Incedere tra le separazioni
Nuovi luoghi per trovarsi

 Prima di mettersi in cammino si allacciano le scarpe, capita poi che lungo il tragitto ci siano dei nodi più resistenti e alcuni invece troppo lenti. Per poter continuare il viaggio spesso siamo portati a riannodare i lacci, con la speranza che almeno per quel tragitto reggano, a volte succede, a volte si slacciano nuovamente. Questi nodi metaforicamente possono considerarsi alla stregua di tutti quei legami che nel corso della vita si intessono, alcuni durano il tempo di qualche passo, altri il tempo di una maratona. Ciò che però risulta imprescindibile è il bisogno di ciascuno di noi di riannodare quei due lembi di stoffa per prevenire l’inciampo e per continuare nel nostro percorso.

 Ogni giorno ciascuno di noi si confronta con il tema della separazione che vede quei due lacci divisi, dopo un pezzo di strada insieme. Ci si separa dai genitori, dagli amici, dai partner, ma anche dai colleghi o dal cassiere al supermercato. Il terapeuta e il paziente si separano tra una seduta e l’altra, come per la pausa estiva o per la chiusura di un percorso.

Ci sono quindi delle separazioni quotidiane e poi ci sono quelle che durano il tempo di una vita. Paradossale e significativo è che venendo al mondo compiamo la nostra prima separazione, uscendo dalla dimensione simbiotica emblematicamente rappresentata dall’esperienza di vita intrauterina. La separazione sembra quindi essere un presupposto alla base della nostra esistenza.

Recentemente è uscito al cinema Past Lives, film di debutto come regista per Celine Song, che con delicatezza e semplicità tratta il tema delle separazioni e degli incontri che attraversano il tempo e abitano diversi spazi. Oltre alla separazione, c’è l’incontro tra vecchi volti e nuove conoscenze che si annodano lungo un filo rosso, che fa da sfondo a queste esistenze. La separazione diventa quindi occasione di movimento e di apertura a nuovi orizzonti.

Nelle separazioni a lungo termine si fa l’esperienza della sensazione del vuoto, della nostalgia, delle assenze che a volte sembrano essere più ingombranti delle presenze. E a volte, solamente attraverso tali vissuti, si svelano nuove frontiere del Sé mai esplorate o per troppo tempo taciute. L’elaborazione del lutto spesso porta a scoprire legami mai conosciuti con chi si è perduto.

 A proposito della separazione, Freud in Lutto e melanconia (1915) si sofferma proprio sulla differenza tra queste due esperienze di separazione, che hanno esiti e caratteristiche completamente differenti. Nell’esperienza del lutto il soggetto vede impoverito e svuotato il mondo, mentre nella melanconia il soggetto vive come depauperato il proprio Io. 

La distinzione tra le due esperienze appare quindi connotata da contenuti differenti; soffermandosi sulla melanconia Freud spiega esserci un’identificazione del soggetto con l’oggetto d’amore perduto, allo scopo di negare la separatezza da esso e sottraendosi di fatto al sentimento di perdita.

 L’autore specifica infatti che nel tentativo di evitare il dolore il melanconico rinuncia ad una parte della propria vitalità emotiva. In questo tipo di separazione quindi la perdita diventa occasione di sacrificio di qualcosa di più costoso, l’esperienza della realtà esterna. Sottraendosi all’elaborazione del lutto il soggetto entra in un conflitto interno, sottoponendosi ad autorimproveri, che causano anche un abbassamento dell’autostima. In questa dinamica è negata l’occasione di un nuovo incontro e di una nuova possibilità di amare; il melanconico si ripiega su se stesso devitalizzato e scarico. Il passo quindi si arresta in un luogo senza tempo. Il lutto invece si designa come un processo di separazione fisiologico e conscio, che attraversa differenti fasi di elaborazione.

In sostanza nel lutto il soggetto sa chi ha perso, mentre nella melanconia il processo è principalmente inconscio, ma nelle occasioni di maggiore consapevolezza, il soggetto pur sapendo chi ha perso, non sa cosa ha perso di quell’oggetto.


Spesso a seguito di una separazione si sperimenta un senso di solitudine, che ha a che fare con la perdita non solo dell’altro, ma anche con tutte quelle parti di sé dotate di significato all’interno della relazione; nel momento del distacco si può sentire di non poter più dare espressione a tali parti, chiudendosi in una dimensione di isolamento. La solitudine può far sentire il soggetto lontano da ogni altro legame affettivo, portandolo a sperimentarsi come irraggiungibile sia per propria volontà che per contingenza. A proposito del necessario bisogno di isolamento Winnicott in Comunicare e non comunicare: studio su alcuni opposti (1963) scriveva “ è un gioco raffinato il nascondino in cui è una gioia nascondersi ma è un disastro non essere trovati”. In tal senso legittimava il bisogno di non sentirsi esposti, accostandolo a quello di essere però riconosciuti e trovati. Prendendo in prestito la metafora di Winnicott si potrebbe dire che le separazioni, come il gioco del nascondino, a volte celano la figura del nostro compagno di giochi, ma non per questo non possono rappresentare l’occasione per essere trovati, ritrovati o per trovarsi. Alla base sicuramente deve esserci la tendenza ad incedere tra le separazioni, alla ricerca dell’incontro. 

Dott.ssa Valentina Merola

Psicologa a Roma

e-mail: vale.merola@hotmail.it

Per Approfondire

Freud S. (1915e) “Lutto e melanconia”. In Metapsicologia. In OSF, vol. 8

Winnicott D. W. (1963a) “Comunicare e non comunicare: studio su alcuni opposti”. In Caldewell, L., Joyce, A. a cura di (2012) Leggere Winnicott. Tr. It. Franco Angeli, Roma

Ogden T.H. (2008) L’arte della psicoanalisi, sognare sogni non sognati. Raffaello Cortina Editore, Milano

Ogden T.H. (2022) Prendere vita nella stanza d’analisi. Raffaello Cortina Editore, Milano

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