La bellezza. Non è bello ciò che è bello…
Parlare di bello e di bellezza potrebbe portarci ad affrontare il tema del narcisismo di questa nostra società occidentale e della ricerca dell’apparenza perfetta dettata dai social. Potrebbe. Le domande che hanno mosso questo articolo sono in realtà legate a quei pensieri da ombrellone nell’osservare le diverse forme umane che popolano le spiagge italiane nelle domeniche di giugno. Osservando le bambine senza il pezzo di sopra del costume che giocano libere e inconsapevoli con i loro compagni maschi; Osservando le adolescenti che si scoprono sfacciate con quei corpi perfetti e costume-infradito-borsa-telo approvati da Instagram, o che si coprono pudiche per celare depilazioni non proprio perfette, accessori non proprio aggiornati, linee morbide dove il diktat è spigoloso; Osservando le donne (più o meno giovani) a loro agio con i loro corpi più o meno allenati, depilati, coperti da accessori all’ultimo grido, quasi a comunicare di aver finalmente fatto pace col proprio corpo.
Ciò che mi sono domandata è, quindi: cosa ci piace, perché ci piace, come cambia ciò che ci piace e che quindi troviamo bello? Come si passa dall’essere libere e selvagge, ad essere giuste se conformi alla norma (o sbagliate se non conformi), all’essere orgogliose di mostrare il proprio corpo come involucro che racconta la propria storia?
Abbiamo già parlato in altri articoli di come il corpo sia l’unico accessorio che portiamo sempre con noi, quello che fa da involucro al nostro essere, sul quale scriviamo la storia che vogliamo comunicare al mondo, che questa sia rappresentata da tatuaggi, vestiti, esposizione di imperfezioni o altro.
Cosa ci piace quindi, e perché. Cosa è bello?
Il trattato “De Architectura” di Vitruvio, reso noto dal celeberrimo uomo vitruviano disegnato da Leonardo Da Vinci, suggerisce le istruzioni per la realizzazione di proporzioni architettoniche ottimali. Fra Luca Pacioli nel suo “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni e Proportionalità e della Divina Proportione” parla della sezione aurea, che rappresenterebbe una divina proporzione.
Queste opere ci suggeriscono come esisterebbero dei parametri estetici universalmente dati, vale a dire che le cose belle sono quelle che rispettano i parametri, sono quelle… perfette. Mi suona nelle orecchie il famoso detto popolare “Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. Si può parlare della bellezza in maniera universale, riducendola a canoni estetici che dovrebbero andare bene per tutti, attrarre tutti? Come funzionerebbe per le relazioni se questa concezione fosse vera? Tutti si lancerebbero su uno stesso esemplare della propria specie in quanto incarna l’unica vera perfezione?
Forse dobbiamo mettere in discussione le concezioni dei nostri antenati, che certamente potranno essere applicati all’attrazione innegabile e universale che suscitano opere come le piramidi d’Egitto, il Colosseo, il Taj Mahal… ma andrebbero forse ritarati quando pensiamo alle persone.
Innanzitutto dobbiamo dire che senza una mente che la coglie, non c’è bellezza. Questo ci introduce alla soggettivita della bellezza.
I neuroscienziati negli hanno poi valutato che ci appare bello ciò che ci sembra in grado di poter soddisfare un nostro bisogno o un nostro scopo. Va da sé che i pattern motivazionali sono diversi per ogni cultura, pertanto la donna in chador, la modella androgina, la Venere del Botticelli appartengono a culture (ed epoche) anche molto diverse, lontane tra loro.
La bellezza quindi è motivazione, la ricerca dell’appagamento di un desiderio o di un bisogno profondo senza che questo avvenga veramente, il che eliminerebbe il desiderio stesso. Percepire una bellezza equivale ad avvertire una mancanza e la possibilità di colmarla. Subentra quindi il concetto di dolore legato alla bellezza. La bellezza, l’amore, come la vita stessa, sono preziosi proprio perché caduchi ed hanno dunque connaturato un aspetto drammatico, particolarmente sottolineato da Stendhal.
Allo stesso modo accade per la natura. Non tanto la natura come soddisfacimento per il nostro benessere psicofisico, quanto per il potere che la bellezza e l’armonia della natura, emanano.
Eric Kandel, premio Nobel per la medicina nel 2001, suggerisce che la visione di un’immagine amata, come quella di una persona cara, attiva non solo la corteccia orbitofrontale, che reagisce alla bellezza, ma anche i neuroni dopaminergici della base, che intervengono nell’aspettativa di una gratificazione. L’arte ci permettebbe quindi di esplorare e sperimentare nella fantasia un gran numero di esperienze ed emozioni diverse.
Denis Dutton suggerisce che se l’arte ha un significato così importante per noi è perché ci dona alcune delle più profonde e commoventi esperienze accessibili a un essere umano.Il confronto con l’arte ci riconduce sempre ai temi centrali della vita: l’arte rispecchia le nostre fondamentali esperienze biografiche e psicologiche. il dipinto contiene forse tutti i possibili stati d’animo, perciò si dice spesso che ognuno vede in un quadro qualcosa di diverso: quello di cui ha bisogno in quel momento.
Tornando al cosa ci piace e perché, alla possibilità di esporre smagliature e cellulite senza sentirsi sprofondare, credo che l’unica risposta sia: in quelle rughe, quelle cicatrici, quelle smagliature, quelle rughe, ci siamo noi, c’è la nostra esperienza, la nostra storia su questo mondo. E una volta che la guerra adolescenziale è finito, forse possiamo ritrovarci e riamarci (come fanno quelle bambine, ma con un pizzico di consapevolezza in più) perché se siamo come siamo, è proprio grazie a quelle inaccettabili imperfezioni che ci hanno spinti a proiettare su di noi le interpretazioni più importanti: quelle di accettazione comprensione e tenerezza, nei confronti di noi stessi.
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Per Approfondire
Kandel E. L’età dell’inconscio
Dutton D. The art instinct. Beauty, pleasure, and human evolution.