Relazioni patologiche e doppi legami. “Di relazioni ci si ammala, di relazioni si guarisce”
Secondo la teoria elettronica della valenza, gli atomi non rimangono isolati ma tendono spontaneamente a legarsi tra loro per raggiungere una configurazione elettronica più stabile. Gli atomi sono attratti e tenuti insieme da una forza elettrostatica, e danno così luogo ad una nuova entità, una molecola o un aggregato cristallino, che possiede un valore superiore rispetto alla semplice somma dei singoli elementi che la compongono.
Gli uomini si comportano un po’ come gli atomi.
L’uomo nasce in relazione e non può vivere isolato: se nessuno si prendesse cura di lui appena nato, non sopravviverebbe. Un po’ come quei gattini che mamma gatta è costretta ad abbandonare e che nei casi migliori ci apprestiamo con tanta pazienza ad accudire, con siringhe piene di latte per nutrirli e carezze in abbondanza per fargli sperimentare un surrogato del calore materno. L’uomo dunque non può non relazionarsi, non può non legarsi. Così come per gli atomi, vi è una forza elettrostatica che attrae gli altri e che ci spinge verso di loro, al fine di creare legami. Il legame tra due o più persone, così come il legame chimico tra due o più atomi, dà luogo ad una nuova entità che, proprio come la molecola, ha un valore aggiunto rispetto alla semplice somma dei singoli elementi che la compongono.
Ogni rapporto che creiamo va gradualmente ad intessere un filo invisibile eppure robusto, proprio come i fili della solida tela del ragno, che ci lega all’altro, che rappresenta il tipo di relazione che intratteniamo con lui, le esperienze che abbiamo condiviso insieme, la parte di noi che l’altro ha avuto il privilegio di conoscere, la parte di lui che noi abbiamo avuto il privilegio di conoscere, le rappresentazioni che rispettivamente abbiamo l’uno dell’altro, tutto ciò che abbiamo dato e ricevuto da questa relazione, tutto ciò che ci ha cambiato. Perché ogni legame va a modificare una parte di noi e lo fa in maniera proporzionale alla solidità del filo invisibile che ci lega, alla profondità di noi alla quale l’altro è arrivato.
I legami dunque ci definiscono e ci modificano. Talvolta anche in senso negativo.
Pensiamo a quei legami talmente stretti da risultare soffocanti, a quei legami talmente deboli da sembrare evanescenti, a quei legami altalenanti che incidono fortemente sulle nostre giornate e sul nostro umore, a quei legami che ci impediscono di staccarci veramente e definirci come individui, a quei legami che abbiamo la consapevolezza che ci danneggino e che nonostante ciò non riusciamo a spezzare…
Una delle tante forme di legame patologico è quello in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente significativa, come può essere quella tra un genitore ed un figlio, presenta una incongruenza tra ciò che viene comunicato a livello esplicito, verbale, ciò che viene detto a parole, ed il livello non verbale, metacomunicativo, ciò che viene comunicato con i gesti, gli atteggiamenti, il tono di voce. Capita a volte che il legame con la persona che ci lancia questa comunicazione sia così forte ed invischiante da non lasciarci la possibilità di decidere quale dei due messaggi contraddittori sia valido, né di esplicitare all’altro né a noi stessi l’ambivalenza che stiamo sperimentando.
Un noto esempio è quello della madre che dopo un lungo periodo rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali e lui, in un gesto d’affetto, tenta di abbracciarla, mentre lei si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: “Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti”. A livello di comunicazione implicita la madre esprime rifiuto per il gesto d’affetto del figlio, mentre a livello di comunicazione esplicita, ella nega di essere la responsabile dell’allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si sia ritratto non perché intimorito dal suo irrigidimento, ma perché bloccato dai suoi stessi sentimenti; il figlio, sentendosi così colpevole, non riuscirà a rispondere alla sentenza materna.
Il celebre antropologo, sociologo e psicologo Gregory Bateson, teorico della pragmatica della comunicazione, sostiene che questo tipo di comunicazione su due livelli contraddittori corrisponde a relazioni di “doppio legame”. L’esposizione cronica a questo tipo di messaggi ambivalenti è dannosa per la persona che li riceve, tanto da diventare in casi estremi causa dell’insorgenza della schizofrenia, dove il soggetto perde la capacità di valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita ed implicita.
Nella realtà delle cose ci troviamo spesso ad avere a che fare con persone che ci mandano messaggi ambigui, ambivalenti, contraddittori, e sono proprio quelle le relazioni dalle quali ci è difficile, se non impossibile, separarci. Le relazioni nelle quali si instaura un doppio legame sono quelle in cui non c’è simmetria tra le due parti, in cui una delle due persone ha probabilmente a sua volta sperimentato una relazione di ambivalenza affettiva, per la quale con un codice comunicativo veniva avvicinata dall’altro, e con l’altro codice allo stesso tempo ne veniva respinta. Questa modalità crea inevitabilmente un legame, anzi due, quanti sono i binari comunicativi sulla quale si muove, che diventa patologico nel momento in cui non riusciamo a renderci consapevoli ed a verbalizzare ciò che stiamo sperimentando, restando quindi vittime agganciate al solo codice verbale (generalmente quello che lancia un messaggio di avvicinamento), con l’aggiunta però di una strana sensazione addosso.
L’esperienza di ricevere una comunicazione ambigua senza renderla consapevole, laddove reiterata, genera dei cambiamenti nel nostro modo di percepire noi stessi. Noi uomini siamo per natura ricercatori di coerenza, pertanto, per poter assimilare una comunicazione ambigua, dobbiamo necessariamente utilizzare, seppur ad un livello sub-liminale, dei meccanismi di difesa che ci permettano di reintegrare il duplice messaggio nella nostra mente. Questo meccanismo implicito genererà in noi l’impossibilità in futuro di rendersi consapevoli ed esplicitare la contraddizione insita nella comunicazione e nella relazione in oggetto, così da bloccarci dentro quella relazione apparentemente coerente e non dannosa.
Il modo che abbiamo per uscire autonomamente da questo tipo di relazione è cercare di ascoltarci, ascoltare quella sensazione strana che ci lasciano addosso certi scambi comunicativi, certe relazioni. La strana sensazione non è altro che la conseguenza di una manipolazione che l’altro, volontariamente o meno, sta mettendo in atto su di noi, portandoci, in una modalità che sfugge al nostro controllo, dove non avremmo voluto, ed incastrandoci in un legame che non è possibile spezzare, dal momento che non si conoscono tutti i fili invisibili che lo reggono.
La psicoterapia, nelle situazioni più gravi e reiterate nel tempo, mira a spezzare questa catena, proponendo un modello relazionale diverso, basato su un legame non ambiguo, cercando di stimolare nel paziente la capacità di riflettere sulle proprie sensazioni istintive all’interno delle relazioni di doppio legame, e fortificando allo stesso tempo la capacità di riconoscere, esplicitare ed eventualmente rifiutare, i messaggi ambivalenti che ci vengono inviati dall’altro.
“Di relazioni ci si ammala. Di relazioni si guarisce.”
(Patrizia Adami Rock)
Dott.ssa Giulia Radi
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giulia.radi@hotmail.it
Per approfondire:
Bateson G. Verso un’ecologia della mente (1972).
Watzlawick P, Beavin JH, Jackson DD. Pragmatica della comunicazione umana: Studio dei modelli interattivi della patologie e dei paradosso (1971).