Il rifiuto come trauma. La trasmissione intergenerazionale del trauma

Spesso accade che i genitori che vivono una sofferenza profonda, come ad esempio un forte trauma, un lutto, possono riuscire ad elaborare una serie di strategie e a mettere in atto delle difese psichiche facendo in modo di coprirla, mascherarla e allontanarla affinché possano continuare la loro vita, agevolando allo stesso tempo quella dei propri figli. Un gesto d’amore, questo, che tutela i figli e li tiene lontani dalla sofferenza. Tuttavia il dolore, il trauma, permane nella persona che lo ha subito e se non viene considerato, vissuto ed elaborato, esso rimane come incapsulato e può essere passato, come fosse parte del corredo genetico, alla seconda generazione che avverte e percepisce la sofferenza a livelli profondi, inconsci. Le difficoltà delle nuove generazioni derivano dalle generazioni passate, come un’eredità che viene lasciata a livello inconscio.

I figli dunque possono ricevere il fardello delle identificazioni inconsce (o incorporazioni) dei genitori che portano con sé la percezione di un mondo esterno ed interno minaccioso e mortifero. In genere la prima generazione resta in qualche modo bloccata, congelata in una fase in cui non vi è la possibilità di elaborare il trauma. Nella seconda generazione si riscontra spesso la scelta di portar avanti professioni d’aiuto come medici, infermieri, psicologi, terapeuti. Se la sofferenza non viene elaborata nemmeno a questo livello e non viene effettuato un lavoro riparativo rispetto al trauma lasciato per troppo tempo congelato, non elaborato e non visto, la terza generazione ne porterà i segni; a volte è la generazione più colpita.

M. è stato un bambino amato, curato e cresciuto dalla madre, ma che ha subito il rifiuto del padre, sin dalla gravidanza. La vita di M. è stata serena, normale, la madre e la famiglia lo hanno cresciuto con amore, tanto da non fargli sentire la mancanza di un padre.

M. oggi è un uomo con un lavoro stabile, una famiglia e una figlia. Ha sempre comportamenti responsabili, è attento agli altri, assicura la sua costante presenza, disponibilità e si mostra incapace di dire di no, mettendo in secondo piano i propri bisogni. Questi comportamenti, che troppo spesso ormai gli fanno percepire un senso di soffocamento e che non gli permettono di avere tempo per sé, possono essere collegati ad un senso di colpa profondo e inconscio che lo mettono in azione in maniera quasi automatica, e del quale è difficile trovare l’origine. Si può ipotizzare che M. porti dentro di sé il “rifiuto”, ma anche il dolore dalla stessa madre e il suo senso di colpa rispetto all’incapacità di assicurargli un padre. Questo è un vissuto non elaborato, negato  e che si instaura come un trauma che congela le emozioni, che non permette di addolorarsi per l’accaduto e che attiva un senso di colpa placabile solamente con il fare, il rendersi disponibili e il prendersi cura dell’altro. Si diventa così, tramite le azioni, indispensabili per gli altri, visti dagli altri e cercati da loro, come a voler inconsciamente ribaltare quella situazione traumatica dove un padre non ha voluto vedere il proprio figlio e non ha avuto bisogno di lui. Probabilmente il modo in cui occupa il suo spazio mentale, i suoi tempi, nel prendersi cura degli altri, è una difesa messa in atto per non vedere ed elaborare il vuoto che è dentro di sé, determinato da una forte presenza di una “assenza”, quella del padre, e dal dolore trasmessogli dalla madre. 

Mantenere la sofferenza dentro di sé, come un segreto indicibile, come qualcosa da tenere lontano dagli altri perché potrebbe essere troppo distruttiva e dolorosa, purtroppo rischia di non proteggere fino in fondo i figli, ma di essere trasmessa ugualmente.

Permettere a se stessi di vivere il dolore, la sofferenza, di riconoscere le proprie emozioni è il primo passo verso l’elaborazione di ciò che è accaduto. Questo consente di non mantenere la sofferenza dentro di sé, di alleggerire il proprio vissuto e di liberare le generazioni future da questo peso.

Dott.ssa Emanuela Sonsini

Riceve su appuntamento a Chieti (+39) 3703389579

Email: emanuela.sonsini@gmail.com

 

Per Approfondire: 

“Trauma e perdono”.  Mucci, C. (2014). Raffaello Cortina, Milano. 

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