Le paure dei bambini. Una questione di sintonizzazione emotiva

Se si dovessero collocare le emozioni in una parte del corpo, questa sarebbe indubbiamente la pancia. Non a caso si usano espressioni del tipo: “ho le farfalle in pancia” quando si è innamorati o “ho lo stomaco chiuso”, quando si è turbati. In ambito familiare, quando si sentono capiti “di pancia” i bambini si sentono rispettati e questa connessione emotiva profonda, crea le basi per la costruzione di un senso di sicurezza, di fiducia e di autoefficacia, indispensabili per lo sviluppo di una sana identità.

Anche la paura, nonostante nell’immaginario collettivo sia un’emozione connotata negativamente (in quanto spiacevole), gode del diritto di cittadinanza nel nostro patrimonio genetico e quindi si inserisce a pieno titolo nel repertorio emozionale primario della nostra specie.

Ma che cos’è e come funziona la paura?

La paura è una reazione emotiva che si innesca in risposta alla percezione di un pericolo o di una minaccia per l’integrità psico-fisica della persona.

La paura si può assimilare ad un “sistema di sicurezza” interno, che ha la funzione di segnalare i potenziali pericoli ed ha lo scopo di attivare l’organismo a mettere a punto strategie di protezione. È quindi come se, di fronte a stimoli, situazioni, persone o eventi che si percepiscono come minacciosi, la paura si esprima urlando: “Attenzione! Pericolo!”; in seguito a questa segnalazione, si manifestano numerose reazioni fisiologiche (di cui è responsabile il Sistema Nervoso Autonomo) come accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, aumento dell’adrenalina e iperattivazione delle principali funzioni difensive, che preparano l’organismo alla situazione d’emergenza e alla messa in atto di comportamenti di attacco o di fuga.

Il sistema di sicurezza interno, per svolgere adeguatamente la sua funzione di allarme e di segnalazione del pericolo, deve potersi riazzerare, disinnescare. Di conseguenza, si deve poter ripristinare uno stato di equilibrio quando il pericolo è cessato (un antifurto che suona ininterrottamente perde la sua funzione di allarme e non è più attendibile).

Al di là della metafora, è facilmente intuibile come la paura sia un’emozione fondamentale per la sopravvivenza: senza di essa, in caso di pericolo, si adotterebbero comportamenti imprudenti (ad es., attraversare la strada con il semaforo rosso); d’altro canto, una dose eccessiva di paura attiverebbe comportamenti controproducenti di chiusura e di evitamento della situazione temuta che possono compromettere significativamente il funzionamento della persona e sfociare in fobie.

E nei bambini?

Nei bambini, le paure rappresentano una tappa naturale del loro sviluppo. Esistono infatti delle paure che possono essere considerate tipiche dell’età evolutiva: quella degli estranei, della separazione, del buio, della morte, dell’abbandono, degli animali grandi, degli insetti, dei fantasmi, dei mostri, di Babbo Natale, ecc.

Generalmente, molte delle paure dei bambini tendono col tempo ad estinguersi grazie alla maggiore consapevolezza di sé e del mondo, che si sviluppa naturalmente con la crescita ma che, al tempo stesso, risente della qualità degli scambi relazionali con l’adulto.

Il superamento di una paura (o l’evoluzione di una paura in fobia) è quindi fortemente influenzato dalle risposte degli adulti di riferimento e dalla loro capacità di creare un ambiente accogliente e supportivo che possa dare voce e spazio alla paura: un bambino ha maggiore probabilità di comprendere, accettare ed imparare a regolare le emozioni quando sente di poterle esprimere liberamente e non quando le nasconde o le nega, per vergogna.

Sia che si tratti di paure irrazionali (ad es., i mostri sotto il letto), sia che si tratti di paure relative a situazioni reali (ad es. i temporali, il dottore) il bambino sperimenta un’alta dose di angoscia che richiede, in ogni caso, di essere gestita in modo appropriato.

Come dare voce e spazio alla paura?

Tutte le emozioni, anche la paura, devono essere esplorate, capite ed accettate. Quindi legittimate, al fine di evitare che evolvano in situazioni di disagio affettivo.

Tipicamente le reazioni di paura nei bambini vengono ridicolizzate o minimizzate con frasi o commenti del tipo:

“Non c’è nulla di cui aver paura!”, o “Tranquillo, non potrà succedere nulla!” o ancora “dai su, non fare il fifone!”.

Questo genere di commenti, oltre a non sortire l’effetto desiderato (cioè, rassicurare), sminuiscono quello che prova il bambino e ne disconoscono il suo mondo emozionale. Giudizi prettamente razionali, freddi e distaccati rendono il bambino ancora più insicuro sulla situazione, sul suo modo di dare significato agli eventi e al suo mondo interno e di conseguenza minano la sua autostima, limitano la sua autonomia e vanno ad alimentare ulteriormente la sua dipendenza dalle figure genitoriali. Si attiverebbe così un circolo vizioso del tipo:

“Ho paura… i miei genitori mi dicono che non devo aver paura… allora perché ho paura? Forse non sono in grado di valutare quando sono in pericolo…  forse l’unica soluzione è averli sempre accanto!”.

Una sequenza comunicativa fortemente disfunzionale che può e deve essere interrotta.

Frasi giudicanti che aumentano il senso d’impotenza nel bambino devono allora essere sostituite da espressioni empatiche, che gli riconoscono il diritto di sentirsi spaventato, come di essere felice o triste, arrabbiato o meravigliato:

 “ok, puoi rimanere vicino a me per tutto il tempo che desideri, poi, quando ti sentirai pronto, potrai raggiungere i tuoi amichetti!”

“Se avessi fatto quel brutto incubo, anch’io mi sarei spaventata!”

 “Tutti abbiamo paura qualche volta, anch’io, si!”

Questa semplice attenzione al “cosa si dice” deve essere necessariamente accompagnata da un’attenzione particolare al “come si dice”: un genitore che esclama una frase empatica con atteggiamento distante, sprezzante o ridicolizzante o con tono distratto non otterrebbe lo stesso effetto di un genitore che accompagna l’esclamazione con un atteggiamento di vicinanza, di calore, di comprensione emotiva. Una presenza calma e affettuosa ha infatti un effetto tranquillizzante immediato: i sentimenti del bambino sono riconosciuti e convalidati e il bambino può sentirsi capito, senza essere giudicato.

Riconoscere le paure dei bambini significa quindi sintonizzarsi su un altro livello, adottando un atteggiamento empatico, la strada migliore per arrivare a soluzioni creative.

Comunicare con empatia vuol dire accogliere, accettare ed ascoltare le preoccupazioni del bambino; vuol dire, per l’adulto, affinare la sensibilità emotiva e la capacità di connettersi e riconnettersi con il mondo del bambino.

Mettersi… in GIOCO!

La qualità della relazione con le principali figure di accudimento è influenzata enormemente dalla modalità di stare con i figli in modo attivo e creativo o più semplicemente, dal modo in cui genitori e figli riescono a giocare insieme.

L’educazione emotiva nei bambini (e quindi il processo di riconoscimento, comprensione ed espressione delle emozioni) passa inevitabilmente attraverso modalità ludiche.

Il gioco è infatti il veicolo d’elezione per lo sviluppo del proprio Sé; è uno dei canali comunicativi e conoscitivi più importanti per i bambini, per questo rappresenta il motore più grande per l’apprendimento. Attraverso il gioco condiviso i bambini stabiliscono una relazione molto intensa con le figure genitoriali e hanno la possibilità di creare infinite trame in cui sperimentarsi ad un livello quasi paritario con l’adulto (i ruoli e i personaggi posso essere facilmente scambiati).

Si pensi ad esempio al semplice gioco del “facciamo finta” (il classico gioco di ruolo). Per superare insicurezze e paure si può proporre uno scenario che consente al bambino di vestire i panni di un valoroso supereroe, che salva animali indifesi e spaventati da un mostro terrificante (l’adulto). E in questo clima emotivo di divertimento tra lotte goffe e improbabili, in cui ad un livello più superficiale il bambino riesce a sconfiggere il nemico grazie ai suoi “superpoteri”, si sviluppa e consolida ad un livello più profondo, un senso di sicurezza e di fiducia nelle proprie capacità, in modo naturale e spontaneo.

É infatti straordinario notare come la componente ludica determini delle vere e proprie iniezioni di fiducia che gradualmente usciranno dai confini della finzione per contagiare anche situazioni temute di vita reale.

Ulteriori e potenti strumenti per stare in relazione con i propri figli in modo attivo e creativo sono le  fiabe, le filastrocche, le canzoncine e i disegni condivisi che consentono al bambino di rappresentare simbolicamente, comunicare, ed elaborare tutte le sue paure, in un’atmosfera di connessione emotiva con l’adulto.

Il bambino che impara a riconoscere le sue paure, a condividerle e ad affrontarle, riuscirà a comprendere che crescere significa misurarsi con compiti a volte difficili, affrontare situazioni a volte temute e sfide sempre più ardue ma, al tempo stesso, vivere avventure straordinarie e costruttive.

Dott.ssa Valentina Moffa,

Psicologa, Pedagogista Clinica,

Psicoterapeuta in formazione presso Aprilia

Per approfondire

Le fiabe per… giocare con le emozioni. E imparare a gestirle. Un aiuto per grandi e piccini, K. Aringolo, M. Albrizio, Le Comete Franco Angeli, 2016.

Le paure segrete dei bambini. Come capire e aiutare i bambini ansiosi e agitati L.J. Cohen, ed. Feltrinelli, 2015.

Perché non ci capiamo? Giochi relazionali, aspetti psicologici e meccanismi della comunicazione M. Cason, Franco Angeli, 2011

http://www.stateofmind.it/2016/05/paure-nei-bambini/

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