(An)Alice. La storia di una ragazza e la presentazione di un disturbo
In un pomeriggio come tanti, di un giorno pari del mese in cui è “dolce dormire”, accendo il computer, apro banalmente un documento Word e comincio a scrivere, a riversare su questa pagina bianca i contenuti della mia scatola cranica, come se questo schermo fosse un caro confidente, un diario segreto tempestato di glitter rosa nelle mani di una ragazzina, ma sempre con il lucchetto a fianco. Ebbene, ho avuto modo in questa fase della mia vita, del mio percorso formativo, di accostarmi in modo, tanto fortuito quanto intenso, alla Psicologia. Tale accostamento mi ha consentito di interpretare in un’ottica del tutto nuova, diversa ed originale, aspetti ordinari spesso dati per scontati, ma in particolare di venire a conoscenza tramite approfondimenti, del mondo della Psicoanalisi. È bastato un clic del mouse a consentirmi l’accesso a questo mondo, tramite un collegamento Youtube, l’indice del cursore preme la “stringa” ed ecco che in una manciata di secondi, il magico rettangolo del sito di condivisione mi carica un video e in questo video vi è un uomo.
L’uomo in questione è Massimo Recalcati, un nome molto noto in ambito psicologico, tuttavia al di fuori di esso potrebbe rivelarsi utile fornire una breve introduzione. Recalcati è uno psicoanalista, scrittore e docente universitario milanese, autore di diverse pubblicazioni, nonché fondatore nel 2003 di Jonas Onlus, un’associazione, con sede in diverse città italiane tra cui Genova, senza fini di lucro, avente come fine ultimo la realizzazione “di un’istituzione di Psicoanalisi applicata al sociale e alla clinica dei Nuovi Sintomi del disagio contemporaneo”. Presso Jonas vengono quindi trattati casi clinici riguardanti: depressione, dipendenze patologiche, attacchi di panico, disagio familiare e i disturbi del comportamento alimentare.
Proprio su questi ultimi vorrei sviluppare il mio pensiero, avvalendomi inoltre delle illustri parole del Dottor Recalcati, per raccontare la storia di Alice.
Alice è una ragazza che poco dopo i 20 anni, si trova a dover fare i conti con un grande problema; l’anoressia. Mentre scrivo non posso fare a meno di soffermarmi su questa parola, cattura il mio sguardo come una calamita e non è un caso se ho scelto di porre un bel punto fermo, proprio dopo di essa. Vi sono diversi tipi di anoressia: nervosa, restrittiva, melanconica ogni caso è diverso da un altro e assume sfaccettature differenti, ma veniamo ad Alice. Che cosa ha turbato la sua serenità? Ha forse peccato di “ipersensibilità”? È forse stata troppo viziata? Perché certamente, solo una persona che possiede, è appagata da tutto è in grado di rifiutare una risorsa tanto preziosa come il cibo, il nutrimento della sua stessa vita. Ma è davvero solo il cibo che nutre la vita? Alice nel periodo dell’università comincia a fare esperienza di quelle che sono per lei le prime compagnie, i primi legami affettivi che, seppur “sbagliati”, riescono in qualche modo a farla sentire parte di un gruppo. In Psicologia sociale l’appartenenza ad un gruppo valutato positivamente, gioca un ruolo determinante nell’edificazione della propria identità personale, con ricadute positive sull’ autostima e percezione di Sé. Tuttavia lei non riusciva a sentirsi valorizzata all’interno di questo gruppo, si sentiva “in difetto”, ponendosi sempre in confronto con le proprie coetanee, alla ricerca di un’identità, di un punto di riferimento. Questo confronto ossessivo, per converso, punta a minare severamente la propria autostima e, se vogliamo, la fuoriuscita dell’unicità. Come ha asserito Recalcati in una delle sue conferenze: la donna ricerca sempre nell’altra donna, come si fa ad essere Donna. Ma le Altre apparivano sempre ai suoi occhi come più amabili, forse a causa di essere sempre stata l’ultima scelta: nella formazione della squadra di pallavolo, l’ultima ad essere chiamata dal capitano e che non era mai il capitano, l’ultima in ordine alfabetico, l’ultima alla quale viene chiesto un consiglio in merito a una decisione, l’ultima ad essere presa in considerazione in una scelta amorosa, o ad essere scelta solo al fine di arrivare a un altro Soggetto, divenendo puramente oggetto snaturato, imbrogliato, svuotato. Se Alice dovesse leggere queste parole adesso, probabilmente le apparirebbero come sciocchezze post-adolescenziali, nulla di cui deprimersi, nulla di patologico, sono cose normalissime, ma in quel tempo, si sono rivelate fondamentali, modellatrici non tanto della sua essenza, quanto della percezione del Sé. A questo punto, a mio giudizio, si innesca il meccanismo della Profezia che si auto adempie, conosciuta anche sotto la denominazione di “Effetto Pigmalione”. Immaginatevi quindi, raffiguratevela proprio questa Alice, fatela vostra, nel volto di una fidanzata, un’amica, una sorella, una figlia, come più vi piace, cercate di connettervi empaticamente con lei, perché questa Alice, nell’universo femminile, può rappresentare chiunque, ne assume le sembianze, le fattezze. Come si comporta, quindi, una ragazza che non si sente amabile? Adattando la sua credenza, per quanto essa distorta, falsa, intrusiva, al suo comportamento, più o meno inconsciamente. Alice afferma: “Beh, se non sono amabile, allora è inutile che mi preoccupi di vestirmi in modo elegante, con abiti che valorizzino le forme del mio corpo, inutile scegliere un taglio e un colore che diano vita e accendano i miei capelli, come la corolla di un fiore, ed è anche inutile che io risponda ad un’occhiata di un ragazzo, di un uomo, con un sorriso, come si sarebbe aspettato, meglio invece arrossire, distogliere lo sguardo freddamente, mettere subito un muro, perché intanto, quello che potrebbe poi scoprire, non gli piacerebbe”. Capite bene a tal proposito che, nessun ragazzo o uomo, si avvicinerebbe mai a chi sfugge alla presa come una saponetta bagnata, come un’oliva sul piatto che sfugge alla forchetta nell’ora dell’aperitivo. Ebbene, ciò va inevitabilmente, inesorabilmente, sistematicamente a produrre una risposta nell’Altro, conforme ai nostri comportamenti, la quale va in modo, oserei dire, quasi inquietante, a confermare e rafforzare la sentenza di base dalla quale siamo partiti: “Io non sono amabile”, instaurando un circolo vizioso, un cortocircuito. Vorrei fare proprio una riflessione su questo esempio, mettendo in luce quanto la nostra mente sia potente da cambiare, alterare, plasmare addirittura la realtà che ci circonda a partire dalle nostre presupposizioni, dai nostri voli pindarici, viaggi nell’Iperuranio. Alla luce di ciò è importante stare attenti a cosa confidiamo alla nostra mente, perché ascolta e registra, ascolta e registra. A questo proposito, a mio modesto avviso, tutto ciò ha ben poco a che vedere con l’astrologia, il destino e l’Universo che ci ascolta in base alle frequenze dei nostri desideri, non è una lampada magica, non è l’Universo che ci ascolta e da dei riscontri a seconda che vi siano atteggiamenti positivi o negativi, non è avere la ricompensa se mi alzo al mattino con la voglia di conquistare il mondo o la punizione se sono talmente negativa che dal letto non mi voglio nemmeno alzare, ad ascoltare è la nostra mente e facciamo tutto da soli. All’epoca Alice non aveva ancora la consapevolezza per capire che era più lei stessa carnefice del suo essere, piuttosto che il gruppo di pari, seppur le relazioni di allora non facilitassero tanto le cose. In quest’ottica avviene che, nel periodo più delicato della sua vita, certe credenze illusorie e ingannatrici, si esacerbassero.
La ragazza si trova a conclusione del suo percorso universitario, ha il compito di elaborare la sua prima tesi, ma qualcosa non va. Malgrado l’impegno e le ore di dedizione al lavoro, il lavoro non decolla, pesa troppo. Pesano i libri sulla scrivania, quei libri che non l’hanno mai coinvolta, pesa il computer, lo sguardo stanco e poco soddisfatto, poco concentrato, pesa il verdetto della docente relatrice, sempre lo stesso, sempre contrariato, pesa il fatto di raccontarlo ai suoi cari, che desideravano tanto la Laurea, quella Laurea, per lei e pesa addirittura la data della discussione. Alice in cuor suo, sapeva di aver sbagliato facoltà, non era una scelta arrivata dall’interno, ma semplicemente pura conformazione e fiducia nel giudizio altrui. La sua colpa, il suo errore è stato quello di essere troppo chiusa, accomodante, non valutare altre possibili alternative, fidandosi degli altri più che di sé stessa. In quel momento tutte queste emozioni sono esplose, tutte assieme, sono tornate le credenze di prima, rafforzate dal fatto di aver fallito, dal senso di frustrazione, di colpa, dall’aver vissuto il giorno della propria Laurea come un giorno qualunque, senza il cuore pulsante, le lacrime agli occhi. Occhi non accesi dall’orgoglio, dal desiderio, occhi spenti, inerti, senza scintille. Non c’era desiderio ed il desiderio è in fin dei conti proprio ciò che alimenta la vita, che mette in moto, ma qui, vi era solo apatia. Sulla spinta di questa apatia, delle prepotenti ossessioni in materia amorosa insieme ai condizionamenti del passato, della “cattiva iniziazione al discorso amoroso” del passato, c’è stata la risposta:” d’ora in avanti controllerò sistematicamente tutto quello che entra, tutto quello che esce dal mio corpo”, si ha quindi una spinta al controllo come risposta sintomatica alla ferita dell’Altro”, (dalla conferenza di M. Recalcati consultabile sulla piattaforma Youtube al seguente link : https://www.youtube.com/watch?v=BxnRptGcHSs&t=2393s ).
È quindi possibile, in relazione a quanto appena esplicato, delineare alcuni dei fattori potenzialmente scatenanti, quali la difficoltà di adattamento ai cambiamenti, (perdita di controllo), agli eventi stressanti imposti dalla vita, tra cui ad esempio, il senso nichilistico in seguito a un fallimento o alla perdita di un caro. Tuttavia quel legame amoroso ancora agli esordi, si è rivelato poi uno dei fattori che ha portato alla “cura”, tra gli elementi che hanno aiutato a staccare “il Soggetto dall’Oggetto”, per fare appello alle parole di Recalcati. L’Oggetto in questione era l’esigenza di controllo e di avvertire il vuoto come spinta al desiderio, il vuoto per provare costantemente mancanza e dunque sempre desiderio. Non si soddisfa mai (del tutto) per auto indurre il desiderio, in questo caso il desiderio di cibo. Mi interessa a questo punto affermare che dall’anoressia, come sostiene Recalcati, non si guarisce con la forza di volontà. Questa malattia non si può curare con la volontà, perché la paziente anoressica è proprio di volontà che si è ammalata. Recalcati afferma” l’anoressica ha una volontà che sposta le montagne, l’anoressica se vuole, può andare avanti a rifiutare il cibo, a nutrirsi di soli Thè e brodini per mesi”. In questo contesto le prediche morali, l’appello alla volontà, all’autostima, possono solo cadere nel vuoto, prive di risonanza, di eco.
Alice adesso si è laureata alla Magistrale, sempre in ciò che non la appassiona, ha però trovato il suo desiderio nello studio di una materia che non sarà mai la sua professione, ma la anima di curiosità, nel desiderio di poter insegnare qualcosa a qualcuno, nel desiderio di coltivare i suoi piccoli hobby per il semplice gusto di farlo, la fotografia, la scrittura, sono i mezzi per esprimersi, tra i più potenti e catartici. infine il semplice desiderio di aiutare le persone per le quali nutre immenso amore, nel realizzare se stesse, sostenendole, confortandole e soprattutto ascoltandole. Questa ragazza rimarrà sempre un po’ ammaccata, un po’ segnata e difettosa, ma si impegnerà sempre nell’ascolto sia degli altri che di sé stessa, come la terapeuta che avrebbe voluto diventare.
Laura Turco
Per Approfondire:
Massimo Recalcati, “Attravesro lo specchio, disturbi del comportamento alimentare nell’età adolescenziale”, 6 luglio 2011.
Recalcati M. “Il disagio contemporaneo e la sua cura”, Jonas Brescia, 29 aprile 2016.
Recalcati M, “Amoressia”, in www.Remobasetti.it/wp-content/uploads/2017/02/Recalcati-Anoressia.pdf , nov.2007, pp. 13-15.