G2:Generazione fantasma. Intervista a Mohamed Abdalla Tailmoun

Negli anni sessanta e settanta del Novecento in Italia si assiste all’arrivo consistente di lavoratori e lavoratrici provenienti da Eritrea, Etiopia e Somalia, le ex colonie italiane, o da altri paesi dell’Africa settentrionale. Ma non solo.

L’ondata di immigrati della prima generazione è stata intensa: sono arrivati giovani adulti e principalmente donne che si sono inserite nel settore del lavoro domestico. Tutto ciò ha comportato l’arrivo in massa di minorenni al seguito dei genitori, con un numero considerevole di piccoli stranieri che hanno messo a dura prova le capacità di accoglienza della scuola italiana e la rapida crescita del numero di nati in Italia da genitori stranieri. 

Quando si parla di “seconda generazione” (G2) si fa riferimento proprio a questo fenomeno: ai figli degli immigrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. 

Non si tratta infatti di “immigrati” o dei loro figli adolescenti arrivati nel paese di immigrazione dopo il periodo della scuola obbligatoria, ma di “figli di immigrati” nati e/o scolarizzati nel paese di immigrazione. 

Le parole di Thar Ben Jelloun nel suo romanzo “Nadia” aiutano nell’intento definitorio di un fenomeno così complesso:

 “Tutto ciò che i media e gli specialisti sono riusciti a trovare è stato di dare un numero a questa generazione: la seconda. Così classificati, eravamo partiti male per forza. Si dimenticava che non siamo immigrati. Non abbiamo fatto il viaggio. Non abbiamo attraversato il Mediterraneo. Siamo nati qui, su questa terra francese, con facce da arabi, in periferie abitate da arabi, con problemi da arabi e un avvenire da arabi. (…) siamo i figli di città in transito; siamo arrivati senza che nessuno sia stato avvertito, senza che nessun ci attendesse; siamo centinaia e migliaia; (…) ci troviamo qui con facce quasi umane, con un linguaggio quasi civile, con dei modi di fare quasi francesi; siamo qui a chiederci perché siamo qui e cosa ci stiamo a fare? (…)”. 

Dal punto di vista statistico al 1° gennaio 2018, in Italia, i minori di seconda generazione, stranieri o italiani per acquisizione, sono 1 milione e 316 mila. Di questi il 75 % è nato in Italia (991 mila, seconda generazione in senso stretto).

A livello territoriale i minori G2 si concentrano maggiormente nelle regioni del Nord-ovest e del Nord-est; quote molto inferiori sono quelle del Centro e del Mezzogiorno. 

Come sottolineato precedentemente la presenza delle seconde generazioni pone sfide sempre nuove prima fra tutte quelle dell’integrazione: dalla scuola prima, all’inserimento lavorativo poi. Pone anche degli interrogativi: com’è vivere nel mezzo delle due culture? Quali difficoltà si affrontano? Quali diritti vengono riconosciuti?

Proviamo a rispondere a questi quesiti e ad avvicinarci a questo fenomeno così dinamico, adottando il punto di vista di chi lo vive in prima persona.

Di seguito l’intervista fatta a Mohamed Abdalla Tailmoun, nato a Tripoli nel 1973 e arrivato in Italia all’età di 5 anni con i suoi genitori. Ha fatto tutte le scuole a Roma. Ha frequentato la Scuola Libica in zona Nomentana e il Liceo Scientifico in zona Prenestina. 

Nel 2005 è stato tra i fondatori della Rete G2 Seconde Generazioni, che rappresenta i figli di immigrati in Italia. Attualmente è il portavoce nazionale della Rete G2.

  • Vivere tra le due culture: aspetti positivi e aspetti negativi

[..] aspetti positivi:

il fatto che comunque ti ritrovi a metà tra due mondi quindi hai la possibilità di vedere la realtà da due punti di vista, non dare mai niente per scontato, leggere la realtà in modo relativo e non assoluto.

Aspetti negativi […]

la condizione di doppia assenza, non è la tua cultura di origine.

Chi vive una sola cultura, segue uno schema rigido, che in qualche modo ti guida ma in qualche modo è una gabbia rigida, chi vive in una doppia cultura vive continuamente la tensione tra due schemi culturali che non sono rigidi, ma si sovrappongono molto spesso. Questo comporta anche dei costi dal punto di vista psicologico e relazionale. Bisogna trovare continuamente il modo di far convivere le due culture, in modo armonico [..] detto ciò non significa che non ci si riesce, però va fatto continuamente un lavoro di mediazione.

  • Spesso le “seconde generazioni” si autodefiniscono “generazione fantasma”, perché?

“[..] Generazione fantasma, perché è una generazione che sta nel mezzo tra una prima generazione, quella che ha preso intenzionalmente la decisione di migrare da un posto all’altro e una terza generazione. I figli degli immigrati di seconda generazione generalmente vengono considerati al pari della prima, anche se non abbiamo scelto noi di migrare e c’è confusione addirittura con la terza generazione (l’opinione pubblica che essendo nati e/o cresciuti in Italia siamo perfettamente integrati, avremo la cittadinanza, come gli autoctoni). In realtà, chi farà emergere le questioni affrontate della seconda generazione, sarà la terza generazione. Nessuno vede le specificità della nostra, ma viene vista come qualcos’altro, in modo confusivo. 

È una generazione fantasma anche per via della prima generazione (i genitori che si sono raccontati la bugia che prima o poi ci sarebbe stato un ritorno a casa: ad esempio io ho fatto la scuola libica perché c’era per me questo progetto di rientro in patri. Molti di noi sono cresciuti in questo limbo (il mito del ritorno in molti ce l’hanno, se lo portano con sé), magari con i fratelli più piccoli non è più così perché ormai anche i nostri genitori hanno acquisito la consapevolezza che non torneremo più”. 

  • Quali sono i limiti dell’essere nato e/o cresciuto in Italia, ma non essere cittadino italiano?

“Intanto se sei nato all’estero e sei arrivato da piccolo la difficoltà più grande è la cittadinanza italiana; poi per tutti complessivamente, sia che sei nato in Italia sia che sei arrivato poi, il non avere la cittadinanza italiana non permette di fare progetti: non poter viaggiare, fare gite scolastiche, non poter votare, non poter partecipare ai concorsi pubblici. Non godere di molti diritti civili, la tua vita dipende costantemente da un permesso di soggiorno… ad esempio con la situazione Covid, molti cittadini G2 si trovavano in un altro paese prima della chiusura ed è successo di non poter rientrare in Italia, molti sono stati rimpatriati nel paese di origine. E ci si è ritrovati in un posto non nostro, di cui molto spesso non si conosce nemmeno la lingua o addirittura non si sa dove andare”. 

  • Ci sono ripercussioni in ambito scolastico? Se si quali e perché 

“Per quanto riguarda la scuola chi è senza cittadinanza viene trattato in modo differente rispetto ai giovani con cittadinanza italiana, ad esempio da un po’ di anni a questa parte alcune scuole concentrano gli studenti stranieri in un unico istituto, perché considerati studenti più problematici, perché i genitori hanno un background culturale …quindi concentrano l’80/90 % di bambini in queste scuole “ghetto” e magari accanto si ha una scuola uguale, ma per gli italiani.

Ancora, nel passaggio dalla scuola dell’obbligo alla scuola superiore è più probabile che tu venga orientato a proseguire gli studi nelle scuole ad indirizzo tecnico, perché gli stranieri contano difficoltà nel percorso scolastico oppure perché gli insegnanti ritengono che le famiglie posseggono un capitale culturale minore e risorse economiche ridotte da non poter sostenere il percorso universitario successivamente. 

In parte si pensa che avviando i ragazzi ad una formazione professionale significa che avranno con più certezza un lavoro e tale condizione è collegata alla scadenza del permesso di soggiorno. Quindi in un certo senso è come se venisse fatta una discriminazione positiva. 

Anche quando con la nostra associazione si fanno iniziative nei licei, sono poche le persone straniere mentre negli istituti tecnici si concentra la percentuale maggiore, a dimostrazione di quanto affermato sopra”.

  • I figli di migranti da grandi hanno le stesse opportunità dei loro compagni di scuola (autoctoni)?

“No non hanno le stesse possibilità per i motivi di cui sopra e anche perché spesso i figli degli immigrati in un mercato del lavoro basato sulle conoscenze non trovano spazio. Generalmente anche loro seguono le impronte dei genitori. Infatti molti appena ottengono la cittadinanza, cercano di andare nei paesi dove possono sfruttare la loro formazione (comunque il sistema scolastico italiano è considerato di eccellenza), è un po’ come dire che se si riesce a vivere in un paese altamente burocratizzato come quello italiano, si riesce a vivere bene poi all’estero e a farsi valere”. 

  • Ci sono ripercussioni in ambito lavorativo? Se si quali e perché 

“In un paese molto basato sull’impiego pubblico, almeno fino a qualche anno fa, le G2 vengono fatte fuori (cittadinanza italiana come requisito per poter partecipare ai concorsi), ma anche se sei figlio di medico, avvocato ecc…. avrai un valore… questo preclude molto l’inserimento lavorativo dei figli immigrati. È difficile per una seconda generazione crescere in questo sistema. Tenere botta”. 

  • Ius soli e Ius culturae: a che punto siamo?

“… dopo che è stato non votato nel 2017 al Senato la riforma che comprendeva sia lo Ius Soli che lo Ius Culturae, ora siamo in una situazione di stallo, non c’è un disegno di legge ma solo proposte. Come Rete G2 quello che auspichiamo è che la seconda generazione possa prendere la cittadinanza molto prima dei 18 anni, prima dell’inizio della scuola dell’obbligo proprio per avere tutte quelle opportunità di cui si parlava prima. I tuoi insegnanti devono rendersi conto che hanno a che fare con un cittadino italiano, quindi basta discriminazione nell’orientamento scuola superiore e che abbiano tutto il sostegno per superare il problema della formazione”. 

  • Che cos’è Rete G2 e quale è la sua missione?

“Nata nel 2005, su iniziativa dei figli degli immigrati, è la prima organizzazione che si occupa di seconda generazione. Siamo nati a Roma, zona Stazione Termini con la finalità di riformare la legge sulla cittadinanza, L.91/1992, introducendo il concetto dello Ius Soli e Ius Culturae e abbiamo pensato che per poterlo fare era importante far partecipare attivamente le persone interessate, le G2. 

Il primo documento scritto si chiamava (2007) L’Italia che vorremmo! … ecco continuiamo ancora su questa strada!”

“Oh eh oh, quando mi dicon “va’ a casa!”
Oh eh oh, rispondo “sono già qua”
Oh eh oh, io t.v.b. cara Italia
Oh eh oh, sei la mia dolce metà”

“Esulto quando segna Super Mario
Non mangio la pasta senza Parmigiano
Ho la pelle scura, l’accento bresciano
Un cognome straniero e comunque italiano

[…]Ma lei si sente più africano o si sente più italiano?


Afroitaliano, perché sono stufo di sentirmi dire cosa sono o cosa non sono
Sono troppo africano per essere solo italiano e troppo italiano per essere solo africano

Afroitaliano, perché il mondo è cambiato”

Dott.ssa Lucia Sarandrea

Assistente Sociale a Roma

mail. lucia.sarandrea@hotmail.it 

Per Approfondire

– Thar Ben Jelloun, Nadia, 1996;

– Rete G2, Seconde Generazioni – https://www.secondegenerazioni.it/

– Identità e percorsi di integrazione delle seconde generazioni in Italia“, ISTAT;

– Ghali, Cara Italia;

– Tommy Kuti, Afroitaliano

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