La cura della ferita
Per la cura dei pazienti

Giovanni Battista Cipriani – Chiron Instructing Achilles in the Bow, 1776

il guaritore ferito maneggia l’acciaio
Che indaga la parte malata;
sotto le mani insanguinate sentiamo
l’arte tagliente e pietosa di chi guarisce
e scioglie l’enigma del diagramma della febbre

Quali sono gli aspetti interni che, uniti al sapere e alla tecnica, rendono un terapeuta capace di prendersi cura, profondamente, del paziente? Conoscersi per conoscere l’altro sembra configurarsi come uno strumento elettivo.

Il mito ci insegna che ogni medico, ogni terapeuta, è un guaritore ferito.

Chirone, inventore della medicina e maestro di Asclepio, era uno dei centauri, essere per metà uomo e per metà cavallo. In quanto tale era anche detto “dalla doppia natura”; in lui si compenetravano la natura animale – il soma – e quella umana – la psiche -. Da questo suo dialogo interno nacque il potere terapeutico.

Chirone venne colpito da una lancia avvelenata con il sangue dell’Idra, lanciata per sbaglio da Eracle in lotta contro i centauri, che lo colpì al ginocchio.

Eracle fece di tutto per curare il vecchio amico in preda ai dolori, ma il veleno dell’Idra era troppo potente. La sua ferita non poteva guarire ma nemmeno poteva portare alla morte, poiché egli era immortale. La sofferenza portò Chirone a rinunciare alla propria immortalità scambiandola con la possibilità di morire e mettere fine alla sua agonia. Dona la sua vita per salvare quella di Prometeo, punito da Zeus, anch’egli agonizzante ma in grado di guarire.

La sua ferita era perciò destinata a rimanere sempre aperta: ecco il guaritore ferito.

In questo senso, è impossibile non appellarsi all’archetipo junghiano.

Jung fornisce l’immagine di un medico che è chiamato in causa con tutto il suo essere.  

Il medico può essere efficace nella propria cura se non si rinchiude nel suo abito professionale come fosse una corazza ma se è in grado di entrare in profondo contatto con la propria ferita.

Perciò solo il medico ferito guarisce ed è in grado di guarire.

Il guaritore si allontana perciò dalla visione di guerriero senza macchie e senza paura; è colui che non è immune dalla sofferenza ma sa attraversarla, riconoscerla, dargli un nome ed entrarci in dialogo.

In quest’ottica la ferita assume un valoroso potere.

Il mito ci insegna che ogni medico e terapeuta è un guaritore ferito. È l’inizio, ed è anche la fine in un dialogo circolare in cui la ferita sembra poter essere anche all’origine della chiamata per il guaritore. Non solo nella compiutezza della vita umana ma come punto di partenza per la cura dell’altro.

Ferita o feritoia? Appaiono come due concetti opposti, i due poli che possono essere tenuti insieme. È una ferita ed è anche una feritoia. È quel minuscolo varco, l’apertura minima che consente di tenere d’occhio il mondo interiore, di indagare e scoprire la parte più misteriosa, spaventosa, e sommersa.

È quindi la ferita del guaritore, possiamo dire attraverso la scoperta della feritoia, a configurarsi come la chiave d’accesso al potere terapeutico.

La cura è efficace se guaritore e ferito costituiscono una diade e allo stesso tempo una unità.

In questo profondo dialogo medico e paziente, apparentemente slegati tra loro, appaiono intrinsecamente uniti. L’uno al servizio dell’altro. I due poli che necessariamente devono essere tenuti assieme. Per poter curare, un medico non deve separarsi troppo dal suo aspetto di paziente; dalla sua ferita. Per curarsi e affidarsi alle cure del medico, un paziente deve poter accedere al proprio “medico interiore”, il suo fattore di guarigione, la cura di sé.

Lo psicoterapeuta, il medico, ogni professionista della salute potrà prendersi cura dei propri pazienti avendo dapprima cura della propria ferita-feritoia.

Dott.ssa Chiara Morale

Psicologa a Roma

email. morale.chiara@yahoo.it

Per Approfondire

Carotenuto, A. (1998). Lettera aperta ad un apprendista stregone. Milano: Bompiani editore.

Lingiardi, V. (2018). Diagnosi e destino. Torino: Giulio Einaudi editore.

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