L’attacco di panico. Quei sani sabotatori interni

Tutti noi abbiamo almeno una volta sentito parlare del “celebre” attacco di panico, molti di noi conoscono persone che ne hanno avuto uno, altri lo hanno sperimentato in prima persona, altri ancora se lo sono autodiagnosticato grazie alle notizie frammentarie provenienti da amici, conoscenti, internet etc.

Si potrebbe quasi dire che l’attacco di panico è la patologia di questi anni. Un po’ come era avvenuto per l’isteria tra fine ‘800 e inizio ‘900. Infatti, le patologie, soprattutto quando parliamo dell’area psichica, rappresentano un riflesso della cultura, del pensare comune e del periodo storico in cui si manifestano. Così come l’isteria era una patologia che metteva in scena sul corpo tutta una serie di vissuti emotivi inaccettabili per la società del tempo e quindi per la coscienza dell’individuo (per un approfondimento si rimanda all’articolo sull’Isteria della rivista di aprile), così nell’attacco di panico, i black out incontrollabili cui l’individuo va incontro rappresentano dei segnali che la nostra mente, attraverso il nostro corpo, ci manda, per segnalarci che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. 

La società odierna è una società frenetica, richiestiva, competitiva, che pretende dall’individuo il massimo e lo pretende sempre, senza defaillance o sbandamenti. È una società che tende a ridurre l’individuo ad una macchina, macchina che deve essere sempre pronta ed efficiente. In quest’ottica la soggettività, l’umore, la stanchezza, ma soprattutto la malattia, sia essa fisica o psichica o, come quasi sempre accade, una combinazione delle due, non è contemplata, non è prevista, non è accettata. Tutto questo è chiaramente esasperato da una situazione di crisi economica, dove all’individuo si richiede di più e si restituisce di meno: i ritmi lavorativi diventano dunque stabilmente serrati, oltre le possibilità umane, e la retribuzione si abbassa, richiedendo all’individuo sacrifici per poter mantenere lo stile di vita precedente. È un sistema che va incontro al collasso, ma paradossalmente continua ad alimentarsi e mantenersi tale, talvolta addirittura ad aumentare ritmi e frequenza.

In questo panorama, l’individuo ha due possibilità: adattarsi al sistema, facendo richieste oltremodo sopportabili a se stesso, o rifiutarlo e rimanerne al margine, con tutte le conseguenze che ne derivano.

L’individuo che sceglie di adattarsi, assimila nel tempo le richieste del sistema e le fa proprie. È un individuo orientato al perfezionismo, che pretende da se stesso una performance impeccabile, e la pretende sempre. Che mantiene una soglia di attenzione e concentrazione costantemente alta. Che non contempla l’idea dell’inefficienza o del riposo. Che non contempla l’errore umano, né tantomeno la defaillance dovuta alla stanchezza. L’individuo che si iper-adatta al sistema è un individuo–macchina, con un’agenda scandita in ogni sua parte, con un incastro da far invidia ad un campione di Tetris. È un individuo che, per forza maggiore, si piega alla dittatura del fare e del produrre, trascurando l’ascolto di se stesso, delle proprie esigenze e dei suoi ritmi personalissimi di vita. È un individuo di successo, che riscuote consensi ed invidie dalle persone che lo circondano, che desidererebbero essere efficienti come lui.

È in un panorama come questo, dove ci dimentichiamo di ascoltare noi stessi e le nostre esigenze, che la nostra mente, ad opera del nostro corpo, ci “sabota”. È in un panorama come questo che può manifestarsi l’attacco di panico.

Lui ha completato con grandi sacrifici tutti gli esami universitari prima del tempo ed ora, che non gli resta che scrivere la tesi, ogni qual volta è in procinto di mettersi al computer, sperimenta un’esperienza di panico, che lo blocca completamente. Lei ha appena ottenuto un’importante avanzamento di carriera. È entusiasta, non vede l’ora di iniziare. Eppure, ogni qual volta sale in macchina, non riesce a guidare, il panico si impossessa di lei.

Entrambe le persone degli esempi sono di fronte ad importanti cambiamenti nelle loro vite, eppure, nonostante dall’esterno tutto risulti lineare, perfetto, qualcosa sembra non andare.

Cosa hanno significato tutti quei sacrifici e quelle privazioni per lui? Cosa significa simbolicamente la laurea per lui? Cosa implica l’avanzamento di carriera per lei? Quali sono le paure che si celano sotto questo cambiamento?

Il panico funge in questo caso come un regolatore interno, che sembra suggerire ai nostri “esempi” di rallentare. Anzi, l’attacco di panico non è un suggerimento, è un ordine della nostra mente attraverso il nostro corpo a rivedere qualcosa della nostra vita, qualcosa che evidentemente non è proprio così “perfetta” come dall’esterno potrebbe sembrare.

L’attacco di panico è un episodio di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell’ansia normalmente presente. È accompagnato da sintomi somatici e cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore.

L’attacco di panico è in realtà un sintomo, non una patologia. E come tutti i sintomi, va interpretato, va compreso. Cosa ci vuole comunicare la nostra mente, attraverso il nostro corpo?

Vuole forse comunicarci che in realtà non siamo poi così soddisfatti di aver fatto tutti questi sacrifici e di esserci privati di tutte queste esperienze per ottenere la laurea prima del tempo? Vuole forse mettere in discussione il fatto che lo stessimo facendo per noi stessi? Vuole forse comunicarci che in realtà temiamo questo avanzamento di carriera, perché richiederà ancor più tempo e fatica, già esauriti da tempo dalla posizione ricoperta precedentemente, da dedicare al dio-lavoro, privandone dunque la propria vita privata, le proprie relazioni ed il proprio tempo libero?

È quindi in questi momenti, in cui assimiliamo modelli esterni e li facciamo nostri e ci vogliamo convincere che ci corrispondano perfettamente e che possiamo comodamente viverci, che la nostra mente ed il nostro corpo si ribellano, per ricordarci che forse tanto perfetti non siamo, e che tra la propria soggettività ed i modelli che il mondo esterno ci inculca, non può che esserci uno spazio di mediazione, di negoziazione, in cui anche noi possiamo decidere se questi modelli ci vanno bene o meno e se possiamo un po’ scalfirli senza doverci necessariamente annullare davanti a questi tiranni.

  Dott.ssa Giulia Radi

Riceve su appuntamento a Perugia
(+39) 3200185538
giulia.radi@hotmail.it

Per approfondire:

Erasmo da Rotterdam (1494). Elogio della Follia. Trad. Corbella Ortalli A. (2006), Giunti Editore

Falabella M. (2002). ABC della Psicopatologia: esplorazione, individuazione e cura dei disturbi mentali. Magi Edizioni

Gabbard G. O. (2007). Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina Editore

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