Il masochista morale. Un dolore oggi per una “vana” speranza domani

Nel gergo comune, quando si parla di persone masochiste, inevitabilmente nella nostra mente appare l’immagine di persone che si mostrano autodistruttive e che tendono a farsi del male, soprattuto sotto il punto di vista psicologico e di abbassamento dunque della qualità della vita, ma senza l’intento di arrivare ad un’azione suicidaria. Sicuramente possiamo parlare di masochismo a più livelli, partendo da coloro che vivono una sorta di dipendenza rispetto ad una situazione che li fa soffrire, fino ad arrivare a coloro che praticano l’automutilazione, dove sembra quasi che la sofferenza fisica possa in qualche modo alleviare un dolore più squisitamente emotivo. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La personalità masochista – Una vita di lamenti” )

In maniera molto lineare tendiamo a pensare che le persone che hanno un comportamento masochista siano persone che provano piacere nel farsi del male. La McWilliams, psicologa e psicoanalista, ci fa notare però che il termine masochismo, quando viene utilizzato dagli psicoanalisti, non significa amore per il dolore e la sofferenza, piuttosto, precisa che la persona che si comporta in modo masochistico, tollera il dolore e la sofferenza nella speranza, cosciente o inconscia, di ottenere qualche bene maggiore.

Dunque si può presupporre che il comportamento di una moglie maltrattata che continua a vivere con un marito violento, non significa che ella provi piacere nell’essere maltrattata e picchiata, piuttosto potrebbe condurci a pensare che la donna possa essere convinta del fatto che se lei continuasse a sopportare ancora tali violenze, in qualche modo possa raggiungere un beneficio maggiore, quale può essere il tenere la famiglia unita oppure evitare una situazione ancor più dolorosa.

Rivolgendo la nostra attenzione alla dimensione affettiva delle persone masochiste possiamo scorgere molte somiglianze con le persone depresse in quanto è possibile notare la presenza di tristezza e di sensi di colpa, tuttavia non è raro riscontrare anche momenti in cui i masochisti provano sentimenti di forte rabbia e risentimento. La differenza principale che discosta il masochismo dalla depressione è l’abbandono del depresso di sé stesso al proprio destino  che avviene con rassegnazione.

Ma cosa c’è alla base del masochismo? Quali sono i vissuti che portano al suo sviluppo?

Ad oggi la psicanalisi distingue dei casi in cui l’aggressività del soggetto si rivolge a se stesso mostrando un bisogno di autopunirsi, e quindi mostrando una sofferenza masochistica, dai casi in cui la ricerca della sofferenza delinea un percorso di ripetizione di vicende infantili traumatiche. 

Il comportamento di ciascuno di noi è caratterizzato dalla ripetitività degli schemi, ovvero dalla riproduzione di vissuti e di dinamiche relazionali ed affettive già vissute e sperimentate nel passato ed in particolare nella nostra infanzia. Ci sono situazioni in cui però i modelli relazionali ed affettivi introiettati sono legati ad un vissuto, ad una storia, caratterizzata da violenza, abuso ed esperienze particolarmente negative. In questi casi diventa facilmente riconoscibile la messa in scena del soggetto che ripete i vissuti della sua esperienza, nella speranza che attraverso di essa possa in qualche modo padroneggiare e controllare a livello psicologico la situazione stessa, O addirittura tentare di modificare il vissuto doloroso subito.

Sembrerebbe che in molti casi il masochista, abbia vissuto nella sua infanzia, un investimento affettivo particolarmente legato alla punizione, in altre parole l’attenzione che i genitori imponevano loro era solamente legata ad una punizione. È come se il bambino imparasse che la relazione possa passare solamente attraverso la sofferenza. La rappresentazioni che masochista ha di sé è proprio quella di una persona colpevole che merita rifiuto e punizione.

Probabilmente è come se il masochista abbia costruito un’immagine di sé come persona cattiva nella convinzione incui in questo modo gli altri avrebbero continuato ad occuparsi di lei. In tal senso però si costituisce un mondo interno in cui colui che perseguita è la persona buona, mentre colui che vuole bene viene considerato come una persona cattiva.

Attraverso un lavoro psicoterapeutico È possibile svincolarsi dalla ripetizione inevitabile di tali dinamiche disfunzionali, che non permettono la libera espressione della personalità del soggetto, riparando quei vissuti emotivi e valorizzando le parti buone integrandole con quelle cattive.

Dott.ssa Emanuela Sonsini 

Riceve su appuntamento a Chieti

(+39) 3703389579

emanuela.sonsini@gmail.com

Per Approfondire

Gillièron E.. Il primo colloquio in psicoterapi. Borla editore.

McWilliams N. La diagnosi psicoanalitica Astrolabio.

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