La famiglia. Vicinato scomodo del paziente o essa stessa paziente?

Una persona si reca dallo psicologo. Sono in uno studio per una consulenza che, se lo psicologo fosse anche psicoterapeuta, potrebbe diventare una psicoterapia. Fisicamente nello studio sono due. Giusto? Ma quanti sono in realtà? Quante persone porta con sé chi si reca dallo psicologo?

È noto, ed è forse diventato un luogo comune anche oggetto di battute bonarie nei confronti della nostra categoria, che la relazione con la madre fa spesso parte dei fattori scatenanti del disturbo di cui è affetto chi si reca dallo psicologo. Durante i primi anni di vita dei bambini le mamme vengono messe sotto la lente di ingrandimento. I loro comportamenti vengono analizzati accuratamente e spesso questo diventa anche un elemento ansiogeno se invece di esserci attenzione e interesse c’è del giudizio.

Ma in realtà è ormai risaputo che anche il rapporto col padre può essere un elemento critico che concorre, nella crescita, allo sviluppo di problematiche personali. Ad esempio un figlio maschio può fare difficoltà a realizzare la propria identità maschile di uomo adulto se “schiacciato” dall’immagine di un padre grandioso, perfetto e giudicante. Parliamo quindi del rapporto coi genitori. Ma se chi si reca dallo psicologo avesse anche dei fratelli? Magari un fratello o una sorella maggiore sempre più belli, più intelligenti, più simpatici nei confronti dei quali scatta un’invidia lancinante. Oppure un fratellino, o una sorellina, che ha preso per sé tutte le attenzioni genitoriali, costringendo chi era sfortunatamente già nato a veder cambiare tante piacevoli abitudini. A questo punto parliamo di genitori e fratelli. In poche parole di una famiglia.

Chi si reca dallo psicologo porta con sé il proprio mondo relazionale. Volendo banalizzare, potremmo dire che difficilmente, parlando dei propri problemi, non parlerà anche delle persone che lo circondano. Potrà esprimersi in questo modo: “non riesco a trovare nessuno con cui sentirmi a mio agio”, “mi sento solo”, “nessuno riesce realmente a comprendermi”, “litigo sempre con mia madre perché non mi da abbastanza fiducia, pensa sempre che io sia ancora una bambina”, “mio marito sembra essersi fuso col divano e non accorgersi più della mia esistenza”, “beh si, se quando sono in discoteca bevo abbastanza o prendo una pasticca divento un leone, il re della serata, altrimenti….”.

Sarà difficile quindi parlare di sé senza menzionare mai il modo in cui ci si sente quando si sta insieme agli altri. L ‘essere umano tende al rapporto e sin da bambino, tende a formarsi delle idee su di sé in base a ciò che succede e che percepisce nelle relazioni. E torniamo alla famiglia.

La psicoanalisi classica ha proposto una tecnica incentrata sull’analisi individuale. Non era importante capire e vedere cosa succedeva realmente nei rapporti familiari, ma concentrarsi più che altro sulla famiglia rappresentata, ovvero sulle rappresentazioni interne dell’analizzando relative ai propri rapporti familiari. Il conflitto non era interpersonale, ma interiore e legato al famoso complesso di Edipo. Il giusto focus su cui concentrare il lavoro psicoanalitico non era tanto la reale relazione con la madre, ma più che altro il conflitto inconscio legato al desiderio e all’angoscia di castrazione (per un approfondimento si rimanda agli  articoli  Il complesso di Edipo- All’alba della legge del padre nella rivista del mese di Luglio 2015 ed  Il complesso di Edipo secondo Laio – Il padre mutilante della rivista del mese di Settembre 2015). Parlando di ciò utilizzo un tempo verbale passato perché, anche se gli psicoanalisti classici sono una realtà tuttora presente, la psicoanalisi si è poi arricchita di successivi contributi.

Nel corso degli anni il mondo interiore di ogni individuo si è arricchito, secondo la visione psicoanalitica, di immagini e residui delle relazioni con persone reali. La scuola delle relazioni oggettuali si è soffermata proprio su questi aspetti analizzando il significato che assumevano all’interno del funzionamento psichico.

Ma a compiere il passo successivo verso “l’esterno”, è stata la scuola più tardi definita sistemico – relazionale. Considerando la relazione tra individui come un sistema con proprie caratteristiche e funzioni e trovando nell’interazione e nella comunicazione gli aspetti tangibili di queste relazioni, il modello sistemico-relazionale ha concentrato la propria attenzione sull’analisi del sistema di appartenenza dell’individuo e sulle sue modalità comunicative e interattive. E parlando di sistema di appartenenza si ritorna alla famiglia.

All’interno di questo modello si è infatti poi venuta a strutturare una tipologia di intervento rivolta alla famiglia: la terapia familiare sistemico-relazionale. In questo caso lo psicoterapeuta affronta la famiglia reale, concentrandosi su aspetti interattivi visibili e non tanto sulle rappresentazioni interne.

Salvador Minuchin, autore del libro “Famiglie e Terapia della Famiglia”, è uno dei principali esponenti di questo approccio. Soffermandosi sullo studio del sistema famiglia, nel proprio libro egli afferma che “La struttura familiare è l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono”. Scrive di struttura, funzioni e modalità interattive. Aggiunge anche che “Una famiglia è un sistema che opera tramite modelli transazionali” affermando che proprio questi ultimi definiscono il sistema. Nella sua ottica quindi all’interno della famiglia avvengono ripetutamente delle transazioni che stabiliscono dei modelli relazionali. Alla base di queste transazioni vi sono delle richieste funzionali effettuate dal sistema nei confronti di ogni singolo membro. Il risultato dato dalle richieste e dal ripetersi delle transazioni è il sistema. Bisogna però aggiungere un’altra concettualizzazione di Minuchin ovvero che il sistema famiglia è composto da diversi sottosistemi: il sottosistema dei coniugi, il sottosistema genitoriale e il sottosistema dei fratelli. Questi sono separati tra loro da confini. Per l’autore nelle famiglie normali i confini sono chiari, ovvero vi è un equilibrio tra appartenenza e autonomia. I sottosistemi si influenzano a vicenda e sperimentano un’interdipendenza data dall’appartenenza ad un unico sistema, ma riuscendo al tempo stesso a salvaguardare l’autonomia di ognuno. Vi è flessibilità. Nelle famiglie invischiate invece i confini sono diffusi, non vi è separazione tra i sottosistemi. La mancanza di differenzazione genera un forte senso di appartenenza a discapito dell’autonomia personale. Infine in quelle che l’autore definisce famiglie disimpegnate i confini sono rigidi: non c’è comunicazione né senso di appartenenza e si sviluppa nei membri un’incapacità di richiedere aiuto e sostengo quando necessario.

Famiglie invischiate e disimpegnate presentano quindi modelli transazionali rigidi che costringono i singoli membri in posizioni non modificabili, determinando così l’impossibilità di cambiare soprattutto in parallelo al modificarsi delle esigenze dei singoli membri in rapporto allo sviluppo. Perciò la terapia familiare sistemico-relazionale ritiene necessario affrontare la famiglia per individuare e modificare i modelli transazionali alla base di un equilibrio funzionale al sistema, ma patogeno per lo sviluppo di uno dei membri, il così detto paziente designato.

Questo modello, soprattutto nei suoi esponenti di spicco come Minuchin, ha avuto senz’altro il pregio di organizzare e sistematizzare lo studio delle relazioni familiari. È riuscito ad analizzare le interazioni e ad individuare in specifici modelli transazionali dei fattori patogeni per lo sviluppo di alcuni disturbi psichici. Ha avuto il merito di chiarificare e rendere più visibili certi aspetti dell’eziopatogenesi. Ha però rinunciato all’indagine del mondo interiore del soggetto: quel mondo interiore fatto di pulsioni, che probabilmente i primi psicoanalisti avevano eccessivamente separato dal mondo relazionale, ma che comunque non può essere pensato a priori come imperscrutabile e non affrontabile.

In ogni modo, sia volendosi focalizzare maggiormente sui modelli transazionali che sull’intreccio tra pulsioni e relazioni, sia volendo lavorare con la famiglia reale o con la famiglia rappresentata, ciò che senza dubbio è ormai una certezza è che nessun essere umano può restare indifferente a ciò che succede nel proprio vicinato, per quanto scomodo questo possa essere.

E per tornare alla domanda originaria, adesso possiamo finalmente affermare che raramente, nella stanza dello psicologo, si è solo in due.

Dott. Roberto Zucchini

Per approfondire:

Minuchin S. “Famiglie e Terapia della Famiglia.” , Casa editrice Astrolabio, 1977

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