffei, ex direttore dell’Istituto di neuroscienza del Cnr, nel suo “Elogio della lentezza” ci spiega che il cervello che regola i nostri comportamenti ci è stato donato proprio come una macchina lenta, che ha bisogno dei suoi tempi e di una sequenza nella sua azione. Noi invece facciamo il contrario, e viviamo nell’incubo della lentezza che associamo alla perdita di tempo, o peggio, a una menomazione fisica e mentale.

Maffei scrive che:«Il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione» – «La netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile».
Da qui la rivalutazione della lentezza come terapia contro lo stress moderno, dove tutto viene comunicato in tempi rapidissimi attraverso social, e-mail o sms; la ricerca di una comunicazione diretta, sfruttando una fila in un supermercato o ad uno sportello pubblico per fare una nuova conoscienza o per ascoltare una storia, leggere un libro, senza cedere alla frustrazione per il tempo “perso”.
Solo questo ritmo, non sottoposto alla pressione di continui strappi, porta ad una buona socialità e ad una vera ricerca di conoscenza.
 

Spesso la lentezza viene associata alla staticità, con un’accezione prevalentemente negativa, ma non sempre un andamento adagio comporta una situazione di stallo, di immobilità. La lentezza può essere estremamente dinamica e generare ciò che spesso invece consideriamo impossibile.

Rallentare non è semplice, anzi, ma abbiamo il dovere di provarci. Ci permetterebbe di riacquisire una centratezza magari persa, di elaborare pensieri e nuove idee in maniera proficua; ci permetterebbe di vivere le relazioni, di qualunque genere, in modo pieno e appagante.

Dott. Diego Bonifazi

Assistente Sociale a Roma

(+39) 3296614580

diego.bonifazi@yahoo.it

Per Approfondire:

Lamberto Maffei – Elogio della lentezza Il Mulino Editore, 2014

Luis Sepulveda – Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza Guanda Editore, 2013

Carl Honore – …E vinse la tartaruga Rizzoli Editore, 2008

Piero Pelù – Lentezza

Commenti (1)

  • […] Credo che tutti abbiamo assistito ad un lento e graduale cambiamento dei ritmi di vita; per molti di noi, infatti, le nostre routine quotidiane sono state totalmente sconvolte. In meglio? In peggio? Questo sta soltanto a noi deciderlo. Per la maggior parte, costretti al lavoro nelle mura domestiche, credo sia comparso un altro elemento da aggiungere a quello dell’attesa, ovvero quello della lentezza. Infatti, un arco temporale medio-alto, che prima usavamo anche solo per i preparativi per andare al lavoro, per gli spostamenti, per le uscite si è aggiunto nelle nostre vite; questo ha permesso di inserirle in una dimensione temporale molto più lenta e dilatata (per approfondimenti si rimanda all’articolo “Elogio della lentezza- Rallentare come atto rivoluzionario e benefico”). […]

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