Obesità e Bulimia. Possibili declinazioni del vuoto
Ricordo ancora che mi svegliai nel cuore della notte, allertata da un insolito rumore proveniente dal bagno posto in fondo alla mia piccola casa. Fuori buio pesto, gli occhi semi chiusi e la mente ancora dormiente, seppur in buona parte impegnata a decifrare quegli strani e confusi segnali sonori che percepivo essere non troppo lontani dal mio letto. Ed ecco che d’improvviso riuscii a distinguere il tutto: era il tipico crunch – crunch di chi è intento a mangiare delle croccanti patatine in busta. Avevo svelato l’arcano. Quel giorno l’amica della mia inquilina si era fermata a cena da noi: entrambe avrebbero studiato fino a tarda sera in vista di un esame di biologia molecolare fissato a breve e che destava loro non poca preoccupazione. Evidentemente, credendo di non essere scoperta da nessuna di noi, complice l’ora tarda ed il silenzio della notte, aveva ben pensato di rifugiarsi fra le mura del bagno, cui aveva affidato il compito di custodire segretamente la scarica violenta e veloce di una tensione emotiva a lungo accumulata. E’ passato parecchio tempo da allora e per quanto la memoria non mi aiuti a riportare esattamente tutte le riflessioni che feci in quelle rapide frazioni di secondo, c’è però una cosa che ricordo come fosse ieri: la mia attenzione a quel rumore fragoroso e pungente, al limite del fastidioso, e in special modo la voracità sottesa e tutta concentrata in quell’azione, nitidamente percepita dalle mie orecchie.
Ed è proprio da questi primi elementi che vorrei partire per illustrarvi alcuni aspetti emblematici di due condizioni cliniche nel contempo uguali e diverse fra loro: l’obesità e la bulimia (per un approfondimento si rimanda agli articoli “Obesità – L’imbottitura dell’anima”, “Bulimia nervosa – Una fame da bue”).
La mia intenzione è sì, quella di gettare uno sguardo su queste due dimensioni così diffuse, ma di farlo a partenza da una lettura critica della nostra società contemporanea.
La cultura del benessere nella quale siamo comodamente immersi ci porta inesorabilmente a descrivere la condizione attuale nei termini di una “obesità generalizzata” (il che avrà una maggiore valenza per la società occidentale), in cui la furiosa rincorsa al consumo non conosce frustrazione alcuna. Difatti, l’era consumistica, a struttura bulimica, ci offre una gamma di oggetti del desiderio sempre nuovi, dove ciò che immediatamente si rileva è la totale mancanza dell’assenza: in questa società il vuoto è oltremodo otturato e riempito massimamente, così che di esso non resti neppure l’ombra. In un simile clima, ciò che emerge dopo una prima osservazione di superficie è la mancanza di uno spazio che sia lasciato al vuoto ed al suo attento ascolto: di converso, si assiste al suo riempimento difensivo, in un meccanismo forsennato e sistematico, dove tutto scorre veloce e non c’è tempo per fermarsi ad una riflessione. L’arte dell’ascolto, di sé e dell’altro, non è qui contemplata. L’incapacità forse più generale è quella di sentire che rumore abbia quel vuoto: esso è così terrifico che il suo rumore stride forse un po’ troppo, intimorisce e atterrisce. E’ un rumore a cui non si può dar voce e a cui non ci si può appellare, al punto che lo si deve necessariamente riempire tutto, così da azzittirlo una volta per tutte.
Ma ancor prima d’intraprendere qualunque tipo di discorso in merito alle modalità d’espressione uguali e contrarie nelle due condizioni cliniche su citate, trovo sia doveroso fare chiarezza su un punto, così da evitare sovrapposizioni confusive: mentre il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM – V) contempla la bulimia nervosa fra i disturbi dell’alimentazione, leggendola pertanto come una patologia in qualche modo affine ai disturbi mentali, lo stesso non vale per l’obesità, che è di contro una condizione cronica dalla matrice prettamente medica e dalle implicazioni prevalentemente organiche.
Ciò detto, obesità e bulimia possono essere intesi come tentativi disperati di arginare l’angoscia derivante dal desiderio (sotteso) dell’altro; in particolare, l’obesità si configura come l’emblema di ogni patologia della dipendenza. Oggi essa si mostra in tutto il suo aumento esponenziale, in un’età d’esordio che spesso si colloca già nell’infanzia. Nella dimensione dell’obeso è leggibile una certa difficoltà a prendere le distanze e a “staccarsi” dall’oggetto: ma anziché orientarsi su un altro che sia reale, il paziente obeso tenta di aggirare l’ostacolo scegliendo un altro inanimato, scarnificato, asessuato, con cui intessere una relazione esclusiva. Qui, l’oggetto – cibo è cioè visto come l’unico mondo possibile e pensabile per il paziente obeso, che così facendo si priva tuttavia di abbondanti fette e possibilità che il mondo con l’altro, quello vero, gli offrirebbe se solo avesse il coraggio di relazionarvisi. Ecco che allora l’oggetto – cibo assume il ruolo di elemento riempitivo di ogni vuoto potenziale, nel senso che esso è ora impiegato strumentalmente nell’illusione che quella ferita sottostante possa essere rapidamente ricucita grazie alla semplice assunzione di cibo. Il corpo è qui usato come scudo che ripara e protegge da ogni tempesta emotiva, in un’operazione di addizione costante.
Nell’obesità, così come nella condotta bulimica, ciò che colpisce è la rotta seguita dal godimento, che non si dirige tuttavia verso ciò che si fagocita, ma che è sostenuta e rafforzata dall’attività del fagocitare in quanto tale: pertanto, in entrambe le condizioni cliniche, la compulsione, che domina avidamente l’atto del divorare senza limite alcuno, è l’elemento che auto – alimenta e incrementa in modo esponenziale il godimento medesimo. Nella società odierna il consumo sarebbe cioè orientato semplicemente verso se stesso, in un vortice distruttivo e perverso che si nutre dell’assunzione in sé e per sé, in un movimento infinito che si accresce dal di dentro.
Tuttavia, nonostante i molteplici caratteri affini anche all’esperienza bulimica – come quello del discontrollo, la tendenza ad ingurgitare senza limiti, la condotta improntata sull’avidità distruttiva, i facili acting out, l’aggressività di fondo, i sentimenti di indegnità, colpa e vergogna, il vissuto ambivalente legato al cibo ed il suo impiego compensatorio – è bene precisare anche che obesità e bulimia non sono affatto posizioni coincidenti: nell’obesità viene a mancare l’oscillazione costante pieno/vuoto che vige invece nella realtà bulimica (all’ abbuffata segue poi lo svuotamento, attraverso il ricorso al vomito auto – indotto piuttosto che per mezzo di sostanze lassative – per un approfondimento si rimanda all’articolo “Disturbo da alimentazione incontrollata – Abbuffate di emotività” e “Dipendenza da cibo – Il legame fra nutrimento ed emozione” ), laddove nel paziente obeso il “troppo pieno” viene invece mantenuto in una logica francamente ritentiva. Qui, il pieno è “solo pieno”, che si tramuta poi in ”troppo pieno”, sino al punto da soffocare il corpo dell’obeso e cancellare il soggetto stesso allontanandolo così dall’incontro pericoloso col desiderio dell’altro: in questa accezione, il corpo è vissuto con un’angoscia divorante e profondissima, in quanto quel soma sconfinato, lo stesso che protegge e ripara da ogni esposizione emotiva, arriva ad annientare la persona, dilatandosi sempre più a dismisura e immobilizzandola. A ben guardare, oltre il rifiuto dell’altro, dietro cui il paziente si trincera preferendogli l’assunzione avida e sfrenata dell’oggetto – cibo, è nascosto il desiderio dell’altro. L’essersi messo al riparo da ogni possibile legame sociale con l’altro lo ha sì protetto dal potenziale crollo ma lo ha al contempo racchiuso in una gabbia in cui egli ha deciso di abitare in solitudine, come affondando in una condizione autistica che non gli permette alcuno scambio con l’altro. Eppure, questo estremo ritiro narcisistico altro non è che un flebile tentativo di attirare l’attenzione dell’altro su di sé, un modo forse un po’ contorto per appellarsi all’amore dell’altro e richiamarlo, e ciò nonostante ogni contatto con quello getti il paziente in un’angoscia paralizzante: comprendere che dietro l’apparente rifiuto si cela di contro una domanda d’ascolto, può forse rappresentare la giusta chiave di volta per accedere al paziente ed aprire un primo, piccolo varco nel suo complesso mondo interno.
Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti
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Per approfondire:
Recalcati M., L’ultima cena: Anoressia e bulimia, Bruno Mondadori, Milano, 2007
Recalcati M., Clinica del vuoto. Anoressie, dipendenze, psicosi, Franco Angeli, Milano, 2004