Il tempo dell’analisi. Gli innumerevoli pregiudizi su di esso
L’analisi, anziché inseguire le terapie brevi o specialistiche nel loro sforzo di imitare le macchine – comprimendo il tempo – dovrebbe casomai affermare con fierezza una delle sue specificità. L’analisi rispetta il tempo per quello che è. L’analisi è lo slow food delle psicoterapie: non può – non vuole – accelerare i tempi per la preparazione del piatto finito. (…) Quello che voglio dire è che la preservazione di un tempo non ancora compresso (che sopravvive nell’analisi, nella meditazione, nella preghiera e in poco altro: perché persino la creazione artistica o l’esperienza erotica cedono spesso al comando di comprimerlo) ha, come l’acqua pulita o un’opera di Michelangelo, un valore infinitamente superiore a quello che percepisce il singolo, immediato fruitore. E’ un valore inestimabile per la collettività, per la cultura, per i tempi futuri.
Luigi Zoja
A partire da questa eccellente considerazione di Luigi Zoja vorrei, non attaccare o giudicare negativamente terapie differenti dalla psicoanalisi ma, provare a sfatare dei falsi pregiudizi sui tanto criticati “tempi analitici”.
Spesso il non saper stabilire un tempo a priori sulla durata dell’analisi porta, chi si trova al di fuori dell’ambiente analitico, a pensare che questo significhi “non avere un tempo” e come conseguenza anni e anni di lunghe discussioni sulla propria infanzia, sul proprio dolore, sulla scoperta o meno del proprio inconscio, con tutte le fantasie che questa parola suscita nell’immaginario collettivo, ecc ecc…. ; in realtà è un grosso, grossissimo errore.
Il tempo dell’analisi esiste ed esiste molto di più rispetto ad altri approcci che in realtà hanno, come tempo esterno una data ben precisa ma, come realtà interiore l’infinito ed oltre. In analisi c’è un tempo per la conoscenza, un tempo per l’ascolto, un tempo per la comprensione, un tempo per il silenzio, un tempo per interpretare.
Un paziente che si approccia all’analisi sa benissimo o dovrebbe sapere che il sintomo che lui porta come “radice marcia da estirpare” (nel minor tempo possibile per l’appunto), rappresenta in realtà solo una parte, una piccolissima parte di ciò che realmente si nasconde dietro quella, direi miracolosa, manifestazione del suo malessere.
Curare un attacco di panico o una depressione o altre psicopatologie basandosi sulla richiesta limitante seppur comprensibile di un paziente a lungo termine non aiuta ne fa prendere consapevolezza del perché si è strutturato quel sintomo.
Solo prendendo contatto con l’inconscio, con le reali necessità dell’individuo, con ciò che il corpo manifesta ma l’anima urla, con le Ombre (per usare un termine Junghiano) e con l’intera struttura di vita (affettiva, sociale, lavorativa, individuale e collettiva) non pretendendo un cambiamento secondo tempi stabiliti, come se fosse una gara a chi fa la migliore performance, ma un percorso basato sulla RELAZIONE UMANA, essenza e caratteristica principale della psicoanalisi, si mette in moto all’interno di ognuno di noi una consapevolezza piena che non sempre porta ad una rivoluzione totale o parziale della propria vita ma, per lo meno ci mostra dei meccanismi/automatismi che si sono insidiati all’interno del nostro essere “governando” le nostre azioni ed i nostri pensieri.
Tutto questo ha un tempo? Si… il tempo interiore.. il tempo che ognuno necessita, il tempo PERSONALE ..ed il tempo personale non ha tempo… in questo consiste il grande paradosso e l’equivoco dell’analisi.
Ci tengo però a puntualizzare che tutto questo è anche vero ma fino ad un certo punto…il tempo senza tempo….
Un bravo analista sa quando è arrivato il momento di terminare il percorso analitico, a prescindere dagli eventuali futuri ritorni del paziente in un momento di emergenza, e lo fa’ non lasciando sospesi o “non detti”.. ma non chiudendo mai la porta a chiave perché mai si fermerà il processo d’individuazione/trasformazione(una volta messo in moto) di un essere umano.
Sin dai tempi dell’antica Grecia il tempo non era qualcosa di oggettivamente descrivibile secondo canoni unici ed universali, per questo usavano indicare tre modi per definire il tempo: Aion, Chronos e Kairos.
Aion rappresenta l’nfinito, l’eternità, lo scorrere delle ere, l’isesauribile.
Chronos rappresenta il susseguirsi degli istanti, delle ore, dei giorni, considerato il tempo che distrugge.
Kairos è invece il momento opportuno, il momento propizio intendendo quel periodo di tempo in cui qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose sta accadendo. Kairos , l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli.
Tutte queste modalità temporali si muovono all’interno del processo analitico l’una nel fluire dell’altra come delle onde che si alternano tra tsunami e basse maree.
“Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall’altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, in tanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere?” S. Agostino
A cura di Maria Valentina Saccone,
Scrittrice e studiosa di Psicoanalisi