Da padre, in figlio
Un passaggio necessario
– Pà. Dammi le chiavi della macchina. Devo uscire.
– E dove vai?
– Vado. Esco. Dammi le chiavi.
E’ da frasi come queste che mi figuro l’inizio di quel viaggio metaforico – dentro e fuori di sé – a cui ogni figlio è prima o poi chiamato, ed è sempre da qui che hanno avvio alcune mie riflessioni, la cui portata mi spinge a partire da molto lontano. Ma facciamo un passo indietro. Un tempo, l’imperativo “dammi”, non era forse impiegato in via esclusiva dal vecchio pater familias? Una forma verbale, questa, che – paradossalmente – laddove fosse oggi pronunciata da un padre al figlio, suonerebbe sempre più in netta controtendenza rispetto alla realtà in cui siamo immersi. Se difatti nella visione ormai passata e più tradizionalmente intesa come patriarcale, il padre era identificato in colui che emanava le punizioni più severe e da cui discendevano le sorti del figlio in virtù del potere indiscutibile della legge, per converso, quello di oggi è un padre che vive in tutt’altra era. Veloce. Pulsionale. Sovversiva. In quest’era, evidentemente, non vi è più posto per il differimento della gratificazione del desiderio, cosicché il figlio è sempre, prontamente, soddisfatto (per un approfondimento si rimanda agli articoli “Il padre – Un’identità evaporata in questo nostro tempo” e “Il complesso di Edipo – All’alba della legge del padre”).
Ma in questa società iper moderna, in cui le figure del padre e della madre attraversano una crisi di valore tanto profonda (per un approfondimento si rimanda all’articolo “La madre – Una morbida danza fra assenza a presenza”), che destino attende il figlio? E cosa significa essere figlio? Pensare al figlio implica in primis la concezione di un’alterità. Che vi sia un soggetto leggibile cioè come “altro” dalle proprie radici e pertanto, al di là delle apparenze, psichicamente distinto dal suo nucleo di provenienza.
Ed è proprio in ragione di questa alterità primaria e incontrovertibile, rispetto al proprio padre, che il figlio andrebbe dallo stesso padre considerato in qualche modo come una terra straniera, inconoscibile nel suo profondo: il padre dovrebbe accettare questo limite intrinseco all’alterità filiale e rispettare “il segreto” che il figlio porta con sé, senza di contro negarlo o sostituirvi il suo presunto ed antico diritto di proprietà.
In altre parole, il figlio non è cioè riducibile ad un mero ricettacolo di proiezioni e disposizioni paterne, che lo antepongono e insieme lo oltrepassano. Volendoci addentrare nel merito della questione: in cosa consisterebbe esattamente tale “segreto del figlio”?
Dalla lettura di Recalcati si evince come esso stia proprio in quest’area tanto oscura, di sola pertinenza del figlio, che non appartiene né si mostra totalmente trasparente al padre e di cui non gli è dato di sapere nulla: al contempo, è sempre in quest’area irriducibile che può avvenire la vera liberazione del figlio. E’ qui che il figlio si slega dalle origini e prende vita autonoma. Ma questo segreto, raramente è accolto di buon grado dai padri, poiché tale alterità e vitalità ricorda loro del destino mortale che li attende ed in specie di come i figli sopravvivano ad essi attraverso l’inevitabile passaggio generazionale. Tuttavia, questa eclissi del padre e la sua morte simbolica si rendono cosa necessaria: il padre deve cioè saper cedere il posto al figlio.
In realtà, ciascun genitore è continuamente chiamato a misurarsi con un compito assai complesso: quello di esser cioè disposti a farsi da parte, a “perdere” il proprio figlio, così da consentirgli di fare esperienza di sé e dell’altro; affinché il figlio possa abbandonare tale status per abbracciare quello di uomo che esperisce il mondo autenticamente, il padre deve essere disposto a rinunciare alla sua proprietà sul figlio, perdendolo e rendendolo così finalmente libero di sperimentarsi. Di lanciarsi nell’ignoto.
In tal senso, questa è la legge che permette al figlio di separarsi dai suoi genitori e di percorrere la sua strada. Appoggiando questo movimento, il padre consente al figlio di ritrovare il suo sentiero in qualità di uomo che persegue il suo destino nel creato; è il movimento che consente l’attuazione della svolta, del salto in avanti: la perdita assume qui (e ancora una volta) il valore del dono più alto che il padre/genitore possa fare al proprio figlio.
Ma per giocare la partita della propria vita l’uomo deve essere disposto ad uscire dalla sua zona di confort, accettando il rischio del fallimento, mettendo in conto il poter perdere qualcosa. Rispettando il segreto del figlio, accettando cioè che vi saranno sempre in lui suddette aree inarrivabili e che continueranno a restargli incomprensibili ed aliene nel tempo, il padre permetterà al figlio di fare esperienza autentica di sé nel mondo, e questi getterà le armi, assumendo su di sé il rischio del fallimento, della sconfitta, dell’errore, del caos: è il padre che cionondimeno favorisce e sostiene questo suo viaggiare verso, questo suo correre incontro a se stesso.
Per farlo, il padre regala la sua fiducia più totale al figlio: nessuna domanda, nessun ricatto a trattenerlo. La capacità del padre di far questo è connessa alla consapevolezza che il figlio possa anche perdersi: c’è un movimento discontinuo e asimmetrico che permette al figlio di ri – trovarsi dopo essersi perso. Pensiamo ad esempio alla parabola del Figliol Prodigo, in cui ad un tratto questi intima al padre di “dargli la parte del patrimonio che gli spetta”: eh così il padre fa, senza porgli domande, assumendo su di sé un atto di fede pieno e sentito: rispettando il segreto del figlio. Il padre sa che la sconfitta e l’errore fanno parte dell’esperienza di crescita del figlio e così, lo lascia fare. Quando, dopo aver sperperato tutti i suoi denari, il figlio, impunemente, fa ritorno dal padre, è la posizione asimmetrica a permettere al primo che la trasformazione interna si compia davvero: il padre, anziché far prevalere la legge tradizionalmente intesa, che applicherebbe su di lui una condanna oltremodo ostile, lo accoglie di nuovo, gaudente.
La gioia del padre è la gioia di chi temeva che tutto sarebbe andato perduto e che di contro può constatare come ciò che era perso (o così sembrava) si sia ritrovato: così, questa assume i colori di una festa di ri-trovamento. Assistiamo cioè all’applicazione di un’altra legge: il perdono del padre ha permesso al peccatore di veder ri-nascere ciò che pareva andato miseramente distrutto. Questo movimento consente al figlio di pentirsi, di riconoscersi come individuo, risorgendo dalle sue stesse ceneri. Tutta la preoccupazione del padre è rivolta a questo figlio traditore e scapestrato, a dispetto dell’altro, naturalmente esposto alla giustezza delle cose.
Per quanto il viaggio porti con sé tutta una serie di trappole, è solo lì che la persona può fare una reale esperienza di sé, levandosi di dosso quella spessa armatura che sino ad allora glielo aveva impedito: il figlio decide di mettersi a nudo e di affidarsi a se stesso e all’altro, rischiando di perdere qualcosa di sé. Ed è solo lì che la persona fa esperienza della verità.
Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti
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Per Approfondire:
– Recalcati M. Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato. Feltrinelli, Milano, 2017
– Recalcati M., Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012