La vergogna
Quando arrossire ci mostra agli altri
In moti proviamo vergogna, probabilmente ognuno di noi l’ha provata almeno una volta nella vita, ma credo anche di più. Diverse situazioni, dal parlare in pubblico, fare un reclamo, affrontare un esame, al chiedere un’indicazione, possono condurci ad uno stato di preoccupazione riguardante l’impressione che gli altri hanno di noi e iniziamo ad aver paura di essere criticati, di apparire ridicoli, non adatti alla situazione, goffi e così il nostro comportamento viene alterato ed incappiamo in “errori stupidi” che non avremmo mai fatto, peggiorando a volte la situazione. Sono tutte situazioni in cui siamo esposti all’altro, che ci “vede” in un determinato modo e che forse non collima con la percezione che abbiamo di noi stessi (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “L’insicurezza patologica – Ciò che non amo di me“).
Dal punto di vista fenomenologico la vergogna viene spesso paragonata ad una sensazione improvvisa di disagio e di nudità, ci si sente come se si fosse completamente a nudo, scoperti davanti all’altro. Ciò porta l’individuo che prova vergogna a desiderare di scomparire all’istante, di diventare invisibile; la sensazione è quella di essere bloccati, pietrificati.
Quando le persone provano vergogna, tentano di nascondere il loro viso voltandosi oppure chiudono gli occhi e si rifiutano di guardare facendo appello ad un pensiero magico che dice loro: “se non guardi non puoi essere visto”, mentre il rossore sulle gote rende ancor più visibili.
Ciò che constatiamo dal punto di vista fenomenologico può essere riscontrato nel racconto della religione cristiana che fa risalire al peccato originale la causa della perdita di una condizione paradisiaca, ma anche l’origine della vergogna. Nell’Antico Testamento viene raccontata la libertà di Adamo ed Eva di obbedire o disobbedire e che alla disubbidienza segue la punizione divina. Adamo ed Eva disubbidiscono perché mostrano curiosità, la curiosità che caratterizza l’uomo e che lo dirige verso l’ignoto.
Tale curiosità è talmente forte che i due assaggiano il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. La curiosità dunque li porta alla conoscenza, ma anche a sperimentare la vergogna. Adamo ed Eva si accorgono di essere nudi e si sentono particolarmente esposti davanti a Dio, e questo è prova stessa dell’aver mangiato il frutto proibito. Dunque la curiosità porta alla conoscenza che a sua volta porta alla vergogna. Una concatenazione di eventi che si riscontra in questo antichissimo racconto e che rappresenta l’ontogenesi della vergogna nello sviluppo del bambino e descrive il processo di attivazione della vergogna nell’adulto.
Il racconto di Adamo ed Eva ci fa riflettere su un aspetto fondamentale, ovvero che la vergogna per emergere ha bisogno dell’interazione con altre persone, o perlomeno della loro presenza. La preoccupazione è rivolta a comprendere quale opinione l’altro ha di noi nel timore che possano giudicarci in modo negativo.
La vergogna sembra essere predominante in tutte le nostre manifestazioni e sembra così fare da sottofondo nella nostra quotidianità, nei nostri gesti, nei nostri comportamenti, nei nostri disturbi.
Dunque facendo riferimento anche al racconto biblico, possiamo leggere il vissuto della vergogna come una sensazione di smascheramento in cui la maschera che protegge la propria intimità, il proprio sé e l’immagine del proprio sé viene a mancare e ci si ritrova completamente disarmati davanti all’altro. Ciò comporta che l’altro ha la possibilità di vedere noi stessi senza alcun filtro e dunque ci si sente visti per come si è e non per come ci si sarebbe voluti mostrare. Dunque la vergogna ha il ruolo importante di proteggere e promuovere l’identità personale. Inoltre è molto legata alla percezione visiva e per questo molto spesso le insicurezze relative all’immagine del proprio sé sono tradotte nell’atto di vergognarsi del proprio aspetto fisico o di alcune particolarità del proprio corpo o dei propri atteggiamenti, movimenti, che sono direttamente visibili dall’altro. Siamo nell’area dell’autogiudizio e dell’autocondanna.
Parlando di vergogna ci poniamo in una posizione di confine tra tutto ciò che è intrapsichico e che riguarda dunque la parte più intima dell’individuo, il suo sé, la sua sofferenza e i suoi disagi, e tutto ciò che riguarda la sfera interpersonale e dunque a tutto ciò che si riferisce alle relazioni con gli altri e che determinano dei vissuti relativi al sentirsi visti dagli altri ( Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Dipendenze da social network – Forgiare il proprio sè nella rete”). Tutto ciò è interconnesso con la sfera oggettuale e la sfera narcisistica.
Il senso di vergogna però non è solamente legato al modo in cui ci si percepisce e al timore su come gli altri percepiscono noi, ma è anche legato a ciò che facciamo, in particolare, se la nostra azione è percepita da noi stessi in primis come da condannare. Questo rimanda anche al senso di colpa da non confondere con la vergogna. Mentre la colpa richiede come rimedio la ricerca del perdono, la vergogna è una condanna verso se stessi e non verso ciò che si è fatto, e fa sì che ci si percepisca come deficitari, imperfetti e inadeguati, e per far fronte ad essa bisogna intraprendere un difficile lavoro di accettazione di sé e delle proprie imperfezioni. La vergogna quindi ha a che fare particolarmente con l’identità, con l’immagine di sé, con quegli aspetti difettosi di se stessi in cui è riposta, consciamente o inconsciamente, la propria identità. Nella relazione avviene lo svelamento della propria personalità che passa attraverso lo sguardo dell’altro e il sentimento di vergogna deriva dalla fissazione di un’immagine di se stessi inadeguata e inaccettabile con cui la persona tende ad identificarsi ripetutamente.
La vergogna sorge quando siamo costretti a mettere in relazione e a confronto il modo in cui noi pensiamo a noi stessi e il modo in cui gli altri ci percepiscono, facendo fronte così ad una eventuale discrepanza che provoca un senso forte di destabilizzazione. Queste esperienze possono essere accettate e dunque possono divenire un utile ed ottimo strumento di miglioramento di noi stessi, ma se vengono allontanate, negate vanno a favorire lo sviluppo di una corazza difensiva sempre più dura.
Internet e telefonini aiutano la nostra società ad esprimersi senza farsi vedere, senza vedere.
Forse dovremmo curare di più le relazioni corpo a corpo, perché proprio queste, anche se a volte sono difficili e creano disagi, ci danno la possibilità preziosa di migliorare. Il miglioramento viene attivato dalla relazione e per questo diventa un potentissimo strumento sociale che rafforza gli individui e la trasmissione dei valori della società stessa.
Dott.ssa Emanuela Sonsini
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Per Approfondire:
Nuove prospettive in psicologia N 1 Maggio 2010 edoardogiusti e maria frandina Le radici della vergogna
Il sé a nudo, alle origini della vergogna; Michael Lewis Giunti 2005