La mentalizzazione
Un dispositivo che aiuta il corpo a pensarsi

Spesso si parla dei disturbi psicosomatici come esito di un mancato dialogo tra il corpo e la mente.  Ma cosa permette questo dialogo? E soprattutto come riesce il corpo a pensarsi?

Tale competenza sembra affondare le sue radici in un processo esordiente della nostra vita, che chiama in causa le figure primarie, il rispecchiamento.

Nel momento in cui il bambino “scopre se stesso negli occhi della madre”, questo diviene consapevole dei suoi stati emotivi, riflessi e pensati dall’Altro. In questo modo il bambino sviluppa quella capacità, denominata mentalizzazione, che consente di comprendere le intenzioni e il pensiero sottostanti il comportamento proprio e altrui. Questo costrutto sembra essere direttamente chiamato in causa nella comprensione dei segnali sprigionati dal corpo.

Nel processo di rispecchiamento, attraverso uno scambio continuo e interattivo con il caregiver, si attiva una reciproca regolazione degli stati interni; solamente in questo modo il bambino riesce ad entrare in contatto con il proprio stato affettivo, arrivando anche ad autoregolarlo. Questo gli consente da una parte di ridurre la frequenza e l’intensità dell’espressione di emozioni negative, e dall’altra di riconoscersi come agente dello stesso processo di rispecchiamento. 

Lo sviluppo della mentalizzazione attraverso quelle che Winnicott descrive come identificazioni incrociate tra caregiver e bambino permette a quest’ultimo di prendere gradualmente possesso della propria esperienza mentale, attraverso l’osservazione dello stato mentale dell’Altro e comprendendo come l’Altro percepisce i suoi sentimenti. Tale processo garantisce al bambino di differenziarsi emotivamente dalla madre e di organizzare il proprio Sé.

 All’interno di questa dinamica il bambino scopre una stanza tutta per Sé, dove potersi pensare autonomamente e in maniera distinta dal caregiver.  Compito di quest’ultimo è quello supportare il bambino in un processo di separazione dalla simbiosi primaria, allo scopo di garantirgli l’integrazione del Sé. La mente per nascere sembra doversi separare, avendo bisogno al tempo stesso di essere trovata e riconosciuta; i confini mentali come quelli corporei, esattamente come avviene nel processo di gestazione, hanno bisogno di delinearsi in un iter di graduale differenziazione.

E’ proprio tra queste trame che entra in gioco il corpo. La mente,  grazie ai processi di mentalizzazione, riesce a rappresentare le percezioni somatiche che sin dalla nascita muovono l’individuo. Tra i fili di questo tessuto di incontri, sguardi, sensazioni e separazioni, si delinea il passaggio dal Sé corporeo a quello psicologico, ossia un Sé che vive e comprende il proprio corpo. Così avviene quella che Winnicott ha definito integrazione corporea. Secondo l’autore, infatti, a partire dall’ esperienza di rispecchiamento, la madre sufficientemente buona, dopo un primo momento in cui crea nel neonato l’illusione di un mondo esterno in funzione dei suoi bisogni, deve esporre il figlio alle difficoltà della vita, rappresentate dalle sfide della realtà esterna. Questa integrazione deve avvenire gradualmente così da permettere al bambino di adattarsi all’ambiente circostante, tollerando differenti frustrazioni. Qualora il bambino nell’intento di trovare sé stesso nello sguardo materno, dovesse trovare solo la madre, vivrebbe un’esperienza di colonializzazione, imbattendosi in un alieno, ostacolante al fluire dei processi di mentalizzazione. In questo senso il bambino sentirà di abitare un corpo estraneo. Il dialogo mente e corpo sarà interrotto e gli aspetti somatici saranno privi di attribuzioni, soggetti a incursioni dall’interno percepite come invalidanti e svuotate di senso. La scissione mente-corpo darà così luogo a reazioni difensive generali, automatiche e non mentalizzate, arrivando all’ espressione di tratti alessitimici ( non riuscire ad identificare le proprie e altrui emozioni) ,di un falso Sé  o, più in generale, di disturbi psicosomatici.

In questo senso l’individuo, attraverso il rispecchiamento materno e con lo sviluppo di adeguate competenze mentalizzanti, riconosce di esistere a se stesso, all’interno di chiari confini che permettono di tracciare la geografia di un corpo ascoltato e orientato dalla mente.

Per approfondire:  

Baldoni, F. (2014). Mentalizzazione e integrazione psicosomatica del sè. In L. p. neuropsicodinamico, Northoff, G; Farinelli,M;Chattat,R;Baldoni,F. (p. 93-130). Bologna: Il Mulino.

Fonagy, P., & Target, M. (1997). Attachment and reflective function: their role in self-organization. Development and Psychopathology, 9, 679-700.

Fonagy, P., & Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Trad.it F. Gazzillo, F. Odorisio, & M. Simula, Milano: Raffaello Cortina Editore.

Fonagy, P., Moran, G., & Target, M. (1993). Aggression and the psychological self. International Journal of Psychoanalysis, 227-247.

Gergely, G. (2000a). The development of the rapresentation of self and others. Journal of Infant,Child, and Adolescent Psychoteraphy andPsychoanalysis(1,3), 25-32.

Winnicott, D. (1954). Mind and its relation to the psiche-soma. In D. Winnicott, Through pediatrics to psychoanalysis. London: Hogarth Press.

Winnicott, D. (1956). Primary maternal preoccupation. In D. Winnicott, Through paediatrics to psychoanalysis. London: Hogarth Press.

Winnicott, D. (1971). Gioco e realtà. Roma: Armando.1974

Dott.ssa Valentina Merola

Psicologa a Roma

e-mail: vale.merola@hotmail.it

caregiver, mentalizzazione, mente-corpo, psicologia, psicosomatica, relazioni, rispecchiamento

Commenti (1)

  • non so a chi rivolgermi in quanto affetto da oltre 10 anni da dolore cronico neuropatico che determina una lombalgia cronica.HO letto molto sulla memoria del dolore ma non capisco come possa diminuirlo.alcuni consigliano terapia cognitivo comportamentale di terza generazione oppure biofedbak.
    sono in attesa di ozonoterapia intradiscale al bellaria di bologna.HO provato ogni genere di fisioterapia senza alcun risultato.
    76 anni Medico ospedaliero internista i pensione

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