La gastrite psicosomatica. Il dolore delle emozioni indigeribili

Nel 1500, il medico naturalista e filosofo Paracelso paragonò lo stomaco ad un laboratorio alchemico, ossia un forno che permette di elaborare e trasformare gli elementi grezzi in sostanze nutritive ed essenziali per l’organismo fisico e dell’anima, attraverso un fuoco interiore. Lo psicoanalista Wilfred Bion, a distanza di secoli, paragonò l’apparato digerente a quello psichico, evidenziando un processo comune ai due meccanismi: l’introiettare dall’ambiente esterno un’esperienza grezza per poi elaborarla e trasformarla in elementi digeribili, emotivi, perlopiù funzionali all’organismo psicosomatico. D’altronde, nei primi anni di vita, il neonato inizierà a relazionarsi con la realtà attraverso l’esperienza del nutrimento, caricando di forti cariche emotive il cibo introiettato (si rimanda agli articoli: Obesità – L’imbottitura dell’anima  e Anoressia – Tra narcisismo e conflitti interiori) , ed associando la sensazione di fame a forti sentimenti di angoscia di morte e destrutturazione, il momento del nutrimento a un forte appagamento dei suoi desideri di vita e il sentimento di sazietà ad un momento di sicurezza.

Crescendo, continuerà ad ingerire cibo che si caricherà di significati legati all’atmosfera in cui verrà consumato: per questo, il cibo cucinato della propria madre (laddove con quest’ultima si avesse un buon rapporto) sarà sempre il più buono, un alimento proveniente dal nostro paese d’origine sarà carico di nostalgia, ed il cenone di Natale sarà leggero o indigeribile a seconda delle dinamiche familiari. Inoltre, la tradizione popolare, di origine meridionale, di ricevere cibo da amici e parenti nei giorni seguenti il funerale di un proprio caro, ha lo scopo di ricostruire attraverso il nutrimento una sicurezza persa.

Anche nei rituali, il cibo si connota di forti significati emotivi: il pane ed il vino divengono sacri, mentre il digiuno diviene uno strumento per liberarci di tutte le cariche emotive terrene per avvicinarci ad un’emotività divina.

In quest’ottica, la gastrite rappresenta, dunque, una difficoltà nel digerire la carica emotiva associata al cibo e l’impossibilità di ribellarsi. Rappresenta un sentimento di contrarietà e rabbia che non può essere espresso, in quanto si ha timore di distruggere il rapporto verso l’altro, preferendo dunque trattenere dentro di sé tali sentimenti, andando a “sporcare” la carica emotiva del cibo ingerito. Tale disturbo, se psicosomatico, è strettamente correlato con l’autostima del soggetto, poiché nell’individuo gastrico c’è una tendenza alla fuga e all’evitamento del problema, piuttosto che nell’affrontare e cercare di risolvere il problema con l’altro, vi è un’incapacità di trasformazione di elementi grezzi (un torto subito, sentimenti di rabbia, un disappunto) in elementi più digeribili ed accettabili (chiarimenti o anche litigi). Il soggetto gastrico preferisce, dunque, tenere tutto “dentro di sé”, più precisamente nella propria pancia, e questa rabbia inespressa porta l’acido gastrico ad aggredire la parete gastrica: non riuscendo ad “aggredire” l’altro, l’individuo indirizza tale aggressività verso un obiettivo diverso, il proprio corpo-stomaco ed il cibo ingerito.

I sintomi correlati alla gastrite possono essere facilmente interpretati secondo quanto emerso:

  • la nausea ed il vomito sono il tentativo di liberarsi di queste emozioni dolorose e inaccettabili. Se la funzione digerente è associata alla capacità di elaborare le proprie emozioni e pensieri emotivi, allora cercare di evacuare un’esperienza emotiva senza prima elaborarla, non permetterà al soggetto di ricevere quegli elementi emotivi digeriti che gli forniranno anche gli strumenti per affrontarla la prossima volta;
  •  il gonfiore permette di riempire lo stomaco di qualcosa di inesistente, aria, nel tentativo di colmare una carenza emotiva e di autostima;
  • L’acidità rappresenta l’aggressività e la rabbia mai espressa, il dover ingoiare troppi “bocconi amari”, associati ad una mancanza di autostima e sicurezza di sé e del rapporto con gli altri tali da impedire uno sfogo esterno. Il timore di perdere il legame con l’altro, talvolta, è così forte, che impedisce al soggetto di esprimere la propria rabbia o sentimenti di ribellione, rimanendo in una situazione di dipendenza passiva ambivalente.
  • L’Esofagite da reflusso, ossia un bruciore retrosternale che può salire verso la gola e la cavità orale, può simboleggiare la paura di affrontare qualcosa di nuovo, preferendo tornare sui propri passi, proprio quando si è spinti da una carica aggressiva verso la distruzione del vecchio verso il nuovo. Si manifesta in soggetti dubbiosi e incerti che quando hanno ormai raggiunto il limite di sopportazione, cedono a improvvisi scatti d’ira o si rifugiano in patologie autoaggressive e autopunitive verso anche un senso di colpa non espresso.
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Tutte le patologie che interessano lo stomaco manifestano, dunque, un difficile rapporto con la digestione della vita che si sta vivendo , delle relazioni e delle esperienze con l’altro. La difficoltà principale è iniziare a “mangiare da soli, con le proprie forze”,ossia, raggiungere un’autonomia che permetta di strutture dei legami con l’altro senza il timore di distruggerli attraverso “attacchi violenti” e successivi sensi di colpa. D’altronde, per costituire una relazione sana, con amici, partner o parenti, è importante che entrambe le parti possano essere riconosciute nella loro pienezza e che non debbano mai omettere parti di sé per il benessere dell’altro, poiché il risultato sarebbe un Mister Hyde che cerca di fuoriuscire dal nostro stomaco, mentre il dottor Jekyll lo reprime costantemente.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti
(+39) 334 9428501

dario.maggipinto@gmail.com

Per approfondimenti:

R. Morelli, P. Fornari, V. Caprioglio, D. Marafante, P. Parietti; Dizionario di Psicosomatica; Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, 2007, Milano

F. Agresta, 2010, Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di psicosomatica, Alpes, 2010, Roma

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