Processi di creazione e generatività
Il ruolo della creatività nell’autostima dell’anziano
“Ma accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da esser contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava, era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute. Oltre a questo, nulla importava.”
Ernest Hemingway
Il concetto di creatività è molto più complesso di quello che si è portati a pensare. Nel corso del tempo, il suo significato è andato via via trasformandosi in qualcosa di sempre più grande e costellato da centinaia di significati.
La creatività, dapprima considerata una peculiarità innata, è – ad oggi – intesa come un processo complesso nel quale interagiscono tra loro diversi elementi sia cognitivi che affettivi.
Negli ultimi decenni si è visto come il processo creativo sia possibilmente attivo in ogni individuo, a prescindere dall’età e dalla modalità nella quale esso si presenta. Alcuni studi a sfondo psicologico hanno proprio dimostrato come il riuscire ad essere creativi ed esprimere le proprie potenzialità, sia un fattore determinante per l’incremento di un’ottimale qualità della vita non solo nei bambini, ma anche negli adulti e soprattutto negli anziani. Sin dall’infanzia, i processi creativi, la curiosità di apprendere e le rappresentazioni costruite, vanno a contribuire alla costruzione di un’identità individuale e unica che è parte della personalità di ognuno. Per questo motivo, la creatività rappresenta un fattore decisivo nell’invecchiamento, poiché consente di mantenere la propria identità.
L’avvento della veloce tecnologia ha spinto la società a concentrarsi sempre di più sulla quantità, piuttosto che sulla qualità, e, come afferma Giacobbi, anche sulla vita umana ci ritroviamo a concentrarci sul mantenere in vita il più a lungo possibile un nostro caro, arrivando anche a 100 anni, tralasciando però tutto l’aspetto della qualità della vita. L’anziano perde il suo archetipo Junghiano del “Senex”, il saggio, diventando un eterno giovane fino all’arrivo di una vecchiaia fetalizzante. Dinanzi al sopraggiungere della vecchiaia, l’anziano inizia a guardare al passato, terrorizzato dal proprio futuro, con ipotetiche infermità o patologie mortali. L’anziano diviene estremamente vulnerabile allo stress, sia da cause ambientali che relazionali. Sempre in riferimento all’attenzione sulla qualità della vita, comprendiamo come nessuno dovrebbe essere lasciato da solo a fronteggiare i problemi dell’età che avanza e le tematiche riguardanti la morte. La solitudine svuota di senso le giornate – il potenziale “tempo libero” tende ad essere percepito come “vuoto” – innescando o alimentando un disagio psicologico che può sfociare in ansia e depressione.
In un’ottica di resilienza, l’anziano ha bisogno di avere accanto una sorta di “tutore di resilienza”– una figura affettivamente significativa (un parente, un amico, uno psicoterapeuta, un operatore assistenziale, od un semplice volontario) – che ascolti la sua storia colmando eventualmente le lacune esistenti, o che gli rammenti il suo vissuto, tante e più volte, per mantenere viva una traccia, conservare un ricordo. Si ipotizza che un ambiente a “bassa emotività espressa” dove l’atteggiamento prevalente verso l’anziano comprenda accettazione ed empatia con adattamento flessibile alle richieste ed ai bisogni espressi, direttamente o indirettamente, sia “protettivo” nei confronti della salute psicologica dell’anziano. Solo mediante una attenta stimolazione emotiva, mediante l’ascolto, i sorrisi e i ricordi di ciò che si è, può permettere di ridonare un colore ed una degna qualità di vita alla persona anziana, cercando di contrapporsi ad un’idea della vita basata unicamente sui numeri, la produttività e la quantità; ma se ci pensiamo bene, tutto ciò non è valido soltanto per la persona anziana, bensì per la persona umana.
Nel caso specifico degli anziani con demenza, ad essere compromessa è la loro autostima, l’autorealizzazione e autoefficacia, soprattutto nelle prime fasi della malattia, in cui l soggetto è ancora ben cosciente e lucido riguardo a ciò che gli sta succedendo. In questo specifico momento, il subentrare della creatività e attività ad essa connesse, risulta essere di grande impatto. L’atto del creare, del generare è altamente funzionale e gioca un ruolo fondamentale nei soggetti in questa fase di vita.
È pensiero comune associare l’individuo anziano ad un’idea di immobilità, di stagnazione dei processi produttivi e questo può portare con sé pensieri di inutilità, di vuoto e di inefficacia. Le attività a stampo creativo mettono un freno a questi pensieri ripetitivi negativi che col tempo portano ad un abbassamento di autostima nell’anziano e innescano invece un pensiero meraviglioso: “Sono ancora in grado di creare, di dar vita a qualcosa”. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che la partecipazione di persone con demenza a corsi di arte-terapia, porta a molti benefici, tra cui una maggiore calma e socievolezza e una mente più nitida.
Le attività che mettono in gioco la creatività sono tante, potenzialmente infinite (se pensiamo che anche inventarsene di nuove fa parte di un intricato processo creativo).
Ad oggi, sono infatti molto diffusi i cosiddetti “laboratori esperienziali”, nei quali professionisti formati accompagnano l’anziano in attività creative andando ad amplificare anche altri canali comunicativi attraverso l’uso del linguaggio non verbale, delle espressioni facciali, della postura. Attraverso l’uso dell’arte e musico-terapia, del teatro e altri metodi individuali o di gruppo, l’anziano ha così la possibilità di sentirsi ancora produttivo e non fermo immobile in quella fase della vita in cui la società impone di inserirlo, portando così dei miglioramenti nella sua qualità di vita e – di riflesso – in quella dei caregiver.
Dott.ssa Ottavia Fasciano
Riceve su appuntamento a Chieti
Per Approfondire:
Cesa-Bianchi, G., Porro, A., & Cristini, C. (2012). Processo creativo e longevità. Giornale di Gerontologia, 60, 3-7.
Giacobbi Secondi (2013) “Vecchiaia e morte nella società fetalizzata”
Galimberti Umberto (2002) ” Psiche e Techne. L’uomo nell’età della tecnica”
Guenon REne (1945) ” Il regno della quantità e i segni dei tempi”