Cortocircuiti. Lasciare andare la frustrazione
“E come se stessi leggendo un libro… è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro gli spazi tra le parole sono quasi infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora. È un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero. Ti amo tantissimo. Ma ora sono qui, e ora sono questa, e devi lasciarmi andare, per quanto io lo voglia, non posso più vivere nel tuo libro.”
Questo discorso è tratto dal film Her di Spike Jonze del 2013. A parlare è Samantha, intelligenza artificiale, di cui si innamora il protagonista Theodore. Nel film queste parole coincidono con un addio, ma non è questo l’aspetto, in fin dei conti non determinante, sul quale vorrei soffermarmi. La vera forza di queste parole sta nella consapevolezza che Samantha acquisisce di se stessa, lo scoprire un proprio nuovo modo di essere, di desiderare. Si riconosce come una “persona” nuova, con caratteristiche diverse emerse durante e grazie la relazione, non conosciute fin dall’inizio. Questo, inequivocabilmente, genera una crisi, una frattura, un’inevitabile frustrazione che per essere accolta, generando un cambiamento, ha bisogno di essere lasciata andare. Questo è il punto che più mi piace del discorso: lasciare andare la frustrazione.
Le relazioni, così come molti altri aspetti della nostra vita, risentono spesso di quei comportamenti e azioni automatiche, spesso stereotipate, che tendiamo a mettere in atto senza rendercene bene conto. Di base non è sempre colpa nostra. La personalità, e i modi in cui si esplica, si crea dalle nostre esperienze dirette, dai contesti, dagli episodi, dalle influenze esterne. Cresciamo guardando l’amore dei nostri genitori, di quelli che ci circondano, ci lasciamo affascinare dai film, dalla letteratura, dai cartoni animati, e a questo bisogna aggiungere quel gran casino che sono i nostri sentimenti e i nostri bisogni. Insomma, non propriamente una passeggiata.
Tutto questo ci porta spesso a vivere le relazioni adottando schemi che conosciamo e pensiamo siano quelli giusti a renderci felici. È una questione di sicurezze, di modelli che hanno a che fare con quello che sappiamo, che idealmente vorremmo e che difficilmente siamo disposti a modificare. In questo modo di vivere le relazioni qualsiasi cosa di discosti dalle nostre sicurezze diventa automaticamente un campanello d’allarme (per un approfondimento leggere l’articolo La giusta distanza – nè troppo vicini nè troppo lontani). Crisi, fratture e frustrazioni varie sono un qualcosa da negare, evitare, rimandare e possibilmente risolvere nel minor tempo possibile. Soprattutto l’ansia del “risolvere” crea spesso cortocircuiti che a volte fanno più male che bene. Ci affanniamo alla ricerca di soluzioni per alleviare un dolore che non vogliamo provare, per non sentire mancanze dovute a bisogni feriti che non riusciamo a tollerare. Impieghiamo le nostre energie a cercare di ripristinare la situazione che conoscevamo e ci faceva stare bene. Il problema di fondo è che una relazione sentimentale non è come aggiustare un tubo che perde acqua. Questo perché, a volte, c’è proprio bisogno di un tubo che perda, di un circuito difettoso, fa parte del’ sistema, è ciò che lo rende unico e inimitabile. Non tutte le ferite vanno subito ricucite, alcune hanno bisogno di respirare.
Nelle relazioni sentimentali non saremo mai uguali all’inizio, soprattutto se profonde, ci cambiano, ci scorrono dentro facendo emergere parti di noi che ignoravamo o non pensavamo di avere. Di questo ci rendiamo spesso conto proprio quando c’è una crisi o qualcosa che ci ha frustrato. È lì che abbiamo la possibilità di cambiare veramente, di non mettere in atto meccanicamente quello che siamo abituati a fare ma modificare il corso degli eventi, come fa Samantha nel film. Per farlo, però, dobbiamo accogliere i nostri nuovi bisogni, dobbiamo fermarci a capire i nostri cambiamenti e il perché c’è qualcosa di nuovo che ci colpisce, anche dolorosamente, mentre prima neanche ci facevamo caso. In questi momenti possiamo dare una nuova voce alla nostra persona e raccontarci all’altro in modo più autentico. Il rischio è quello di non essere capiti, è il prezzo da pagare per provare a vivere pienamente i nostri sentimenti, invece di ignorarli, affaticandoci a cercare soluzioni sperando che prima o poi si aggiusti tutto tornando com’era. I sentimenti sono sempre in evoluzione, non saranno mai uguali.
Non è facile, ma proviamo ad accoglierci di più nelle piccole crisi, a non metterci da parte, a lasciare andare le frustrazioni dando loro la possibilità di spiegarci meglio chi stiamo diventando. Non togliamo subito dalle nostre scarpe i sassolini che ci danno fastidio, fanno parte del nostro percorso, conserviamoli, senza aver fretta di lanciarli, dimenticandoli per strada.
Per approfondire
HER film di Spike Jonze 2013
A tu per tu con la paura, Krishnananda e Amana, 2009 Feltrinelli
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