Ancora sul lutto. L’indicibile esperienza della perdita
Il lutto è la reazione affettiva alla perdita di una persona amata che sconvolge tutta la nostra vita. Chi amavamo dava un senso al nostro mondo, la sua perdita è quindi anche esperienza di perdita del senso stesso del mondo, è un vero e proprio terremoto. Per l’inconscio l’esperienza della morte non può avere un senso né può essere accettabile: “come può una persona per me importante scomparire da questo mondo senza che il mondo cambi con la sua assenza?”. Solo a partire da questa premessa è possibile addentrarsi nella comprensione delle reazioni psichiche alla morte di una persona cara.
Le risposte individuali al lutto solitamente oscillano tra il polo maniacale e quello melanconico per poi, in alcuni casi, riuscire ad attraversare l’esperienza della perdita attraverso un lavoro complesso legato alle memorie traumatiche e alla relazione con l’altro. La risposta maniacale al lutto è caratterizzata dalla centralità del meccanismo di difesa della negazione: il soggetto nega in modo ostinato il carattere indigeribile dell’evento della morte. È una risposta anestetica. Dietro questa reazione, infatti, si nasconde il terrore dell’esperienza del vuoto, negando il ricordo e il dolore attraverso un lavoro di spostamento di energie prima investite sull’oggetto perduto ora su qualcos’altro. Una realtà assoluta del lavoro sul lutto è quella della necessità della reazione di autentico dolore psichico inconsolabile per un tempo significativo. Senza l’esperienza effettiva del dolore non vi è un lavoro sul lutto, ma un dolore strozzato con conseguenze sulla vita del soggetto spesso nella direzione del corpo, legate per esempio a disturbi di somatizzazione che si manifestano anche a distanza di anni o nei casi più complessi alla manifestazione di malattie auto-immuni.
È importante considerare che cosa rappresentava l’oggetto perduto per il soggetto e in che momento del ciclo di vita il soggetto ha fatto esperienza della perdita. Questo perché il discorso sul lutto ha delle caratteristiche comuni, ma acquista un significato assolutamente specifico per ogni individuo in relazione alla condizione in cui si trova; di grande importanza risulta essere anche la rete sociale in cui si trova il soggetto e l’aspettativa che ha rispetto alla possibilità di essere sostenuto nel dolore dalle persone significative all’interno della sua rete. Con gli adolescenti è molto difficile fare un lavoro di supporto al lutto perché in loro il pensiero è spesso preceduto da un’impulsività all’agire. Il lavoro sul lutto richiede uno sforzo cognitivo ed affettivo che parte dal ricordare con intensa sofferenza per attraversare il dolore del mondo interno. Questo profondo lavoro della vita psichica è spesso sostituito negli adolescenti dall’uso di droghe, dallo stordimento, quindi dall’uso del corpo, a dimostrazione dell’estrema difficoltà di un adolescente di fare esperienza dell’assenza.
Quando invece l’adolescente riesce a concentrarsi sull’assenza egli mette spesso in discussione tutta la propria vita. In una fase dello sviluppo dove la strutturazione della propria identità è in crisi perché in continuo processo di costruzione/decostruzione il buco del lutto è in grado di catturare come una calamita il soggetto adolescente. Questa possibile reazione al lutto richiama il concetto di melanconia introdotto da Freud. Il melanconico resta incollato all’oggetto perduto come se fosse lui stesso un oggetto perduto. La risposta melanconica al lutto è quindi al polo opposto della risposta maniacale; l’oggetto perduto che non c’è più continua incessantemente ad essere presente: l’assenza è una presenza assordante. Questa reazione alla perdita può essere una fase transitoria e in tal caso normale, oppure può cronicizzarsi con un dolore che accompagna permanentemente la vita. In questi casi il soggetto è disperatamente impegnato a mantenere un rapporto con l’oggetto perduto attraverso una focalizzazione della sua energia verso il mondo interno con conseguente perdita di vitalità e di interesse per il mondo esterno. Questo aspetto del ritiro della melanconia è legato alla ruminazione mortifera e quindi all’impossibilità di lasciare andare con la mente chi è andato via, morendo appunto. Non dobbiamo immaginare il soggetto catturato dalla melanconia come un soggetto consapevole del suo stato: tipicamente vi è una mancanza di consapevolezza del tempo che trascorre in relazione con quest’assenza; questo spesso si manifesta con esperienze di dissociazione. Con dissociazione si fa riferimento a quelle esperienze di perdita di sintonizzazione con il presente dove non si è presenti né a sé stessi (depersonalizzazione) né al mondo esterno (derealizzazione) con forti sentimenti di distacco e assenza e conseguenze negative sulla qualità della relazione con l’altro.
Oltre alla negazione e alla melanconia esistono altri vissuti affettivi che caratterizzano la risposta del lutto e che risultano spesso essere i più dolorosi e quindi i più nascosti e complessi da trattare: il senso di colpa, l’odio e l’aggressività rimossa. Spesso ci si colpevolizza per non essere stati in grado di stare vicino alla persona cara prima della sua morte. Questo è un sentimento diffuso che accomuna i più giovani che, nei casi di malattia della persona cara, terrorizzati tendono a dare inizio al loro processo di negazione sottovalutando la gravità della situazione, e i più adulti per i quali non è mai stato abbastanza il proprio impegno nell’accompagnamento alla morte. Nel caso delle morti improvvise, come avviene durante gli incidenti stradali, per esempio, l’impossibilità di prepararsi al distacco ha spesso delle conseguenze particolarmente traumatiche e il senso di colpa trova spazio in ogni questione irrisolta della relazione con la persona amata.
Per quanto riguarda l’aggressività rimossa è importante comprendere che nella misura in cui l’altro che dava senso alla nostra vita è morto, egli è come se ci avesse uccisi, come se avesse portato via con sé una parte di noi stessi per sempre. Questo è un tema particolarmente presente nel caso dell’esperienza della perdita dei più piccoli. I bambini necessitano della costante presenza di figure di riferimento che li accudiscono nell’amore per poter interiorizzare la capacità di prendersi cura di sé stessi nel corso della vita. La perdita è un’esperienza di abbandono, è accompagnata da intensi vissuti di rabbia oltre che di dolore. Tutto questo va compreso nell’ottica di un’organizzazione complessa della nostra mente costituita da una parte inconsapevole e totalmente emotiva, orientata al soddisfacimento dei propri desideri. In questo senso la morte è un’esperienza insensata, subita e inaccettabile. Così per l’inconscio la persona amata che muore è una persona che ci abbandona per sempre e che distrugge l’equilibrio della nostra vita. Il sentimento di rabbia è spesso il più subdolo su cui lavorare in quanto risulta indicibile per il soggetto e talvolta viene nascosto da sentimenti opposti legati alla negazione del dolore o all’idealizzazione estrema dell’oggetto perduto. Da qui di nuovo ritorna il concetto di senso di colpa che viene letto grazie alle incredibili intuizioni della psicoanalista Melanie Klein come una risposta nei confronti dell’odio provato per la persona morta. È come se l’inaccettabilità di queste emozioni ci restituisse un senso di colpa continuo in grado di manifestarsi anche nella relazione con altre persone importanti nelle nostre vite. Quest’odio e quest’aggressività rimosse a volte si possono manifestare anche nelle relazioni attuali del soggetto con gesti più o meno espliciti che si alternano a gesti legati al senso di colpa. In alternativa, l’aggressività può essere anche diretta verso noi stessi con dei gesti autodistruttivi che possono essere legati al ritiro, all’eccessiva critica su sé stessi fino ad arrivare a comportamenti più gravi quali l’uso di sostanze e l’abbandono della cura di sé.
Nel dramma di queste emozioni sembra impellente chiedersi: come è possibile lavorare il lutto? Partendo dal presupposto che l’irreversibilità della perdita c’è in ogni lutto, anche nel più compiuto, effettivamente vi è però la possibilità di lasciare andare una parte della pesantezza legata al ricordo. L’elaborazione del lutto è un lavoro struggente che parte dalla memoria dell’oggetto perduto, attraversando e riattraversando emotivamente i ricordi che legano il soggetto a chi non c’è più. L’attraversamento del vissuto affettivo legato ai ricordi permette il distacco dalla ruminazione e la possibilità di riaprirsi al mondo incorporando l’eredità dell’oggetto perduto e permettendo al soggetto di esserci nel presente con un bagaglio in più.
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Per approfondire:
Klein M. (1921-58). Scritti: Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi. Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S. (1987). Lutto e Melanconia (Opere di Sigmund Freud ed. Vol. 8). Bollati Boringhieri, Torino