Pelle e Psoriasi, Un fortino per le emozioni
La pelle: punto di contatto ma anche punto di confine fra noi e l’altro, fra il dentro e il fuori. Costituendo un involucro di protezione per i nostri organi interni, accanto alla funzione di rivestimento corporeo, a quella di termoregolazione e di massiccia difesa da ogni sorta di aggressione esterna, dobbiamo anche pensare che la nostra cute possiede una fondamentale funzione in campo relazionale. Facendo ricorso ad un po’ d’inventiva potremmo quasi associarla ad una fisarmonica, che ora allunga e ora accorcia le sue braccia immaginarie, modulando opportunamente le distanze da tenere nei contesti più diversi in cui si trovi immersa: proviamo a figurarci anche solo per un attimo, come durante un rapporto sessuale fra due amanti quei confini siano ridotti al minimo, quando la pelle dell’uno sembra quasi fondersi con quella dell’altro, prestandosi così ad una piena “esposizione”.
Uso qui il termine esposizione proprio intenzionalmente, essendo la nostra pelle un vero e proprio ricettacolo per l’espressione dell’intero ventaglio emozionale: sia che essa trasudi eccitazione, sia che mostri un timido rossore o che si sbianchi di colpo per uno spavento – per fare solo qualche esempio – essa offre una chiara finestra cui potersi affacciare così da cogliere i più svariati stati d’animo, finanche quelli che spesso si vorrebbero tenere segretamente taciuti. Ed ecco che essa diviene nostro malgrado una cartina di tornasole per quelle fette di vulnerabilità tutte nostre, per i pensieri più profondi, per quelle ansie e tensioni che ci muovono da dentro. Ebbene, in quanto filtro evidente fra mondo esterno ed interno, la pelle può finire col rendere visibili parti “scomode” di noi senza con ciò che vi sia bisogno di rivelarle verbalmente: è essa stessa, a parlare per noi. Nei disturbi dermatologici, al di là degli aspetti organici, la componente psichica gioca spesso un ruolo preponderante, o per lo meno, così sembrerebbe essere nel disturbo che oggi ho scelto di sottoporvi: la psoriasi. E’ una patologia cronica del derma dall’alta componente infiammatoria, al punto che i suoi effetti possono riverberarsi anche su altri distretti, come fegato, cuore o intestino. Questa malattia – che colpisce in egual misura ambo i sessi e si estende fino al 2 – 3% della popolazione generale – possiede inoltre un andamento alquanto ballerino, con fasi di riacutizzazione che si alternano a miglioramenti transitori e ancora a remissioni durature. Pare sia un disturbo dalla matrice multifattoriale in cui è però possibile ravvisare una certa predisposizione genetica che s’intreccia a fattori di tipo ambientale, come il ruolo giocato dallo stress psico – fisico e l’impiego di strategie più o meno efficaci impiegate per farvi fronte. In questa sede mi piacerebbe soffermarmi un po’ sul vissuto soggettivo del paziente psoriasico, che parecchio s’intreccia col simbolismo della sua malattia. Per far ciò è bene partire dall’aspetto in cui si manifesta visivamente il disturbo: nella fase di quiescenza, la pelle del paziente psoriasico presenta delle chiazze rossastre di tipo tondeggiante, su cui vanno a formarsi delle placche molto spesse e compatte dal colore grigiastro, che non permettono a quell’area di operare alcuno scambio coi distretti circostanti. Quando queste squame sono rimosse ad esempio a seguito di un forte sfregamento, ecco che viene lasciata scoperta la ferita sottostante, che si presenta sotto forma di eritema, vivo e sanguinante. La mia riflessione, in effetti, è nata subito dopo aver appreso di questa tipica tendenza della malattia: ho inteso quelle placche così ispessite come un fortino, dietro al quale si trincerano per difesa tutte le emozioni non comunicate e tutti quei colori inespressi del paziente psoriasico, un paziente estremamente rigido, distaccato e schivo, ma anche affettivamente inibito e riluttante a chiedere aiuto, che tuttavia, inconsapevolmente, effettua delle prove di apertura di quel suo mondo segreto verso l’altro.
Ebbene, lo scotto da pagare per questo suo improvviso slancio, è esattamente quello di sentire l’interezza di quella ferita bruciante, di quel varco carico di tutta l’energia pulsionale nascosta che il paziente porta con sé e che si è concesso temporaneamente di aprire, affinché l’altro possa guardarci dentro. In altri termini, potremmo immaginarci quelle squame a protezione di un’affettività sottostante percepita come pericolosa e compromettente, come quel muro necessario e invalicabile che laddove scalato, scoprirebbe ampie zone di vulnerabilità del paziente, il cui contatto col proprio ed altrui mondo emotivo non è mai diretto e spontaneo, data l’elevata componente alessitimica (per un approfondimento si rimanda all’articolo L’Alessitimia – Quando il corpo mette in scena l’emozione, nella rivista di Dicembre 2014), ma mediato da una comunicazione verbale che gli consenta di controllarne l’eccessiva intensità emotiva. In questi pazienti l’estensione delle squame è correlata al grado di fragilità percepita, potendo andare dalla semplice localizzazione su ginocchia, gomiti o cuoio capelluto ad aree corporee anche più visibili e di difficile copertura, come il volto e le mani. Spesso, dietro alla malattia psoriasica, è ben celato anche il dramma di un problema identitario, per cui potremmo idealmente accostare le solide placche – roccaforti alle squame di un serpente, un po’ come se il paziente fosse costantemente impegnato in un estremo tentativo di ricerca del suo vero sé, attraverso il continuo processo del cambio – pelle. Tuttavia le cure odierne – normalmente, farmaci sistemici – permettono di monitorare adeguatamente l’andamento della psoriasi migliorandone il decorso; avendo essa un fortissimo impatto sociale, spesso causato dalla reazione dell’altro alla vista delle lesioni cutanee – su cui spesso aleggia anche un errato convincimento di contagiosità, da cui discende il senso di profondo imbarazzo misto a vergogna del paziente – spesso “risolto” col ritiro – l’impiego correlato di una terapia di supporto psicologico potrebbe certamente aiutarlo nel fronteggiare la barriera della stigmatizzazione sociale, che inficia tanto la qualità del sonno quanto il tono dell’umore, contribuendo ad un più generale miglioramento della qualità di vita ed altresì a prevenire quei disturbi frequentemente associati a questa condizione, quali ansia e depressione.
Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti
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Per approfondire:
Anzieu D. L’Io Pelle, Borla, Roma, 1987
Taylor G. J. Medicina Psicosomatica e Psicoanalisi Contemporanea. Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1993
Anzieu D. L’epidermide nomade e la pelle psichica, Raffaello Cortina, Milano, 1992