Di leggerezza e pesantezza. L’eterna ambivalenza
“Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza?”.
Così il genio di Milan Kundera affronta il tema principe della sua opera “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, un perfetto ossimoro che ci pone davanti alla questione centrale per ogni essere umano: siamo esseri pesanti, come la carne di cui siamo fatti che ci spinge a terra, oppure siamo leggeri, aerei, come la natura della nostra anima?
Questo tema ci riporta all’eterno dibattito sul dualismo mente-corpo, risalente ai nostri antenati filosofi greci, capitanati da Platone. La questione mente-corpo così come viene intesa al giorno d’oggi è però riconducibile alla formulazione di René Decartes (meglio noto come Cartesio), secondo cui è considerabile meccanico qualsiasi fenomeno (principalmente fisico) che può essere studiato dalla meccanica. Solo due fenomeni, secondo Cartesio, sfuggono alla capacità esplicativa della meccanica: la mente e il linguaggio. Pertanto era necessario ricorrere a un’altra disciplina al fine di spiegare i fenomeni appartenenti alla res cogitans, che non potevano essere spiegati con la meccanica come per la res extensa. Le due sostanze erano dunque considerate ontologicamente separate e non poteva esistere tra loro alcuna influenza di tipo causale. Alla fine della sua vita Cartesio dovette rivedere alcuni aspetti della sua teoria, asserendo che le due istanze non erano separate come capitano e nave, ma legate da un legame di difficile comprensione, identificabile con la ghiandola pineale. Infatti, se mente e corpo sono completamente separati e non possono interagire, come possiamo spiegare la gran moltitudine dei fenomeni di cui abbiamo esperienza nella vita di tutti i giorni? Infatti, se il mio corpo si ferisce, è la mente a sentire il dolore, e questo ci riconduce all’annosa questione che oggi riveste un ruolo centrale in cui medicina e psicologia trovano un punto di contatto: la psicosomatica.
È nella prospettiva di questa interazione che possiamo tornare al tema introdotto sopra. Siamo esseri leggeri o pesanti? La leggerezza è per noi umani, ancorati al terreno dal nostro corpo, possibile o insostenibile? “Davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa?”.
“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.”
Questo ci suggerisce Italo Calvino, spezzando una lancia a favore della leggerezza dell’anima, spesso invidiata da coloro che hanno il cuore pesante, pertanto additata come superficiale. Sulla scia di Calvino, Lo Stato Sociale, gruppo bolognese nato nel 2009, con il suo pezzo “Niente di speciale” ribadisce così il concetto:
Sei come me / più sei leggera / meno sei superficiale.
È dunque possibile essere leggeri, senza perdere spessore, senza impoverirsi, senza dimenticare la complessità e la ricchezza dell’essere umano.
Abbiamo dunque risolto l’annosa questione posta da Kundera?
Probabilmente no.
La vita sa essere pesante, pesantissima, dura, durissima, può metterci davanti a prove difficili da sembrare impossibili, il corpo può pesare come un macigno, una zavorra (pensiamo a malattie come quelle tumorali), la mente può essere lenta, appesantita, pachidermica. Possiamo sentirci stanchi, demotivati, immobilizzati, come nelle sabbie mobili.
Quindi, un po’ come l’aria, possiamo essere leggeri, freschi, facilitare la respirazione, oppure, sempre come l’aria, possiamo mancare, essere pesanti, soffocare.
La leggerezza quindi, così come la pesantezza, sono due condizioni che fanno parte dell’esperienza umana, sono due concetti che si incontrano e si scontrano ma che, in fin dei conti, non possono essere considerati se non in maniera complementare.
Dott.ssa Giulia Radi
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Per Approfondire:
Kundera M. (1982) L’insostenibile leggerezza dell’essere
Calvino I. (1984) Lezioni americane.