Il mutismo selettivo. Quando parla il silenzio
Il Mutismo Selettivo è un disturbo poco conosciuto perché poco riscontrato, ne sono affetti 7 bambini su 1000, che colpisce prevalentemente i bambini senza distinzioni relative al sesso e all’etnia e che è caratterizzato dalla persistente incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche, come ad esempio a scuola, quando ci si aspetta che si parli, mentre in altre situazioni parlare risulta possibile. Nei contesti in cui questi bambini si sentono a proprio agio riescono ad esprimersi normalmente e per questo spesso la loro difficoltà nel parlare viene scambiata per timidezza.
Nel mutismo selettivo lo sviluppo e la comprensione del linguaggio sono nella norma e non sono presenti disfunzioni organiche, disturbi della comunicazione (come la balbuzie) o disturbi mentali (come autismo, schizofrenia, ritardo mentale). Il disagio si può manifestare anche nella difficoltà che i bambini muto selettivi hanno nel mantenere il contatto visivo, nella loro rigidità fisica e nell’inespressività del volto. I bambini affetti da questo disturbo possono comunicare attraverso gesti, annuendo o scuotendo il capo in segno di diniego.
In genere i primi segnali si manifestano durante la scuola dell’infanzia, ma non viene attribuito loro il giusto peso. Se si incorre in questo errore il disturbo diviene però evidente nella scuola primaria, dove le richieste sono più elevate sia dal punto di vista didattico che relazionale.
Fino a qualche anno fa si interpretavano i silenzi come una volontà del bambino di non parlare e dunque una provocazione, una sfida e un modo di sottrarsi alle regole e ai compiti.
A partire dalla definizione sopra riportata del DSM IV che viene riconfermata dal più recente DSM V si incomincia a parlare del mutismo selettivo come di una incapacità rispetto invece al concetto di rifiuto che in passato gli veniva associato. Questo cambiamento nel modo di vedere il disturbo è stato un passaggio molto importante che ha permesso di comprendere che il bambino affetto da mutismo selettivo non si rifiuta di parlare attivando comportamenti oppositivi, ma mostra la sua incapacità di parlare determinata dalla paura, dalla vergogna e da livelli di ansia elevati. Il bambino in realtà vorrebbe parlare ma non ci riesce. Una delle novità più importanti a tal proposito, riportate nel DSM V è quella che vede il mutismo selettivo inserito nella sezione dei disturbi d’ansia e non più in quella definita “altri disturbi dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza” del DSM IV, inoltre estende l’attenzione anche ai casi di bambini di famiglie immigrate che possono rifiutare di parlare la nuova lingua.
Questi cambiamenti hanno offerto la possibilità di superare la visione in cui si attribuiva intenzionalità nel mantenere il silenzio e che non faceva altro che creare un clima di tensione, di pressione e colpevolizzazione che ostacolava la possibilità di fornire un clima sereno e disteso che invece è senz’altro favorevole a far emergere la comunicazione verbale.
Oggi è finalmente chiaro che il mutismo selettivo è un disturbo legato all’ansia e dunque ad uno stato di agitazione e di attivazione fisiologica e psichica in reazione a situazioni stressanti, preoccupanti o che fanno percepire la presenza di un pericolo, a volte inesistente. L’ansia sottostante diventa patologica quando è presente in modo eccessivo e impedisce di risolvere un problema, interferendo con la vita quotidiana.
Attualmente si ritiene che il mutismo selettivo possa essere il precursore della fobia sociale.
A scuola il comportamento dei bambini muto selettivi può essere vissuto dagli altri come oppositivo e alla ricerca di attenzioni, in realtà molti di loro riferiscono che si sentono come sopraffatti dall’ansia e che ciò impedisce alle parole di uscire.
Prendendo in considerazione il fatto che il bambino, nel momento in cui vive lo stato ansioso, percepisce la situazione come in qualche modo pericolosa o che potrebbe metterlo in difficoltà, possiamo interpretare il silenzio come una strategia di difesa di fronte all’incapacità di fronteggiare le richieste ambientali. Il silenzio è una reazione di congelamento della comunicazione verbale. Se ci soffermassimo ad ascoltare emotivamente il silenzio di questi bambini ci accorgeremmo che esso comunica molto di più di quanto sembra e che nasconde dietro di sé molte cose: la grande sensazione di inadeguatezza e di incapacità che lo pone in una condizione di disagio nelle situazioni non familiari; possiamo comprendere quanto sia elevata la paura che gli altri possano giudicare negativamente ciò che fa; la vergogna e la metavergogna, ovvero la vergogna di vergognarsi; l’autosvalutazione e la bassa autostima; la paura del giudizio e l’ipersensibilità alla critica; l’ansia e l’insicurezza.
Possiamo dunque pensare a quanti fattori influiscano ed ostacolino la comunicazione, che può essere certamente sostituita attraverso i gesti e il non verbale, ma che essendo bloccata da una condizione ansiogena porta inevitabilmente ad interferire negativamente sulle relazioni.
Inoltre una restrizione prolungata dell’uso del linguaggio verbale in una condizione di ansia e di chiusura, può determinare un generale impoverimento cognitivo del bambino, con secondarie difficoltà di apprendimento.
Risulta determinante fare in modo che si crei un ambiente sicuro, tranquillo, all’interno del quale il bambino possa sentirsi piano piano sempre più a suo agio, un ambiente che non sottopone a giudizio nessuno e che accetta tutte le diversità e dunque che accetta anche il silenzio.
Credo che sia molto interessante riflettere su quanto la voce sia caratteristica di ognuno di noi e quanto essa ci identifichi. Probabilmente è una delle parti più intime di noi che cambia in base alle emozioni che si provano, agli stati d’animo e in base alle situazioni o agli interlocutori. Allora penso che forse a volte i bambini affetti da mutismo selettivo, nel momento in cui vorrebbero parlare possano probabilmente anche aver paura di come possa uscire la propria voce: rauca, tremante, troppo bassa ecc. potrebbe cioè sviluppare una ulteriore preoccupazione legata all’emissione del suono della propria voce.
Se il mutismo diventa invasivo rischia di diventare parte dell’identità stessa del bambino.
È possibile però aiutare questi bambini cercando di attivare un lavoro di squadra che coinvolga il bambino, la famiglia, la scuola e un terapeuta. Spesso i familiari non riescono a riconoscere che si tratta di un problema che richiede un intervento clinico, visto che il bambino di solito parla normalmente nell’ambiente familiare. A volte la scuola è vista dalle famiglie come la causa del problema perché è lì che si manifesta, ma bisogna aiutarle a comprendere, in questi casi, che la scuola è invece il luogo dove il disagio si fa sentire. Il messaggio che deve passare al bambino è che tutti sono dalla sua parte e che tutti lo accettano così anche se non parla.
Se diagnosticato immediatamente, nella maggior parte dei casi il Mutismo Selettivo può essere trattato e risolto con successo e in un tempo relativamente breve attivando un piano terapeutico ed un piano didattico personalizzato a scuola che collaborino per la risoluzione del problema.
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Per Approfondire:
DSM IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Masson, Milano, 2001.
DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
http://www.aimuse.it/ (Associazione Italiana Mutismo Selettivo)