Iperimpegnati e stanchi
Oltre al lavoro cosa c’è?

“Mi sembra di essere su una ruota che gira e non riesco a scendere mai” oppure “Mi sveglio con un peso allo stomaco ogni mattina”, “sono sempre arrabbiatə” e ancora “Mi sento sfinitə! A tratti disperatə”. 

Sono frasi che, ultimamente, capita di sentire fin troppo spesso, in stanza di terapia, nelle storie dei nostri pazienti ma anche nella vita di tutti i giorni. Molti racconti e molte osservazioni convergono in un senso generale di fatica che riguarda la situazione lavorativa ma si estende anche alla sfera privata.

Riflettevo se non si rischia di avere, alle volte, la sensazione che la vita sfugga di mano e che sia una mera ripetizione di azioni, non rivitalizzate mai a sufficienza dall’intensità di emozioni come soddisfazione, entusiasmo e pienezza. Parallelamente a questo, infatti, emerge fortissimo il desiderio di rallentare, di soffermarsi senza pressione e senza fretta sulle cose che si vivono, di riequilibrare i ritmi.

Insoddisfazione e aggressività come risposta allo Stress 

Ma tutta questa insoddisfazione dove va a finire?  Si trasforma in disturbi psicologici e sintomi: stress lavoro correlato ma anche somatizzazioni, ansia, depressioni o reazioni intense di rabbia, distacco dai bisogni propri e altrui.

La distruttività di questa sofferenza è evidente e diventa spesso aggressività e la possiamo osservare tutti nella fretta, nei nostri comportamenti. Prevale il sentimento di dover “prendere a spallate le cose”, di farsi spazio nella fatica, nel timore di esserne sopraffatti. 

Vediamo qualche dato.

Un’indagine sulla salute mentale “Mind Health Report” 2023* ha valutato lo stato di benessere mentale in 16 paesi del mondo, tra cui l’Italia, attraverso diversi profili di salute mentale: dal massimo livello di soddisfazione (Flourishing), ad uno stato di assenza di un benessere e mancanza di motivazione (Languishing) fino a una quasi totale assenza di aree di benessere, fatica, disagio emotivo e compromissione psicosociale (Struggling). 

Secondo questa fonte, nel nostro paese solo il 18% del campione ha dichiarato uno stato di pieno benessere, il 56% ha una forte percezione di Stress (+8% rispetto al 2022) e il 48% vive un senso di solitudine. 

Anche altre ricerche condotte in Europa e in Italia hanno rilevato che il Burn out è altamente diffuso nella popolazione italiana. Questa sindrome si manifesta con stanchezza, irritabilità, insonnia, senso di disperazione, difficoltà di concentrazione e la sensazione di perdita di senso (Dsm-5; ICD-11). 

Nel 2022 a soffrirne era ben il 62% delle persone (Midwork-BVA Doxa) e tra le persone più esposte quelle della Gen Z e i Millenials. Da un’ulteriore recente indagine (Bain & Company “The Working Future”), addirittura il 64% dei giovani sotto i 35 anni ha dichiarato di sentirsi stressato e sopraffatto.  

La cultura del lavoro

Se ci chiediamo da dove deriva questa stanchezza dobbiamo pensare che ci sono delle delicatezze individuali nel modo di affrontare le proprie emozioni e di far fronte alle difficoltà; tuttavia, è inevitabile che entrino in gioco anche fattori contestuali e sociali che possono inasprire questi vissuti.  

Alcune caratteristiche di personalità, come perfezionismo, coscienziosità, ambizione, introversione e tendenza a porsi obiettivi irrealistici sembrerebbero predisporre maggiormente all’esaurimento psicofisico (Avallone, 1994).   

Ma è quando alcune caratteristiche di personalità si confrontano e aderiscono fortemente alla pressione della società, che il rischio di sentirsi schiacciati dalle richieste esterne aumenta vertiginosamente. 

Dobbiamo anche considerare, infatti, che negli ultimi decenni ha prevalso una cultura devota al lavoro che vede nella professione il principale senso della propria vita e il parametro del nostro valore personale. Ci è stato insegnato che la produttività e il “successo” sono nostra responsabilità e che dobbiamo usare bene il tempo e sfruttare al massimo le nostre capacità.  

Mi veniva in mente il bellissimo film d’animazione della Pixar “Soul” (2020), in cui il protagonista, un uomo sulla quarantina di nome Joe, attraversa un viaggio alla ricerca del senso di Sé. Grazie a questo, scopre di averlo sempre cercato nelle azioni concrete e nel raggiungimento di un traguardo, come se lo scopo della propria esistenza fosse portare a termine un progetto lavorativo e valorizzare i propri talenti.   Illuminante la scena in cui Joe prende atto che lo scopo della propria vita non è inseguire, raggiungere, ottenere bensì stare in connessione con le cose che lo circondano, ed essenzialmente “essere”

“Saper fare” e “saper essere” sono due cose diverse, eppure nella nostra società spesso coincidono.

C’è la tendenza a identificarsi nel lavoro e spesso prevale il concetto del “più lavori, più vali”. Essere iperimpegnat* è il segnale che “ce l’hai fatta”, uno status symbol delle persone di successo. 

Tant’è che, in un mondo che si aspetta che nessuno sia mai completamente “offline”, il rischio è di iniziare a pensare ai momenti di pausa come perdite di tempo.  

Ecco allora che abbiamo cominciato a scambiare la stanchezza per pigrizia, il rispetto dei propri tempi in indifferenza e la mancanza di produttività in assoluta responsabilità personale. 

Abbiamo iniziato a sentirci in colpa nel dire “Non posso” e a confondere desideri e bisogni con sintomi o mancanze. 

Una chiave, invece, può essere proprio entrare in contatto con le proprie esigenze, non vedendole come una distrazione dal tragitto principale ma come elementi indispensabili per mantenerci in salute e in equilibrio. La stanchezza e la lentezza ecco che non sono più sintomi di malessere e incapacità, ma il segnale della necessità di rimettersi in contatto col senso profondo della vita. 

Infatti, quando non c’è sintonia tra bisogni personali, emozioni e azioni si alimentano l’insofferenza e l’insoddisfazione. 

La città come spazi di condivisione e gioco

Proprio sulla necessità di ritrovare un po’ di questo equilibrio, qualche settimana fa mi sono regalata qualche giorno a New York. Della “città che non dorme mai” ho amato il modo in cui i newyorkesi provano a compensare la velocità della città e delle loro vite con momenti di lentezza impensabili. 

Ogni angolo, ogni piazza, rooftop, giardino o parco, più o meno grande, possono diventare in un attimo teatro di condivisione e sospensione dalla frenesia. 

Mi ha colpito la quotidiana interpretazione degli spazi comuni della città e l’atmosfera giocosa che si respirava: sessioni di yoga nei parchi, concerti di jazz improvvisati, lezioni di ballo nei rooftop, work out creativi e persino il “Gioco delle sedie”, sì, proprio quello che si faceva all’asilo con la musica che si fermava all’improvviso. 

Ho avuto la sensazione che si creasse un grande senso di comunione e di appartenenza. Una rottura dalla monotonia e dal senso di solitudine che forse a volte, può pervaderci soprattutto nelle grandi città. 

Ma cosa accade quando condividiamo un gioco o un’attività in mezzo ad altri duecento sconosciuti? Non ci libera forse un po’ dal senso di isolamento? Non ci avvicina tutti nel riconoscerci nelle nostre fatiche e nei nostri limiti umani? Non ci permette di entrare maggiormente in connessione con il senso delle cose?  

In fondo lo sappiamo che il divertimento è una cosa seria. Eraclito diceva che “L’uomo è più vicino a se stesso quando raggiunge la serietà di un bambino nel gioco

Mi sono interrogata sul valore psicologico, individuale e collettivo che può avere un’esperienza continuativa come questa. 

Una risposta a queste domande, in parte, l’ho avuta dall’interessante ebook dell’associazione americana Mental Health America “Look around, Look within”, che propone l’utilizzo degli spazi comuni delle città come centrali nella promozione del benessere mentale. Questi spazi, infatti, hanno il potenziale di rigenerare le nostre risorse psicologiche poiché rappresentano quello che il sociologo Ray Oldenburg ha chiamato “thirdplace”, vale a dire luoghi collettivi, oltre alla casa e al lavoro, che aumentano le opportunità di creare una rete di relazioni di comunità, contrastando l’isolamento e i livelli di stress lavoro correlato.

Negli ultimi decenni molti di questi spazi di connessione hanno finito per diventare sempre meno fisici e sempre più virtuali. Ma per quanto queste “piazze digitali” possano costituire luoghi di aggregazione e condivisione, non possono sostituire il valore degli spazi tradizionali e dei contatti interpersonali. 

Aggregare e condividere però non sono elementi sufficienti. Ciò che va alimentato è proprio il gioco e la creatività, perché si recuperi il valore del tempo libero per quello che è, senza l’aspetto consumistico che lo trasforma, gira che ti rigira, in qualcosa di produttivo o rappresentativo di uno status (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “Il ruolo del gioco nello sviluppo – da 0 a 99 anni”

Strategie di sopravvivenza quotidiana

Considerato che il disagio psicologico, lo stress e il burn out sono la risultante di una combinazione di fattori individuali, relazionali e contestuali, le soluzioni dovrebbero arrivare da più fronti. Sarebbero necessari dei cambiamenti strutturali per rendere la vita lavorativa più sostenibile, insieme a una modificazione della visione del senso del lavoro a livello sociale. 

Tuttavia, ognuno nel proprio piccolo può cercare e, auspicabilmente, trovare un proprio equilibrio tra tempo lavorativo e tempo privato.  Si può cominciare ad esempio, a ridimensionare il valore dell’efficienza e del risultato a vantaggio del nostro benessere psicofisico. 

La proposta è partire dall’accettazione dei propri limiti umani e rimanere in ascolto dei propri bisogni fondamentali di riposo. C’è bisogno di allentare i ritmi e silenziare un po’ il senso del dovere, per riconnetterci col significato di quello che facciamo. Seguire, ogni tanto, l’attitudine di una “Vita Lenta” e assecondare maggiormente i propri tempi poiché la lentezza alimenta il dialogo interiore e ci aiuta a stare in contatto reale con le esperienze, con gli altri, con l’ambiente (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “Elogio della lentezza – Rallentare come atto rivoluzionario e benefico“. 

In più, cosa complessa ma indispensabile, imparare a proporre dei confini personali grazie ai quali, ad esempio, circoscrivere a dei tempi prestabiliti le proprie attività e la propria reperibilità lavorativa. 

Se tutto questo dovesse risultare troppo complesso, potrebbe venirci in aiuto un percorso terapeutico, per conoscersi meglio, rompere gli schemi che ci rendono difficile far valere i nostri bisogni e decongestionare dalle situazioni stressanti talvolta vissute come traumatiche.

Forse così ci riapproprieremmo della sensazione di avere un buon controllo sulle nostre vite, faremmo un’esperienza meno frustrante e riscopriremmo un nuovo senso di condivisione e gentilezza, verso noi stessi e verso gli altri

E magari riusciremmo a sorridere un po’ di più al vicino di auto nel traffico che, probabilmente, ha la nostra stessa voglia godersi il pezzetto di giornata che rimane e chissà, se lo conoscessimo in un parco ci starebbe pure simpatico/a. 

*Indagine presentata da Axa e condotta da Ipsos, condotta su un campione di 30.600 persone di età compresa tra i 18 e i 74 anni in 16 Paesi tra cui l’Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Irlanda, Svizzera, Stati Uniti, Messico, Turchia, Cina, Hong Kong, Giappone, Tailandia, Filippine.    

Dott.ssa Sara Raffaele

Psicologa a Roma (zona Prati) e Viterbo

mail. dottoressa.raffaele@gmail.com – tel. (+39) 3801252796

Per Approfondire

Avallone F. Le variabili soggettive individuali. Psicologia del lavoro: storia, modelli, applicazioni. NIS, Roma pp 125-167, 1994 

Caprara G.V, Borgogni L. Stress ed organizzazione del lavoro. Bollettino di psicologia applicata,187-188:3-4, 1988 

Schaufel WB, Maslach C. Burnout: 35 years of research and practice. Career Development International, 14, 204-220, 2009 

https://www.stada.com/blog/posts/2022/july/stada-health-report-2022-europe-experiencing-worsening-health-conditions

Sindrome da burnout: i numeri e le statistiche che preoccupano (2023) • GITNUX 

Il 48% degli italiani si sente solo, lo rivela l’indagine Axa-Ipsos (fortuneita.com) 

https://cdn.mindwork.it/MainResults_Doxa_2022.pdf

https://www.mhanational.org/mental-health-month

https://www.bain.com/insights/the-working-future-more-human-not-less-future-of-work-report/

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