Il Tatuaggio. Storie incise sulla pelle
Il bagnasciuga in estate è una passerella dove sfila la variopinta diversità dei bagnanti: corpi armoniosi che sembrano aver passato l’inverno in preparazione di quel preciso istante si alternano ad altri che sembrano esser stati sorpresi all’improvviso dall’arrivo dell’estate; tintarelle omogenee color caramello si alternano al rosso peperone degli incauti ed al bianco che riflette la luce del sole dei non habituè; bikini all’ultima moda, retrò, sportivi, interi, comodi o improvvisati, slip o boxer secondo la propria corrente di pensiero, sono gli unici “abiti” che permettono all’uomo di coprire la sua nudità. O forse no.
L’osservatore attento potrebbe aver notato nell’ultimo decennio un cambiamento all’interno di una scena che potrebbe altrimenti essere la stessa (con le varianti della moda del momento) in una qualsiasi spiaggia italiana dai primi del novecento a questa parte.
Negli ultimi anni infatti qualcosa si è aggiunto al solo costume da bagno, qualcosa di cui l’uomo non riesce a liberarsi neppure sotto la doccia, qualcosa che permette all’uomo di “personalizzare” un corpo altrimenti come tanti, qualcosa che orna e veste ma che allo stesso tempo lascia intravedere ciò che c’è sotto, qualcosa che permette all’uomo di comunicare un messaggio forte e chiaro su chi è, o di attrarre la curiosità altrui attraverso un linguaggio simbolico, esotico o criptato: il tatuaggio.
La pratica del tatuaggio risale in realtà almeno al 3300 / 3100 avanti Cristo, epoca alla quale appartiene la celebre mummia del Similaun, rinvenuta nel 1991 sulle Alpi Venoste, al confine tra l’Italia e l’Austria. Il corpo di quest’esemplare di sesso maschile, è considerato il primo essere umano tatuato di cui si abbia conoscenza. Sul suo corpo si trovano più di 50 tatuaggi, situati nei punti in cui gli esami radiologici hanno evidenziato una forma di artrite. Sembrerebbe quindi che questi disegni avessero una funzione curativa, simbolica, catartica, la funzione di sottolineare i punti di debolezza di un uomo, valorizzandoli e rendendoli punti di forza, in quanto monito di una vulnerabilità sottostante.
Anche oggi i tatuaggi svolgono questa funzione: pensiamo a quelle persone che si tatuano addosso un simbolo o una data, che rappresenta un evento importante nella loro vita e che ha la funzione di ricordargli ciò che hanno passato. Ci si può tatuare per celebrare un successo, un traguardo, una data importante, come una laurea o la nascita di un figlio, ed in questo caso il tatuaggio ha la funzione di ricordarci dove siamo riusciti ad arrivare. Allo stesso modo, possiamo tatuarci qualcosa che ci ricordi una persona o un evento doloroso, o tatuarci in un punto del corpo che è stato danneggiato. In questo caso ci tatuiamo per sottolineare da dove veniamo e a cosa siamo riusciti a sopravvivere, così da avere una cicatrice come promemoria proprio qui, nel nostro corpo che è sempre con noi, per i momenti di sconforto e difficoltà.
Un’altra funzione dei tatuaggi è quella di lanciare agli altri, al mondo, un chiaro messaggio di appartenenza ed identificazione: io sono così, credo in questo. Così come nelle tribù si usava e si usa tatuarsi il simbolo che le rappresenta, oggi le persone si tatuano addosso il simbolo della squadra del cuore, l’iniziale del partner, il volto di un santo protettore, si fanno un tatuaggio gemello con un fratello o un amico che si considera tale. Questo per comunicare agli altri, ed ancor prima a noi stessi, chi siamo, in cosa ed in chi ci identifichiamo e crediamo. Esistono vere e proprie teorie che si sono sviluppate a partire da questo concetto. Ad esempio, nel mondo criminale, come ci spiega magistralmente Nicolai Lilin nei suoi scritti, esiste un codice altamente strutturato e complesso di tatuarsi per comunicare messaggi ben precisi rispetto alla propria provenienza, alle proprie “opere”, al proprio ruolo.
Talvolta il messaggio che lanciamo al mondo è rivolto a “palati fini”, a pochi eletti. È un messaggio criptato che presuppone che l’altro possegga la chiave per decodificare ciò che vogliamo comunicare. Sono quei tatuaggi scritti in cambogiano, giapponese, arabo. Oppure quei disegni che nascondono al loro interno iniziali, parole. Oppure ancora simboli, che rimandano ad un significato chiaro e strutturato. In questo caso il tatuato vuole comunicare qualcosa al mondo, ma seleziona accuratamente i destinatari del suo messaggio.
Anche la scelta del punto nel corpo in cui ci tatuiamo è centrale nel messaggio che vogliamo mandare: ci sono tatuaggi ben visibili anche quando siamo vestiti, ci sono tatuaggi che sveliamo man mano che ci scopriamo, ed altri che sono riservati solo a noi stessi e pochi intimi scelti.
Ci si può certo tatuare anche per ornamento, per trasgressione, per moda. Spesso questi tatuaggi però, così come quelli in cui ci si tatua l’iniziale di un partner con cui si è chiusa una relazione, sono tatuaggi che ci stufano e che vogliamo cancellare quanto prima, perché in fondo, in entrambe i casi, il motivo che ci ha spinto a farli è “passato di moda”. Si è sviluppata quindi nella realtà odierna una tendenza a modificare i tatuaggi scomodi per renderli qualcos’altro, o cancellarli del tutto, sottoponendosi quindi ad estenuanti interventi non poco dolorosi e dispendiosi, in termini di tempo e di denaro.
Ma perché il tatuaggio, pur essendo una pratica così antica, si è diffuso a macchia d’olio soprattutto nell’ultimo decennio? Perché, se oggi ci dovessimo trovare a passeggiare sul bagnasciuga, ci troveremo a fantasticare sul cosa significa il codice a barre tatutato sulla schiena del tizio che sta camminando davanti a noi, sul cosa vuol dire quella scritta forse in giapponese sulla schiena della ragazza al suo fianco, scritta che sembra continuare anche in luoghi che a noi non sono concessi vedere, sul chi è il “Filippo” inciso dietro al collo della ragazza che sta giocando a racchettoni sulla riva, sul cosa è successo il “20 aprile 2000” nella vita del signore dell’ombrellone accanto, tanto da volerselo tatuare al posto di un bracciale….
Il tatuaggio è una storia incisa e raccontata sulla nostra pelle. La pelle, che è ciò che separa quello che sta dentro di noi, la nostra storia, le nostre esperienze, ciò che pensiamo, ciò in cui crediamo, chi amiamo, chi siamo, dal mondo esterno. La pelle, che è una membrana permeabile tra il nostro dentro ed il nostro fuori. La pelle, che racchiude un corpo, come tutti gli altri corpi eppure diverso, che ci è stato dato in maniera sovraordinata, ma sul quale abbiamo la possibilità di raccontare la nostra storia, personalizzarlo, renderlo e sentirlo nostro. Forse proprio per questo, in un’epoca che esalta l’individualismo e l’unicità dell’uomo, ed allo tempo frustra il suo raggiungimento spingendolo verso l’omologazione, la scelta del proprio corpo come luogo primario del processo di individuazione potrebbe spiegare il perché questo fenomeno antichissimo sia oggi così ampiamente diffuso.
Dott. ssa Giulia Radi
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Per approfondire:
Sviluppo affettivo e ambiente (Winnicott, D.W., 1965)
Sotto la pelle. Psicoanalisi delle modificazioni corporee (Lemma A., 2011)
Educazione Siberiana (Lilin N., 2009)
Storie sulla pelle (Lilin N., 2012)
Film “Educazione Siberiana” (Salvatores G., 2013)