Internet Addiction. Un’arma a doppio taglio

Foto di Robinraj Premchand da Pixabay

La storia di internet è affascinante! Un’idea nata inizialmente nel corso degli anni ‘60 per consentire ad utenti di diversi computer di poter comunicare tra loro, si è evoluta attraverso lo sviluppo tecnologico delle reti di telecomunicazione, fino a giungere negli anni ’90 al lancio del “World Wide Web”. Questo processo di espansione non si è mai arrestato: inizialmente la rete metteva in comunicazione solo i paesi occidentali, poi si è estesa ai paesi in via di sviluppo, oggi tutto il mondo è “collegato”. Noi che apparteniamo al XXI° secolo siamo così abituati all’utilizzo di questo tipo di media, tramite l’uso di smartphone, pc e tablet, che ci dimentichiamo della sua natura complessa e polimorfa, perché siamo ormai dipendenti dalla molteplicità dei bisogni individuali che la stessa rete può soddisfare. La comodità che internet ha fornito e per molti aspetti il suo sano utilizzo, come ad esempio la libertà di informazione, scevra da qualsiasi tipo di controllo mediatico, dato che tutti hanno diritto di parola, nasconde il suo “lato oscuro”, l’altra faccia della medaglia di questo strumento.

Per internet addiction si intende un disturbo specifico connesso all’abuso di questo mezzo di comunicazione. Una tecnologia così capace per le proprie caratteristiche tecniche di facilitare, o in taluni casi di provocare, alcuni fenomeni psicologici/psicopatologici non può che far riferimento all’insieme di bisogni e scopi propri dell’utente che trovano così in internet una soddisfazione immediata. Da tutto ciò deriva un insieme di disturbi compresi nella categoria diagnostica “Internet Related Psychopathology” (IRP), ancora non del tutto sistematizzati e definiti. Per esempio vi sono diverse persone che provano serie difficoltà a stabilire nuovi legami amicali/affettivi nel mondo reale, per problemi che possono spaziare da una propria insicurezza ad un’ansia sociale. In questo caso la rete offre un’effimera soluzione: e-mail, chat rooms o newsgroup, diventano un modo di relazionarsi con gli altri senza mettersi in gioco. La conoscenza che si crea tra le persone che abitualmente si collegano tra loro spesso rimane confinata nei limiti della rete. Viene così allontanata l’idea di conoscersi realmente per mantenere, invece, un’immagine “virtuale” di sé e dell’altro soddisfacente o addirittura idealizzata. A tal proposito porto il caso di una mia paziente, la signora F. Questa donna passa intere serate su “Badoo”, una community per conoscere nuovi amici o probabili relazioni sentimentali. Il problema non sarebbe neanche il tempo passato su queste chat, quanto piuttosto le aspettative che si creano nelle relazioni che nascono da esse. “Non capisco perché dopo aver parlato con me lo vedo che continua ad essere connesso. Forse oltre a me parla anche con qualcun’altra?” è una delle domande più frequenti. Come si possono avere aspettative su qualcuno con cui non abbiamo e forse non avremo mai una relazione concreta, reale?

Per non parlare del Cybersex, tutte quelle attività di carattere sessuale svolte in rete: per chi è dedito e dipendente da questa condotta, il sesso migliore è quello che si fa con un partner attraente e compiacente, evitando ogni tipo di coinvolgimento fisico. In questo caso non si tratta solo di voyeurismo, eccitazione derivante dalla mera osservazione di persone nude o intente in un rapporto sessuale, in alcuni casi vi è anche una partecipazione attiva del soggetto interessato, ma sempre attraverso lo schermo di un computer.

A febbraio 2013 è stata resa nota una ricerca sul cyberbullismo condotta da Ipsos per Save The Children, che aveva lo scopo di analizzare le abitudini di fruizione del web da parte di ragazzi italiani. Ne emerse un’inclinazione sempre più frequente tra i pre-adolescenti, ma ancor di più tra i teenager, a sperimentare attraverso l’uso delle nuove tecnologie una socialità aggressiva, denigratoria, discriminatoria, e, purtroppo, spesso violenta. Secondo questa indagine il cyberbullo attacca principalmente (61%) sui social network (Facebook, Twitter, Instagram), colpendo la vittima attraverso la diffusione di immagini denigratorie o tramite la creazione di gruppi “contro”. A quanto pare 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo online verso i coetanei, percepiti come “diversi” o per l’aspetto fisico o per l’orientamento sessuale o perché stranieri. Le conseguenze del cyberbullismo nella vittima possono portare ad uno scarso rendimento scolastico,  fino a esitare in situazioni più gravi, con serie conseguenze psicologiche come la depressione. 

Un altro esempio di abuso di internet può essere rappresentato dal gioco d’azzardo compulsivo attraverso l’accesso a casinò virtuali o a siti per scommettitori, che facilitano sicuramente lo sviluppo di tale compulsione ed interessa fasce di età sempre più giovani. Basta che il bambino si trovi accidentalmente collegato ad uno di questi siti e dichiari un’età maggiore di quella effettiva.

In tutti questi esempi di internet addiction appare evidente che a rischio sono più spesso gli adolescenti, dal momento che la rete è in grado di appagare il loro Io ideale: hanno un beneficio immediato in termini di considerazione di sé e da parte dell’altro. Sono in molti a ritenere allarmanti i dati relativi all’uso del web soprattutto da parte dei teenager. Nell’affrontare questa tematica occorre però necessariamente riferirsi al contesto educativo contemporaneo. Nelle società occidentali i genitori sono rimasti i principali trasmettitori di esperienze e di valori alla prole, attraverso i quali i figli plasmano il senso di Sé. Solo se i genitori saranno in grado di rispondere in maniera idonea alle richieste emotive ed affettive dei figli, questi ultimi potranno sentire di ricevere una base e una guida sicura, così da imparare a conoscere e confrontarsi con i limiti personali. Quindi se da un lato gli adolescenti portano una funzione innovatrice per le generazioni precedenti riguardo l’utilizzo di internet, queste ultime dovrebbero fornire un adeguato contenimento genitoriale per permettere ai figli di metabolizzare un così elevato carico di informazioni e non sfociare nella confusione di identità. Ovviamente la funzione normativa e contenitiva genitoriale che dovrebbe aiutare l’adolescente a stabilire il confine tra dove finisce l’uso e dove inizia l’abuso riguardo la fruizione di internet, dovrebbe essere supportata dalle Istituzioni educative: dalle scuole alle università.

Dott. Andrea Rossetti

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andrearossetti217@gmail.com

Per approfondire:

Lucchini A., (2014) “Droghe, Comportamenti, Dipendenze.”  Milano: Franco Angeli Ed.

Meluzzi A. (2014) “Bullismo e Cyberbullismo” Reggio Emilia: Imprimatur Ed.

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