Il migrante. Nei suoi panni bagnati
Ogni giorno ascoltiamo notiziari. Alla radio, in TV, mentre facciamo la spesa…
Le notizie ci arrivano veloci, distanti. Le ascoltiamo e dopo un minuto siamo distratti dalla vita. Ma ascoltare una testimonianza è diverso. Le parole ti rimbombano nella testa, si impregnano addosso come vestiti bagnati. Hanno un peso diverso. Ascoltare di persona un racconto di vita vera ti fa capire che certe cose accadono davvero, ancora, purtroppo….
Mohamed è un ragazzo egiziano. Ha 17 anni e prima di arrivare in Italia viveva a Tanta, una paesino vicino Gharbia. Ormai è quasi un anno che Mohamed è lontano dalla sua terra, eppure la sua mente e i suoi occhi vagano costantemente verso oggetti, parole o profumi che possano ricordarla.
Il viaggio di Mohamed per sbarcare in Sicilia non è stato semplice e decide di raccontarmelo mentre aspettiamo in una sala di attesa di un ambulatorio, a causa di una dermatite sulle sue braccia che simboleggia, forse, ancora una volta la sua lotta fra confini e frontiere, come la sua pelle, quel limite tra il dentro e il fuori.
Primogenito fra una sorella e un fratello, Mohamed mi racconta che è stato lui a decidere di intraprendere questo viaggio, con l’intento di trovare un lavoro, fare tanti soldi e tornare a casa talmente ricco da poter risollevare l’economia della famiglia. Mi chiedo quanto possa essere realmente libera la sua scelta e non condizionata da pressioni familiari o da altre persone che tornano vittoriose, a loro dire, dal viaggio.
Sono cinque i tentativi di Mohamed per imbarcarsi clandestinamente, spiegandomi come la mafia egiziana sia in strettissimi contatti con quella italiana. Il primo tentativo fallisce per un guasto alla nave. Costretta a ritornare in terra egiziana, la nave viene assediata dalla polizia. Tutti i passeggeri fuggono gettandosi in mare ma alcuni di essi vengono colpiti dagli spari…… Mohamed per fortuna riesce a salvarsi. Ritenta dopo qualche mese, una seconda volta, ma viene arrestato nella città di Alessandria insieme agli altri emigranti ancor prima di partire. In quella cella ci resterà per 5 giorni, un tempo relativamente breve rispetto a quelli indefiniti di un viaggio o un’attesa che può durare per sempre. Ma per fortuna, clemenza, destino, preghiera, il quinto giorno sarà quello dell’arrivo di suo padre che lo riporterà a casa. Nonostante la tanta paura provata per i tentativi falliti, Mohamed ci proverà ancora e ancora senza successo a causa della polizia, del mare troppo mosso o della barca in pessime condizioni. Al quinto tentativo, Mohamed riesce finalmente ad imbarcarsi con successo.
Inizia così il suo viaggio, su una nave di 20 metri, seduti uno affianco all’altro, talmente vicini e compressi da non potersi muovere. Mohamed continua dicendomi che la nave ondeggiava pericolosamente e grandi quantità d’acqua salata cadevano sul ponte, inzuppandoli ad ogni ora del giorno e della notte. E di notte, solo una luce per illuminare il tragitto, quella luce che puntualmente veniva spenta se si avvistava un’altra nave, e si rimaneva nell’oscurità circondati solo dal mare e con il rischio di perdere la rotta. In quelle ore, in silenzio, su quella nave sovraffollata, con soltanto il mare e il buio a fare da compagnia, Mohamed mi confessa che l’unico pensiero che lo salvava dal puro terrore era il desiderio ardente di arrivare sulla terra ferma. Otto giorni è durato il viaggio di Mohamed. Varie volte la nave fu costretta a fermarsi ore e ore in mare aperto perché il capitano veniva avvisato del passaggio della polizia o della guardia costiera. Arrivati in Sicilia dovettero aspettare un altro giorno prima di poter scendere, certi che non ci fosse nessuno a bloccare lo sbarco con i gommoni. E dal mare aperto alla terra ferma un ennesimo viaggio di 4 ore sul gommone, sempre di notte, sempre quel mare, sempre quella paura. Arrivato finalmente in Italia, Mohamed è felice di non dover più intraprendere quel viaggio spaventoso, anche se prova una profonda gratitudine per coloro che l’hanno portato fin lì, coloro che hanno fatto indebitare la sua famiglia e costretto lui a un viaggio di otto giorno con solo riso, pane e acqua.
Dalla Sicilia Mohamed arriva a Roma prendendo il treno e lì inizia a lavorare ai mercati generali finché non viene preso dalla polizia e portato in casa famiglia.
Anche in occasione di una giornata gioiosa estiva passata in spiaggia con gli altri ragazzi della casa famiglia, Mohamed conserva il terrore di quel ricordo, rifiutandosi di bagnarsi e giocare nell’acqua con gli altri. …quell’acqua che lo bagnava senza preavviso, da un’altra prospettiva, buia, fredda, crudele, lontana dal bagno estivo e dagli scherzi dei compagni, dagli schiamazzi che diventavano urla assordanti e di terrore soffocato…
Poi cambia discorso e mi confessa che si trova bene in casa famiglia, ma vorrebbe trovare un lavoro. Vorrebbe fare il pizzaiolo e una volta che sarà in regola con i documenti vorrebbe ritornare in Egitto, questa volta con l’aereo e portare in Italia suo fratello minore per occuparsi di lui.
Mohamed è un ragazzo solo, questo mi dice di lui, quando gli chiedo cos’è che gli manca di più dell’Egitto. La famiglia, gli amici, ma soprattutto poter parlare la sua lingua. Sente forte il desiderio di volere accanto a se una persona, un amico, che possa condividere le sue stesse tradizioni, una persona con cui poter discutere di ciò che sta accadendo ora in Egitto, di politica e del proprio paese.https://www.youtube.com/embed/AClqMNBDBSg?wmode=transparent&autoplay=1&mute=1&theme=dark&controls=1&autohide=0&loop=0&showinfo=0&rel=0&enablejsapi=0
Ciò che più mi stupisce di Mohamed, è il tono con cui mi racconta il suo viaggio. Un tono distaccato, tranquillo, quasi apatico, come se stesse parlando della trama di un film o della storia di un libro.
Quando Mohamed mi ha raccontato del suo viaggio, sembra che quel Mohamed, in quel racconto di mare e di notti, sia vissuto solo lì, come le pagine di un diario che una volta chiuso non verrà mai più riaperto.
Provo ad interpretare quelle parole come se le ascoltassi da un telegiornale, con tono distaccato come il suo, ma non riesco a farlo ed il freddo mi resta addosso come quei vestiti bagnati… Spero invece che il diario di M. venga riaperto, che venga data voce a quelle parole distanti, apatiche e che un giorno lui trovi la forza di raccontare la sua storia come ha fatto con me, per avvicinarsi alle persone e renderle consapevoli di cosa accade a pochi kilometri da loro…
Dott. Dario Maggipinto
Riceve su appuntamento a Chieti
(+39) 334 9428501
Per approfondire:
Comunicazione interculturale e diversità – Claudio Baraldi, 2003, Carrocci editore, Roma;
Società multietniche e multiculturalismo – Vincenzo Ceraseo, 2004, VitaePensiero Editore;
La voce dei bambini d’Africa – Autori vari – Terredimezzo editore – 1999