La ripresa
Il non ritorno all’eguale
“Io sono di nuovo me stesso. Questo mio Io che nessuno avrebbe voluto accogliere dalla polvere della strada, è di nuovo in mio possesso. La discordia che era in me è placata”.
(S. Kierkegaard)
Freud osservò nell’essere umano una tendenza ripetitiva e estenuante a rivivere le esperienze dolorose. Tale condizione comune di sofferenza a tutti gli individui prese il nome di coazione a ripetere: attitudine incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate. Tale tendenza si attiva, secondo Freud, perché ciò che non è stato compreso, digerito o capito male ritorna sempre quindi l’inconscio attiva comportamenti simili allo scopo di trovare soluzioni e giungere ad un senso di liberazione dai vissuti legati ad eventi traumatici. Sono comportamenti poco funzionali per l’esistenza dell’individuo che impediscono un reale cambiamento e intaccano la libertà decisionale. In questo modo ci muoviamo nel mondo ripetendo gli stessi schemi e rimettendoci nelle stesse situazioni in cui siamo abituati a vivere esperienze che già conosciamo come: instaurare relazioni d’amore con una determinata tipologia di partners o inserirsi in contesti lavorativi poco stimolanti e appaganti anzi a volte persino svalutanti in cui non possiamo far emergere le nostre capacità, arricchirci o farci conoscere per quello che siamo sia a livello identitario che professionale. Possiamo considerare tale modus operandi come un accomodamento all’ambiente che si maschera da sistema di adattamento, il tutto per una illusoria sensazione di avere il potere sulla situazione a scapito di un bisogno reale di cambiamento e di ritrovamento di sé. Nietzsche parla di eterno ritorno dell’uguale per cui l’universo rinasce e rimuore secondo una schema fissa e cicli regolari, ripetendo costantemente un certo corso e rimanendo uguale a se stesso, sempre.
“L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere.”
(F. Nietzsche)
Soren Kierkegaard parla di ripetizione, concetto il quale rappresenta l’atto di replicare dunque di optare per una possibilità di esistenza che c’è già stata. Lo stesso filosofofo teorizza di contro il concetto di ripresa ovvero la presa decisionale in quell’attimo in cui avviene la trasformazione tra la libertà della decisione e ciò che si è già verificato ed è già stato. Secondo tale concezione siamo in grado di decidere in maniera libera perché collochiamo le nostre decisioni nel mondo ineludibile delle possibilità.
La ripresa viene definita come un “saggio di psicologia sperimentale”, opera pubblicata in un anno fruttuoso per l’autore il quale si dedica inoltre alla stesura delle opere “Aut-Aut”, “Timore e Tremore” e “Neve discorsi edificanti”. Le tre opere insieme a quella principale, La ripresa, rappresentano la prodigiosa produzione letteraria dell’autore e il significato insito nell’opera qui trattata è l’espressione di una ferma volontà di superamento.
La puntualizzazione di tale concetto rappresenta l’occasione per riflettere su due situazioni autobiografiche fondamentali, significative e segnanti nella vita del filosofo: la rottura del fidanzamento con Regina Olsen e il secondo viaggio di Kiergegaard a Berlino.
La rottura con la fidanzata Regina segna un importante cambiamento nella vita del filosofo che, non solo pone fine ad una relazione, ma dà inizio ad una nuova fase della sua esistenza. L’autore infatti vive un momento in cui prende consapevolezza che l’individuo riassume il possesso di se medesimo dopo una rottura, nella liberazione dalle preoccupazioni del momento ed egli recupera ciò che ha perso.
Si tratta di un esperimento psicologico in quanto l’opera tratta una sofferenza legata ad un disorientamento esistenziale. In questo senso la disperazione rappresenta per l’uomo quella “malattia mortale” che nasce dallo smarrimento dell’anima, una fase che è ineluttabile per poter passare alla ripresa e al superamento di ciò che è stato. Tale superamento per Kierkegaard si realizza soltanto continuando a ricordare, solo così è possibile “procedere ricordando”.
E mentre attraverso la ripresa ci si riappropria della autenticità e avviene la riattivazione della coscienza, la ripetizione effettua la restituzione del perduto nell’orizzonte dell’eterno. In tal senso nel tempo può esserci restituito solo ciò che è nostro e ciò che è nostro l’autenticità; nell’eternità può esserci restituito solo ciò che non è nostro e che il tempo ci ha tolto per volere del destino.
Ogni scelta richiede sofferenza perché scegliere significa precludersi altre scelte possibili. Scegliere significa sofferenza della mutilazione, la rinuncia a tutto ciò che non abbiamo scelto e che sarebbe stato possibile. I problemi, si collocano nell’“orizzonte della possibilità” e l’individuo deve tollerare una lacerazione profonda in cui la decisione è sospesa nell’attuazione dell’azione libera.
L’esistenza dell’uomo è caratterizzata da una angoscia ineludibile che accompagna ogni stato d’animo. Sia la ripresa che la ripetizione sono entrambe in relazione con una sofferenza profonda per la perdita, per ogni proposito e ogni decisione.
La condizione dell’angoscia libera l’individuo dalle possibilità non realizzate e lo rende libero per le possibilità autentiche.
Allo stesso tempo egli riprende e recupera ciò che è stato e si riappropria di tutta la dimensione consapevole della soggettività all’interno dell’autenticità dell’esistenza.
Ciò che è già stato reca con se il peso dell’accaduto che è immodificabile: l’individuo prova sofferenza e disperazione nonché nostalgia del ricordo, che allo stesso tempo rappresenta un ostacolo per la ripresa sublimato dal desiderio. Il desiderio della ripetizione. La ripresa possiede un valore aggiuntivo rispetto alla ripetizione e rappresenta un allontanamento dai comportamenti ripetitivi, per essere diversi e non sempre gli stessi.
il coraggio di dimenticare è positivo in confronto alla negatività del coraggio di ricordare. Certo è che il primo atto richiede una sofferenza più impegnativa un vissuto emotivo più intenso e la ripresa rappresenta una analisi esistenziale tra oblio e memoria. Per ciò che concerne il grado di sofferenza, Kierkegaard sottolinea che essa accompagna la nostalgia del ricordo e che quando si ricorda un amore non si ha nulla da perdere in quanto tutto è già perduto, tanto vale impegnarsi a riprendersi e non vivere nella ripetizione del ricordo che distrugge l’esistenza per una sofferenza immane.
Si rimanda all’articolo “L’angoscia del cambiamento – immergersi nell’indefinito”.
Dunque la ripresa rappresenta la riappropriazione di un nuovo presente che sia liberatorio rispetto al passato perduto. In assenza della capacità di ripresa, la vita si dissolverebbe in uno strepito vuoto e vana. Ci si impadronisce, dunque, di nuovo della propria esistenza ma anche della propria autenticità.
L’autenticità riconquistata indica la ripresa della propria esistenza in modo unico e irripetibile. Per il concetto stesso di riappropriazione e autenticità, l’individuo, per quanto finito e fragile possa essere come lo è il proprio corpo, destinato alla morte, è munito di una grande e immensa libertà sulla quale ha bisogno di porre coscienza per sapersi sperimentare e riprendere da un passato perduto e che rievoca vissuti di nostalgia e che reca dolore, come inquieto e angoscioso sarà il percorso di ripresa.
Nietzsche ci suggerisce di vivere ogni istante della nostra vita in tutte le sue ambivalenti e complesse sfaccettature per immergerci nella dinamicità del divenire. Perché l’eterno ritorno distorce la realtà, quella realtà da cui torniamo e che pensiamo di conoscere.
Dott.ssa Ilaria Pellegrini
Riceve su appuntamento a Pomezia e Roma (zona Piramide)
(+39) 3897972535
ilariapellegrini85@gmail.com
Per approfondire:
Freud S., Al di là del principio di piacere (1920)
Kundera M., L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984)
Rizzacasa A., Per un’antropologia della finitezza (2018)
benessere, consapevolezza, psicologia del profondo, ripresa, scegliere, scelta