Lo psicologo a scuola. Una risorsa fondamentale per un intervento tempestivo in adolescenza
Cosa succede quando in una scuola arriva uno psicologo?
Come viene accolto? O forse prima bisogna chiedersi…viene accolto? La sua presenza sarà considerata come un possibile valore aggiunto? Oppure come un corpo estraneo infiltrato nel sistema scolastico da tenere a bada?
Non è più così raro che gli studenti, all’interno dell’ambiente scolastico, possano fare una “chiacchierata” con uno psicologo oppure che, invece di fare lezione, partecipino ad un incontro con degli specialisti per parlare delle problematiche tipiche della loro età.
Queste attività vengono organizzate e promosse dai C.I.C., Centri di Informazione e Consulenza, che all’interno delle scuole si occupano di promuovere il benessere psicologico dei ragazzi. Ma come?
Solitamente vengono strutturate due tipologie di intervento: uno sportello d’ascolto avente lo scopo di accogliere e, appunto, ascoltare le richieste e le problematiche dei ragazzi oltre a gruppi di informazione e discussione su aspetti critici e delicati dello sviluppo.
Tutto ciò viene organizzato e realizzato da psicologi allo scopo di:
– diffondere una cultura del benessere psichico e realizzare una prevenzione intervenendo precocemente su fattori protettivi e fattori di rischio (a livello di malattie psichiche o sessualmente trasmissibili, comportamenti a rischio per la salute, ecc…)
– individuare le situazioni in cui è già insorta, o sta per insorgere, una malattia psichica per intervenire tempestivamente e aumentare quindi le aspettative di successo di un intervento terapeutico.
In termini tecnici potremmo dire che viene effettuata un’attività di prevenzione primaria e prevenzione secondaria. Nel primo caso si agisce in un contesto in cui la patologia, il disturbo o il disagio, non è ancora sopraggiunto. Si cerca quindi di evitare ciò diffondendo informazioni sui fattori che possano aumentare o ridurre il rischio, rispondendo alle domande dei ragazzi e fornendo uno spazio di ascolto che permetta loro di non sentirsi soli e spaesati in questa fase complicata della loro vita.
Nel secondo caso invece, trovandosi di fronte a malattie già insorte, si tratta di intercettare, tramite lo sportello d’ascolto, quei segnali che non sempre sono compresi da chi conosce il ragazzo. In questo modo si riconosce tempestivamente una situazione nella quale è necessario intervenire, aumentando così le possibilità di successo. Nella pratica succede che dopo qualche incontro con lo psicologo allo sportello d’ascolto, il ragazzo può essere indirizzato verso i servizi di salute pubblica deputati all’implementazione di interventi adeguati alla sua situazione.
Finora abbiamo parzialmente risposto alle domande iniziali: quando uno psicologo entra in una scuola vengono realizzate le attività appena esposte con le finalità illustrate.
Ma qual è la reazione dei ragazzi? Della scuola? Dei genitori?
I ragazzi si vergognano…hanno paura…ma sono curiosi, desiderosi di attenzione e risposte. La scuola vuole essere aiutata con i casi difficili…con i ragazzi che non frequentano più…con quelli che, tutti sanno, usano sostanze…con quelli agitati e violenti che non si fermano di fronte a niente e nessuno…con quelli che si isolano e non parlano mai…con quelli che scoppiano a piangere per le interrogazioni mettendo a disagio i professori.
La scuola nutre un interesse nei confronti dei ragazzi e non vuole restare indifferente. Questo atteggiamento non deve però essere ostacolato dalla paura di dover affrontare situazioni complicate e, a volte, genitori restii a voler capire. Ma anche dalla paura di doversi rendere conto di dinamiche e tendenze proprie del sistema scolastico che sottostimano le difficoltà dei ragazzi, quasi non volendole vedere.
Infine i genitori. Sarebbe difficile, ma anche fuorviante, descriverli in maniera univoca. Ci sono quelli interessati che accettano l’aiuto e si rivolgono allo sportello d’ascolto perché vedono un figlio in crisi. Ma anche quelli che, purtroppo, non vogliono vedere…che sottovalutano…cascando nell’idea che qualsiasi problema dei propri figli rientri nella normale turbolenza dell’adolescenza. E forse questo atteggiamento è inconsapevolmente motivato dalla difficoltà a mettersi in discussione e pensare di aver sbagliato qualcosa, per l’incapacità di tollerare un conseguente senso di colpa. Allora lo psicologo diventa l’intruso pericoloso, colui che può mettere in difficoltà.
Dietro l’ufficiale benvenuto rivolto, anche a livello legislativo, allo psicologo all’interno della scuola, si possono quindi celare reazioni di indifferenza o addirittura espulsione di un corpo estraneo ritenuto pericoloso.
Ma tutto ciò a quale prezzo? I ragazzi non possono evitare di crescere e quindi di affrontare compiti evolutivi e di confrontarsi con i pari e col contesto socio-culturale. E se emergono delle difficoltà devono necessariamente essere affrontate con senso di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti.
Chiuderei così, con la parola responsabilità.
Nei confronti dei minori, infatti, abbiamo tutti la responsabilità di costruire le condizioni per uno sviluppo sano. Ciò non significa stendere un tappeto rosso ed essere comprensivi in qualsiasi situazione, non significa rassegnarsi allo stereotipo dei ragazzi vittime e degli adulti carnefici. Non significa esimerli da qualsiasi responsabilità sulla propria vita e dargli il diritto di pretendere vendetta, in maniera anche distruttiva.
Ma non significa nemmeno cadere nello stereotipo diametralmente opposto: genitori innocenti povere vittime di ragazzi disgraziati e irriconoscenti.
Ma d’altronde a cosa servono gli stereotipi? A cristallizzare la situazione impedendo di affrontarla con curiosità, interesse e spirito critico, allo scopo di allontanare qualsiasi senso di colpa ( per un approfondimento si può consultare l’articolo Stereotipi e pregiudizi – Una rosa se non si chiamasse rosa nella rivista del mese di Giugno 2015).
Ed è qui che va effettuata una sostituzione: non si tratta di colpa ma, appunto, di responsabilità. Assumersi, tutti quanti, la responsabilità delle proprie azioni, consapevoli o inconsapevoli, per cercare di comprendere e intervenire, evitando così uno sviluppo psicopatologico ed uscendo così dall’interminabile giostra delle accuse reciproche.
Dott. Roberto Zucchini
Per approfondire:
Ammaniti, M. (2001). Manuale di psicopatologia dell’adolescenza. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Andolfi, M., Mascellani, A. (2010). Storie di adolescenza. Esperienze di terapia familiare. Milano: Raffaello Cortina Editore.