La dipendenza
Vuoti di vita da colmare

Quando parliamo o sentiamo parlare di dipendenze facciamo spesso i conti con sentimenti di preoccupazione, paura, rabbia… Ci spaventa e ci fa arrabbiare l’idea di perdere il controllo su noi stessi, cadere e superare una fantomatica linea di confine fra il nostro  volere e il subire. A volte ci preoccupa anche solo sapere di non essere indipendenti e dipendere da cose, eventi o persone esterne al nostro mondo interiore.

Guardiamo alle grandi e invalidanti dipendenze (da sostanze, ad esempio) con paura anche quando sono lontane da noi poiché ne conosciamo i meccanismi che quotidianamente sperimentiamo: ogni giorno viviamo piccole forme di dipendenza, comuni e pressoché salutari. Ancor prima della nostra nascita e per molti anni di vita, infatti, sperimentiamo la dipendenza dalle cure e dalle attenzioni di nostra madre. Arriva un giorno in cui crediamo di aver ottenuto un buon grado di indipendenza da lei, molto spesso nella fase di ribellione e separazione adolescenziale, quando impariamo a gestire nel bene e nel male i nostri piccoli impegni e doveri. 

In realtà, ci accorgiamo ben presto che continueremo per tutta la vita a sentirci dipendenti da qualcosa o qualcuno che rappresenterà o prenderà inconsciamente il posto di quella persona che si è presa cura di noi per tanto tempo. 

Come esseri umani cresciamo ed impariamo ad essere responsabili, ma non troveremo mai una formula magica per bastare a noi stessi e vivere indipendentemente dalle persone care e dal nostro contesto.  L’uomo è per natura un essere sociale, infatti, tende ad aggregarsi e a vivere relazioni e legami di dipendenza dall’altro. Dipendere da qualcuno permette non solo di vivere o sopravvivere (come per i bambini), ma è sinonimo di un livello intellettivo superiore, è ciò che ci differenzia dalle specie animali.

Continueremo per tutta la vita, quindi, a sperimentare forme di dipendenza, perlopiù sane, che mi piace definire “dipendenze della vita quotidiana”. Capita quando il nostro umore dipende dal sorriso di nostro figlio o del nostro partner. Quando non andiamo a dormire sereni senza il messaggio della buonanotte. O quando riserviamo qualche minuto al giorno a quel giochino sul cellulare che ci permette di spegnere i pensieri pesanti.

Le dipendenze patologiche, a differenza di quelle della vita quotidiana, portano con se ossessioni e compulsività, generano perdita totale di controllo sui comportamenti e allontanamento dalle relazioni funzionali e basate sulla reciprocità. Il soggetto agisce egoisticamente nella ricerca del piacere per riempire un vuoto, un vuoto che nasce dalla relazione con la figura di accudimento primaria e si struttura nell’arco della sua infanzia.

Erroneamente tendiamo a classificare alcune forme di dipendenza, ad esempio il tabagismo, come poco invasive poiché riportano nell’immediato un effetto meno dannoso rispetto ad altre. È bene affermare, invece, che si può parlare di dipendenza in termini di patologia quando sussistono condizioni cliniche psicologiche e fisiche che spingono il soggetto a reiterare in maniera coatta e incontrollabile comportamenti specifici per raggiungere un livello di gratificazione. Attraverso un mezzo, una sostanza o più canali, il soggetto altera la coscienza e dimezza i suoi livelli di tensione psichica, di ansia o di dolore. Nella ricerca di uno stato di benessere, che con il tempo sarà sempre più difficile da raggiungere, andrà incontro all’aumento delle dosi, alla perdita di controllo dei propri limiti e alla diminuzione del periodo di “sobrietà”. La dipendenza comporta una compromissione delle relazioni interpersonali, difficoltà nell’adempiere a compiti quotidiani (come andare a lavoro) oltre a seri rischi per la salute.

Sono casi in cui si riconosce come assolutamente necessario l’intervento psicologico/psicoterapeutico che supporti e contenga il soggetto nel lavoro di rielaborazione dei vissuti di “vuoto” legati al periodo infantile insieme ad un intervento farmacologico che aiuti a diminuire gli effetti della dipendenza fisica e faciliti la guarigione.

A dare il via al meccanismo di dipendenza patologico, dunque, è la scelta di una strategia poco funzionale per riempire un vuoto emotivo e raggiungere uno stato di benessere attraverso un canale che segue il principio del piacere. L’effetto? La realtà  risulta alterata e la felicità incompleta, non soddisfacente e passeggera determina la ripetizione del comportamento compulsivo. Per scardinare il meccanismo patologico e condurre verso  il principio di realtà, all’interno di un percorso di supporto, è importante far confrontare i pazienti che soffrono di forme di dipendenza invasive con le dipendenze della vita quotidiana. Lo scopo è ridare un senso alla loro solitudine e al loro vuoto: si sentiranno maggiormente accolti e compresi capendo che il meccanismo alla base della dipendenza ed i sentimenti ad esso connessi sono sperimentati nella vita da ogni uomo.

Oggi sappiamo che per natura siamo esseri dipendenti.

Nella vita “sana” di tutti i giorni, senza mai perdere di vista il nostro ruolo, la nostra responsabilità ed individualità, è importante accettare l’idea di dipendere da qualcun’altro. Concedersi anche la possibilità di dipendere da qualcuno significa potersi appoggiare su una base sicura, significa costruire, condividere, crescere, significa colmare un vuoto, significa dare spazio dentro di noi all’altro, significa un passo senza paura verso una più duratura e possibile felicità.

                                                                                                  Dott.ssa Emanuela Gamba

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Per approfondire:

Albano T. & Gulimanoska L.,  “In-dipendenza: un percorso verso l’autonomia”, Ed. Franco Angeli, 2006

Campione G. & Nettuno A.,  “Il gruppo nelle dipendenze patologiche”, Ed. Franco Angeli, 2011

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