Le fiabe in psicoanalisi
Jack ed il fagiolo magico
In una casetta di pietra vivevano, molti e poi molti anni fa, una povera vedova e il suo unico figlio, che si chiamava Jack. Non possedevano che una mucca. La mucca dava loro ogni giorno una certa quantità di latte, e con la vendita del latte i due campavano, seppure miseramente.Ma la mucca invecchiava, e allora la vedova l’affidò al figlio perché la portasse al mercato, dove avrebbe potuto venderla.
(Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio)
La fiaba di Jack e il fagiolo magico introduce uno stadio del bambino ben preciso. Descrive come in passato viveva una coppia madre-bambino, dove l’unico bene posseduto era una mucca, rimandando alla relazione simbiotica dell’allattamento madre-bambino. La fiaba di Jack e il fagiolo magico è prettamente rivolta al genere maschile anche se, come tutte le fiabe, ogni bambino può identificarsi in vari personaggi della fiaba per poter elaborare determinate dinamiche inconsce. In questo caso, la fiaba descrive come il bambino debba attraversare varie fasi per diventare un vero uomo. La storia inizia dunque dalla necessità di superare la fase orale, ossia quella fase paradisiaca dove il bambino sente soddisfati tutti i suoi bisogni, dipendendo dalla madre. La mucca, allegoria della madre che allatta, è invecchiata e non dà più latte (rimandando allo svezzamento), pertanto il bambino si trova ad entrare in una nuova fase della propria vita, dove può contare soltanto su sé stesso e sul proprio corpo per il soddisfacimento dei propri bisogni, segnando la fine dell’infanzia (uscire fuori di casa).
Lungo la strada, Jack s’imbatté in un viandante, un tipo curioso, che propose al giovane un baratto.
“Stammi bene a sentire”, disse. “Se mi dai la tua mucca, io in cambio ti do cinque fagioli magici. Decidi”.
Jack ci rifletté su un bel po’. Non sapeva come comportarsi. Alla fine, attratto dalla supposta magia di quei fagioli, accettò: cedette la mucca ed ebbe i fagioli.
La fiaba continua, indicandoci come il bambino non sia ancora del tutto pronto ad effettuare questo passaggio verso l’autonomia e dunque, non potendo più trovare gratificazione dalla relazione simbiotica con la madre, si reca dal padre, simboleggiato dal viandante, aspettandosi una soluzione altrettanto magica per soddisfare le proprie angosce di cambiamento. Il gambo di fagioli rimanda al simbolo fallico, stando ad indicare che il bambino si orienta verso il padre per il raggiungimento della propria mascolinità, attingendo da quella paterna. Nonostante il bambino ricorra ancora a soluzioni poco realistiche per effettuare un cambiamento, si può notare comunque che abbia iniziato a prendere l’iniziativa da sé, contravvenendo anche alla decisione della madre.
Giunto a casa, la madre si mise le mani nei capelli.
“Ma tu sei ammattito, figlio mio! E adesso con che cosa vivremo? Con i soldi avremmo comperato una mucca giovane, che ci avrebbe dato del buon latte fresco. Così invece siamo alla fame. Sciagurato ragazzo, non dovevo fidarmi di te!”.
Incollerita, la donna afferrò i cinque fagioli e li fece volare fuori dalla finestra. Poi entrambi andarono a dormire, senza nemmeno cenare.
La fiaba va a ricalcare il ruolo della madre che, in questo caso, ostacola il naturale sviluppo del ragazzino, denigrandolo e disincentivando ogni suo tentativo di cambiamento, ricordando quali erano le sue intenzioni: un ritorno alla fase orale (comprare una mucca più giovane). In questo caso è, dunque, proprio il ragazzo che tenta di separarsi da un rapporto fusionale con la madre, attraverso anche l’aiuto del padre che cerca di separare la diade simbiotica, introducendo una componente paterna, il gambo di fagioli.
L’indomani, non appena Jack, alzatosi, andò alla finestra, scorse, nel punto in cui erano stati gettati i fagioli, una pianta gigantesca. Un fagiolo così alto che non se ne vedeva la cima.”Allora quei fagioli erano magici davvero”, pensò, “se in una sola notte hanno fatto crescere questa pianta smisurata. Voglio arrampicarmi per andare a vedere fin dove arriva”.Trovatosi al di sopra delle nuvole, Jack dette uno sguardo attorno, e vide un castello. Con precauzione si staccò dalla pianta, constatò che le nuvole reggevano il suo peso, procedendo su di esse si diresse al castello e vi entrò.
Il percorso di crescita in questo caso viene simboleggiato dalla pianta di fagioli, che cresce in maniera smisurata. Questa crescita magica rappresenta la percezione che il bambino ha dei propri eventi e dei numerosi e drastici cambiamenti che sta subendo, sia fisici che psichici. Di conseguenza il ragazzo si orienta verso una fiducia smisurata, quasi magica, verso le capacità del proprio corpo, indirizzate in precedenza verso il rapporto con la madre. Si convince che da solo potrà ottenere ogni cosa, senza la considerazione dell’altro, attraverso quella che in psicoanalisi è definita autoaffermazione fallica.
Mettevano un po’ di paura l’androne, gli scaloni, le sale. Mentre egli s’incuriosiva nell’immaginare chi ne fosse il proprietario, si sentì dire da un vocione: “E tu che sei venuto a fare, qui? Chi sei?”.
“Mi sono perso”, mentì Jack, “ed è da ieri che non mangio. Sapeste che fame che ho!”.
Il vocione apparteneva alla padrona di casa, che era un’orchessa, cioè la moglie d’un orco. Ma, mentre l’orco era un violento, lei era mite, e provò simpatia per il ragazzo che le stava di fronte.
Perciò si dette da fare: offrì a Jack del latte caldo, e dei buoni dolcetti con lo zucchero sopra. Ma ecco che, all’improvviso, la casa rintronò, e si udirono dei passi pesanti come quelli d’un elefante.
In questa parte della fiaba si introduce un’altra fase dello sviluppo del bambino, ossia quella edipica. Il bambino nel momento in cui conosce sé stesso e cerca di autoaffermarsi, inizia a provare sentimenti di competizione, e allo stesso tempo timore di subire una punizione, nei confronti del padre, percepito come un orco violento padrone della casa, che tornando da lavoro, pretende che tutto torni sotto il suo dominio. In questo caso il ragazzo varie volte subirà delle piccole regressioni alla fase orale, ossia cercherà conforto verso quelle antiche gratificazioni materne, nonostante poco a poco saranno sempre meno funzionali per lo sviluppo psichico del bambino.
Jack riuscirà a rubare al padre-orco, grazie all’aiuto della mite orchessa, una borsa carica di oro, che riuscirà a portare alla propria madre. Successivamente, quando l’oro finirà, Jack metterà alla prova nuovamente se stesso, riarrampicandosi sulla pianta, riuscendo a rubare, questa volta, una gallina dalle uova d’oro. Questa seconda parte della fiaba ci indica come il ragazzo sia passato da delle regressioni orali a regressioni anali, rappresentanti dalla ricerca dell’oro e di un benessere che il figlio cerca di donare alla madre ( come il dono delle feci, quando impara a controllare gli sfinteri, che l’infante dà alla madre, come parte di sé donato a lei, volutamente). Ancora una volta si ripresentano delle dinamiche edipiche dove il bambino sfida continuamente il padre e ruba alcune sue parti, per farle proprie, avviando quel processo di identificazione verso il padre, fondamentale per risolvere il complesso edipico (si rimanda all’articolo Il complesso di Edipo – All’alba della legge del padre e Il complesso di Edipo secondo Laio – Il padre mutilante ).
Un triste giorno, però, la madre di Jack cadde ammalata, di un male che i medici non riuscivano a capire. Era come se non le importasse più di vivere. Aveva perduto il sorriso. Non provava entusiasmo per nulla. Inoltre rifiutava il cibo, e perciò deperiva, chiusa in una profonda malinconia.Jack fece venire a palazzo clowns e giullari perché, con i loro giochi, con i loro scherzi, le risollevassero il morale. Ma non ci fu nulla da fare.Decise allora di tornare nel castello dell’orco, sperando di trovarvi in qualche modo un rimedio. (…) Ed eccolo, l’orco, giungere con i suoi passi pesanti. Cenò, poi trasse da una cassapanca un’arpa magica, e lo strumento iniziò a suonare, da solo, una melodia dolcissima: così dolce che l’orco, dopo aver sorriso e poi riso di gusto, si addormentò.Lesto, Jack scattò fuori dalla pentola, prese al volo l’arpa e fuggì verso il fagiolo per ridiscendere a terra. Ma l’arpa non voleva saperne di lasciarsi rapire.”Padrone, padrone!”, gridava rivolta all’orco. “Svegliati. Mi stanno rubando!”.(…)Come Dio volle, il ragazzo raggiunse prima la chioma, poi il fusto della pianta e, con il fiato grosso e il cuore che gli batteva forte, cominciò a scendere, a lasciarsi scivolare verso il basso. Non aveva ancora toccato terra, che l’arpa si mise a suonare una nuova melodia, ancora più dolce. Ed ecco, per incanto, la madre di Jack sorridere, farsi incontro al figlio, abbracciarlo. Sembrava addirittura ringiovanita, ed era di sicuro guarita, grazie a quel suono. Tuttavia Jack non ebbe tempo di rallegrarsi, perché s’accorse che la pianta oscillava. Oscillava sotto il peso dell’orco che, trovata la strada, scendeva a riprendersi l’arpa, e si può immaginare quanto fosse arrabbiato.Non c’era un minuto da perdere. Jack corse a prendere una scure e vibrò contro il fagiolo molti colpi ben assestati. Gli stivaloni dell’orco erano già in vista, quando la pianta cedette, trascinando l’orco in un burrone. Inutilmente l’orchessa lo cercò per ogni dove: egli era caduto giù, a terra, ai piedi della pianta e lì giaceva esanime. La madre di Jack si avvicinò al gigante: egli era gravemente ferito. La sua recente infermità le aveva fatto conoscere le sofferenze della malattia e capire a fondo che ammalarsi dipende molto più dall’animo che dal corpo, ed ora era ben decisa ad evitare che l’enorme essere che le era disteso innanzi morisse. Perciò fece chiamare i più bravi medici del regno, perché si prodigassero nelle migliori cure. Poi si rivolse a Jack: “Figlio mio adorato, durante questo lungo periodo di malattia ho riflettuto e compreso la gravità delle azioni che hai compiuto nel regno del gigante con la mia complicità. Ora l’orco sta per morire a causa nostra.”
La storia prosegue, evidenziando come la separazione simbiotica tra madre e bambino, possa provocare uno stato depressivo nella madre. È il classico problema che si può incontrare in molti sistemi famigliari: una madre che soffre per la separazione dal proprio bambino che sta cercando di crescere e i sensi di colpa del bambino che cerca di abbandonare il “nido”. La fiaba sottolinea la presenza di un’arpa magica, ossia che la madre può ricongiungersi al bambino, ormai ragazzo, in una maniera più idonea al funzionamento psichico del ragazzo, quindi attraverso l’arte, la cultura e l’istruzione, tutti ambiti dove il figlio può esprimersi e crescere come meglio crede, seguendo la propria natura e non quella familiare. Per poter attingere a questo nuovo livello di relazione madre-bambino, è necessario che venga introdotto il padre nel sistema famigliare. Nella fiabe è proprio il bambino, e non la madre, che taglia la pianta di fagioli; in questo modo uccide la propria visione del padre inteso come orco e la stessa madre gli permette di vederlo in modo nuovo, non più come un violento usurpatore del suo potere di crescita, ma come una persona mite e affabile su cui poter fare affidamento. Questa fiaba ci mostra dunque qual è il percorso psichico che il bambino deve intraprendere per diventare ragazzo e, poi, adulto. Ovviamente descrive un percorso di crescita dalla fase orale alla fase edipica, donando gli strumenti verso una sua eventuale risoluzione. Vorrei concludere trascrivendo il finale della fiaba, che di per se è più esaustiva di mille teorie psicoanalitiche.
Jack la guardò con attenzione ed ella continuò: “Perdonami se ti ho tratto in inganno, se ti ho fatto credere che il denaro, la ricchezza fossero più importanti di un animo candido, della vita stessa. Nulla ha più valore della vita, che appartiene a tutti gli esseri, dal più grande al più minuscolo che esista. Ora non ci resta che pregare affinché l’orco si salvi!”.El’ Orco si salvò. Ormai guarito, e divenuto assai gentile dopo la guarigione, prese Gallina ed Arpa e salì sul monte più alto del paese dal quale, con un enorme balzo, tornò a casa, felice di riabbracciare la sua famiglia.
Dott. Dario Maggipinto
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Approfondimenti:
Bettelheim B., “Il mondo incantato, uso, importanza e significati psicoanalitic delle fiabe”, Universale Economica Feltrinelli, 1975
Ferro A., “La tecnica nella psicoanalisi infantile – Il bambino e l’analista: dalla relazione al campo emotivo”, Raffaello Cortina Editore, 1992