Cinema e Psicologia. Dunkirk di Nolan
Un film sulla guerra, non un film di guerra. Un racconto visivo e sonoro, estremamente accurato e attendibile, dei fatti accaduti nei tragici giorni della primavera del 1940. L’esercito britannico, e parte di quello francese, si trovano circondati: davanti a loro l’esercito di Hitler, alle spalle il mare del Canale della Manica. Canale della Manica che separa l’isola dagli eserciti di Hitler e la marina britannica, la più potente al mondo, in grado di impedirgli di passare, tenuta in scacco dal fatto che più di 200 mila soldati sono bloccati in Francia: abbandonarli significherebbe lasciare indifesi i grandi possedimenti coloniali britannici, dall’estremo oriente a gran parte dell’Africa. La sera del 25 maggio il governo britannico prende la sua decisione: l’esercito britannico d’istanza in Francia deve essere evacuato via mare. Per farlo la marina militare fa appello a quella civile, in un disperato tentativo di riportare i propri soldati in patria.
Dunkirk è un film senza protagonisti, con tre punti di vista diversi, e altrettanti tempi narrativi, che finiscono per convergere in un’unica sola percezione emotiva e cognitiva per lo spettatore. Ci si sente invasi dai fatti, dalla concreta immediatezza del pericolo, dal l’impossibilità di rimandare il terrore che ci coglie mentre si attende il proprio turno per essere salvati, senza cibo o acqua, sulla spiaggia di un porto grigio e mortifero, in attesa di un posto su una nave che non vuole affacciarsi all’orizzonte. O mentre la nostra imbarcazione di fortuna affonda e si nuota disperatamente verso una nave e finalmente si viene sfamati, solo in attesa di sentire uno scafo esplodere nell’impatto con un siluro, e vedere l’acqua che inizia a riempire con scrosci violenti la sala mensa, spezzando in attimi quel breve frammento di normalità, fatta di giovani soldati e infermieri che si cibano e si dissetano. È già un ricordo. La maggior parte di loro è già annegata, i loro corpi pesanti affondano ammucchiandosi rumorosamente contro lo scafandro dell’imbarcazione dilaniata. Per chi è sopravvissuto ci potrebbe essere ancora speranza, dal mare, perché navi civili si muovono verso di loro per riportare a casa 330000 soldati. Ma dal cielo può arrivare la morte, un ME-109 spara e fa incendiare la nafta in cui stanno nuotando i soldati. Ma dal cielo può arrivare anche la salvezza. Due Spitfire Mark 1 e 5, i superstiti di uno storno della Raf, entrambi agganciano un tedesco, ma il primo pilota finisce il carburante e ammara, e mentre la calotta del suo velivolo non si apre, non si apre, non si apre, l’acqua sale, sale, sale, fino a immergerlo nell’acqua fredda dell’Atlantico, con la gola strozzata e gli occhi che cercano ancora il cielo mentre il corpo inizia ad affondare. Anche l’altro pilota non ha più carburante, ma non vuole ammarare, spende i suoi ultimi galloni alle calcagna dell’ME-109, e lo abbatte, poco prima che la nave civile che ha salvato il primo pilota dall’annegamento, e i soldati sopravvissuti all’affondamento della seconda nave militare, venga colpita dalla sua mitragliatrice. Questo è l’esatto attimo attorno al quale ruota il racconto di Nolan, che ha la potenza di un documentario di guerra, direttamente dal fronte. Un solo attimo che cattura ogni nostro senso, con i suoi clangori, esplosioni, scoppi, incendi, fumi, liquidi putridi, salmastri, sangue e speranza. Miseria umana e sacrificio eroico solcano insieme la via di ritorno a casa, segnando una vittoria nella disfatta che farà la differenza nella storia della seconda guerra mondiale.
Un’esperienza sensoriale, prima che cognitiva e narrativa che rende evidente è tangibile la dimensione corporea del trauma, è come essa affligge coloro che sopravvivono ai traumi gravi. Molti dei sopravvissuti a gravi traumi come quello della guerra sviluppano un disturbo post traumatico da stress, caratterizzato in particolare
dall’incapacità di integrare l’esperienza traumatica con la visione integrata di sé e del mondo. I soggetti con DPTS rimangono, dunque, incastrati nel ricordo terrifico incapaci di concentrarsi sul presente. Il disturbo è caratterizzato dalla continua intrusione nella coscienza di ricordi dolorosi a cui segue una forte attivazione fisiologica con relativi tentativi di impedire il riaffiorare dei ricordi attraverso strategie di evitamento attivo e passivo. Questo schema di intrusione ed evitamento porta ad un progressivo peggioramento dei sintomi e delle disabilità nel periodo che segue l’esposizione al trauma. una serie di sintomi che possono far seguito ad un’ esperienza traumatica.
La riesperienza intrusiva. I ricordi dell’ evento traumatico possono essere altamente intrusivi, ripetitivi, sempre uguali e possono esprimersi in forma di flashback, incubi, riattualizzazioni interpersonali, sensazioni somatiche, stati affettivi e/o temi di vita pervasivi (van der Kolk et al. , 2004). La “riesperienza“ non avviene sempre in uno stato di piena conoscenza, ma può manifestarsi a vari livelli di coscienza: a) in condizioni di totale mancanza di conoscenza; b) in stati di fuga quando i rivissuti avvengono in uno stato di coscienza alterata; c) essere sotto forma di frammenti di percezione monolitici e separati che irrompono nella coscienza” (van der Kolk, 2004); d) in fenomeni di transfert in cui l’ eredità traumatica viene rivissuta come destino ineluttabile e) nell’ espressione parziale ed esitante dell’esperienza come narrazione insopportabile (van der Kolk et al. , 2004).
Iper-reattività autonoma. Le risposte fisiologiche nelle persone affette dal PTSD sono condizionate a reagire agli stimoli evocatori del trauma con la reattività autonoma dell’ emergenza mettendo in allerta l’organismo. Ma proprio questa facile attivazione rende i soggetti incapaci di fidarsi delle loro sensazioni per prepararsi in maniera adeguata. L’aumento della stimolazione autonoma, che può essere suscitato da uno stimolo attivante ma anche solo dell’ ansia stessa, interferisce non solo con il benessere psicologico ma può anche scatenare reazioni inadeguate alle necessità.
Ottundimento della sensibilità. I soggetti traumatizzati sembrano impiegare le loro energie per evitare le sensazioni interne che provocano stress o a controllare le proprie emozioni. In questo modo tendono ad affrontare l’ ambiente con ritiro emotivo ovvero con ottundimento emotivo (in forma di depressione, anedonia, mancanza di motivazione, reazioni psicosomatiche, stati dissociativi). Reazioni emotive intense. I soggetti traumatizzati perdono la capacità di regolare gli affetti. La risposta affettiva è immediata, senza che il soggetto possa comprendere la cosa che lo turba. I soggetti provano intense sensazioni di paura, ansia, rabbia e panico, anche di fronte a stimoli di lieve entità. Il paziente, di conseguenza, ha una reazione eccessiva oppure, per evitare ciò, si chiude completamente e/o si isola. Sia bambini che adulti che soffrono di questa iperreattività, facilmente sviluppano un disturbo del sonno e/o difficoltà di concentrazione.
Nolan, grazie ad una costruzione di un racconto esperienziale, prima che narrativo, fatto di esperienze somatosensoriali, riesce a indurre nello spettatore le stesse emozioni e reazioni di chi si trova a sperimentare un grave trauma. Un trauma, che grazie alla narrazione può essere inserito nella trama della nostra storia, individuale oltre che collettiva, e forse permetterci di apprendere qualcosa dall’esperienza.
Dott.ssa Valeria Colasanti
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Per Approfondire:
Blanchard EB, Jones-Alexander J, Buckley TC, Forneris CA. (1996b) Psychometric properties of the PTSD Checklist (PCL) Behaviour Research and Therapy, 34, 1-10.
Van der Kolk Ba, Dreyfuss D, Michaels M, Shera D, Berkowitz R, Fisler R, Saxe G. (1994) Fluoxetine in post traumatic stress disorder. Journal of Clinical Psychiatry, 55, 517-22.