Prendersi Cura
Il familiare con demenza e il carico assistenziale
Pubblicazione a promozione de “I colori della mente – prevenzione e supporto nelle patologie neurodegenerative della terza età” progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dalla Regione Abruzzo, promosso dall’Associazione la Cura del Tempo Onlus, insieme all’Associazione Il Sigaro di Freud come partner – www.lacuradeltempo.com/it/icoloridellamente
La demenza è una patologia progressiva e cronica, ad insorgenza solitamente in età avanzata, che colpisce le funzioni cognitive (memoria, attenzione, capacità di ragionamento, di pianificazione, di giudizio…) determinandone un lento declino, altera la sfera del comportamento e delle emozioni e costringe alla perdita progressiva dell’autonomia. Varie sono le forme di demenza; l’Alzheimer viene diagnosticato più frequentemente rispetto alle altre, è dunque la più diffusa e la più conosciuta nell’immaginario collettivo (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “La demenza di Alzheimer – silenzi e fili di memoria perduti”)
Ogni forma di demenza determina un forte impatto sul malato, sui singoli familiari e su tutto il sistema famiglia. Viene riconosciuta come una vera e propria malattia familiare poiché colpisce l’intero nucleo e condiziona la vita di tutti i componenti, soprattutto della persona più vicina al malato, ovvero colui che si fa carico di prendersene cura – il caregiver.
Il ruolo di cura in seguito all’insorgenza di una demenza viene assunto, più o meno consapevolmente, principalmente da un componente della famiglia che non è quasi mai consapevole delle evoluzioni della malattia e dei cambiamenti comportamentali e cognitivi che arriveranno. Nella maggior parte dei casi, non è preparato né praticamente, né psicologicamente a prendersi cura del familiare malato e, in mancanza di supporto da altre figure familiari o di risorse materiali per delegare la cura a figure professionali, può sentirsi solo e ingabbiato in un ruolo carico di responsabilità, preoccupazioni e incombenze.
Le responsabilità e la relazione di cura tra il caregiver e il familiare mutano nell’evolversi della demenza.
Il caregiver si fa carico di numerose responsabilità di diversa entità dall’esordio della malattia fino all’istituzionalizzazione e/o al decesso del familiare e la dinamica di cura può evolversi, nelle fasi finali della malattia, in un accudimento pesante e in una dipendenza totale.
Sul piano pratico, il prendersi cura del familiare malato costringe a modificare il proprio stile di vita sin dai dai primi momenti di malattia. La rinuncia più frequente consiste nel ridimensionamento del tempo da dedicare ad altro, compreso il tempo del lavoro, ma soprattutto dello svago, determinando effetti negativi perlopiù nella sfera delle relazioni interpersonali del caregiver.
L’assistenza al familiare malato è resa gravosa soprattutto dal risvolto psicologico che la malattia porta con sé. La tensione emotiva, gli alti livelli di stress per la necessità di adattamento ai continui cambiamenti correlati al declino delle funzioni cognitive e alla perdita della autonomia del familiare, la stanchezza fisica per le incombenze pratiche di ogni giornata, i disturbi del sonno… sono elementi che a lungo andare diventano faticosi da gestire anche per i familiari più motivati alla cura.
I risvolti pratici e psicologici del prendersi cura possono trasformarsi in un fardello che affatica e mette a dura prova il benessere psicofisico del caregiver e possono condizionare lo strutturarsi di un disturbo da stress da carico assistenziale, definito caregiver burden.
Il termine Burden (dall’inglese “fardello”, “carico” o “peso”) fa riferimento alla percezione soggettiva, fisica e/o psicologica di un carico di cura eccessivo. Si parla di Caregiver Burden per definire l’insieme di condizioni che gravano sul caregiver e che creano in lui stress, disagio e sofferenza. In letteratura il caregiver burden viene soventemente associato al termine Burnout e alla sindrome da stress lavoro correlato, per le simili conseguenze, ma i caregivers sono coinvolti nel lavoro di cura a tempo pieno sia psicologicamente, che fisicamente e non vanno mai in ferie.
Il caregiver burden è dunque essenzialmente una forma di stress che tende a cronicizzarsi quanto più si prolunga la situazione di accudimento, e si manifesta nelle forme più disparate e soggettive.
I principali sintomi sono:
- problemi del sonno
- problemi nell’appetito
- flessione dell’umore
- difficoltà di attenzione e concentrazione
- difficoltà a ricordare
- irritabilità, ansia
- preoccupazione persistente
- sintomi da somatizzazione
- facilità ad ammalarsi (basse difese immunitarie)
I sintomi correlati al carico assistenziale vengono spesso sottostimati dal caregiver e considerati il risultato di un momento di stanchezza passeggero, mentre possono trattarsi di segnali di allarme di un ben più serio disagio psicologico. A rendere complesso il riconoscimento di un problema, è la difficoltà nel chiedere aiuto e nel concedersi del tempo per sé e alla cura di sé che caratterizza spesso la dimensione del caregiver. L’abbandonare anche solo temporaneamente il proprio ruolo di cura è percepito spesso come un atto di negligenza e di indifferenza, che genera un forte senso di colpa. La colpa spinge al controllo, all’ipercontrollo sul familiare ammalato e al ritiro dalla socialità – elementi di un eccessivo carico assistenziale e del bisogno di un supporto.
Il caregiver è anch’esso una vittima di una malattia che gli sta lentamente portando via una persona cara.”
Lo stress da carico assistenziale non solo danneggia la salute fisica e psicologica del caregiver, ma compromette anche la sua capacità di accudimento. Peggiorando il suo benessere psicofisico, diminuisce la sua capacità di assistere il malato: una resistenza inconsapevole al prendersi cura può determinare un peggioramento delle condizioni del familiare malato che va conseguentemente ad amplificare le sensazioni spiacevoli di impotenza e fallimento nel caregiver, instaurando un circolo vizioso di sofferenza e sensi di colpa.
È importante che il caregiver riconosca i segnali di stress eccessivo e chieda aiuto per ridurre il rischio di compromettere la propria qualità della vita e del familiare malato.
L’intervento psicologico sul caregiver burden può prevedere:
- Interventi gruppali: sono in primis dimensioni di socialità necessarie a combattere l’alienzaione. I gruppi di confronto (come i gruppi di auto-mutuo-aiuto) hanno spesso una sede di ritrovo presso associazioni o Rsa e favoriscono la condivisione della propria esperienza emotiva e un’identificazione nell’esperienza dell’altro, utili nel processo di elaborazione della malattia.
- Supporto psicologico individuale: parlare del proprio carico assistenziale è il primo passo per prevenire lo strutturarsi di un disagio psicologico grave. Il supporto psicologico mira ad aiutare il caregiver a divenire cosciente della necessità di ritagliarsi degli spazi di evasione, spezzando la simbiosi instauratasi con il familiare assistito e a chiedere aiuto nella cura. Ha anche una funzione rieducativa per modificare lo stile di vita e mettere il caregiver nelle condizioni di non sviluppare altri disturbi legati a un sovraccarico di stress. Un intervento valido deve anche lavorare sull’elaborazione della malattia e del lutto anticipatorio (per maggiori approfondimenti si rimanda all’articolo “Un infinito addio – dalla diagnosi di un male incurabile alla separazione”)
- Supporto farmacologico: Solo nei casi più complessi può infine essere necessario il ricorso a una terapia farmacologica per agire prevalentemente sugli stati d’ansia e di depressione.
Alla comparsa dei sintomi dei caregiver burden, il primo passo è riconoscere il bisogno di un aiuto esterno, non solo di psicologi, neurologi, logopedisti ecc.. ma anche di familiari, badanti, associazioni, strutture residenziali … per la gestione gravosa delle attività della vita quotidiana.
Per il benessere di tutti gli attori coinvolti nella dinamica di cura, caregiver e familiare malato in primis, è importante conoscere la necessità di determinare una “giusta distanza” nella cura delle demenze. Un estraneo mette in gioco nella cura la giusta distanza emotiva che un caregiver spesso è impossibilitato a giocare. La relazione affettiva determina, talvolta, un limite nel processo di accudimento con l’avanzare della malattia.
Prendiamo ad esempio la situazione “doccia”. Quando un malato di demenza non vuole farsi la doccia, spesso si ribella piangendo, urlando o arrivando ad aggredire fisicamente. Razionalmente si può comprendere come la sua aggressività non dipenda da una caratteristica di personalità, ma dall’evoluzione della malattia stessa. Un qualcosa in quella situazione, come un cambiamento imprevisto o una sensazione sgradevole, viene vissuta negativamente e si ribella nel modo in cui riesce farlo, usando l’aggressività soprattutto nelle condizioni in cui parlare è ormai difficile o impossibile. Il caregiver, ancor di più quando è un figlio, reagisce a situazioni simili spesso con rabbia e indignazione, talvolta rispondendo ad aggressività con altra aggressività, forzando il familiare a lavarsi tra urla e schiaffi. Questa situazione “tipo” determina, per tutti, altissimi livelli di stress. Un estraneo, come un badante, riscontra minori difficoltà a svolgere attività come la cura e la pulizia del corpo, proprio in virtù della mancanza di intimità affettiva del legame di sangue e del coinvolgimento emotivo. L’ammalato, dopo aver preso confidenza e instaurato una dinamica abitudinaria, riesce ad affidarsi all’estraneo percependolo talvolta più calmo del caregiver familiare.
La relazione di cura caregiver-familiare con demenza viene spesso condizionata da una fantasia inconscia del caregiver, che un estraneo non ha: la fantasia irrazionale, forse più presente e disturbante, è relativa ad un recupero delle funzionalità nel malato e al desiderio di tornare indietro, a prima della malattia. Il caregiver spesso rimane ancorato al passato, sviluppando resistenze nell’accettazione dei cambiamenti comportamentali e di identità della persona cara, covando rabbia, risentimenti, nostalgie, desideri di fuga e sensi di colpa.
È importante conoscere cosa l’evoluzione della demenza comporterà, per adattarsi con non meno dolore, ma più consapevolezza ai cambiamenti.
La Demenza cancella l’identità del paziente. Con l’evolversi della malattia, rimane una sorta di presenza-assenza e il familiare ha l’impressione di trovarsi di fronte a un contenitore vuoto a cui doversi rapportare senza poter considerare quanto costruito fino a quel momento.
La Demenza costringe a vivere nel presente. Il passato viene cancellato dalla perdita della memoria e il futuro appare incerto e senza speranza. I cambiamenti a cui il paziente e il familiare vanno incontro non sono calcolabili a priori e non si stabilizzano mai, si vive sempre nella fase acuta di una malattia.
Il processo di elaborazione del percorso di malattia comporta la dolorosa presa di consapevolezza che non si può tornare indietro e che è necessario risperimentarsi giorno per giorno. Nella demenza ogni giorno è un giorno a sé: non ci sono soluzioni definitive ai problemi che si incontrano nel decorso della malattia, perché la condizione di malattia cambia sempre e con essa le caratteristiche del malato.
Sopravvivere psicologicamente alla demenza significa adattarsi ai cambiamenti che di volta in volta l’evoluzione della malattia costringe ad affrontare, mettendo in campo le proprie componenti resilienti e anche affidandosi. Sopravvivere psicologicamente alla demenza è più semplice se si è TANTI nella cura, “più si è, meglio è”. Per evitare che il carico fisico ed emotivo schiacci e dia il là al circolo vizioso di sofferenza in pazienti e caregiver, è necessario per il caregiver delegare e lavorare sui propri limiti naturali nell’accudimento.
Delegare non significa abbandonare le proprie responsabilità, ma prendersi cura di più e nel migliore dei modi di sé e del proprio familiare.
Psicologa, Psicoterapeuta e Psico-Oncologa
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