Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/
“E come se stessi leggendo un libro… è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro gli spazi tra le parole sono quasi infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora. È un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero. Ti amo tantissimo. Ma ora sono qui, e ora sono questa, e devi lasciarmi andare, per quanto io lo voglia, non posso più vivere nel tuo libro.”
Questo discorso è tratto dal film Her di Spike Jonze del 2013. A parlare è Samantha, intelligenza artificiale, di cui si innamora il protagonista Theodore. Nel film queste parole coincidono con un addio, ma non è questo l’aspetto, in fin dei conti non determinante, sul quale vorrei soffermarmi. La vera forza di queste parole sta nella consapevolezza che Samantha acquisisce di se stessa, lo scoprire un proprio nuovo modo di essere, di desiderare. Si riconosce come una “persona” nuova, con caratteristiche diverse emerse durante e grazie la relazione, non conosciute fin dall’inizio. Questo, inequivocabilmente, genera una crisi, una frattura, un’inevitabile frustrazione che per essere accolta, generando un cambiamento, ha bisogno di essere lasciata andare. Questo è il punto che più mi piace del discorso: lasciare andare la frustrazione.
Déjame vivir Libre como las palomas Que anidan en mi ventana Mi compañía cada vez que tú te vas cada vez que tú te vas
Déjame vivir Libre Libre como el aire Me enseñaste a volar Y ahora me cortas las alas
Y volver a ser yo mismo Y que tú vuelvas a ser tú Libre Libre como el aire
Déjame vivir Libre pero a mi manera Y volver a respirar De ese aire que me vuelve a la vida Pero a mi manera Pero a mi manera
Y volver a ser yo mismo Y que tú vuelvas a ser tú Libre Pero a tu manera
Y volver a ser yo mismo Y que tú vuelvas a ser tú Libre (libre) Libre como el aire
Lasciami vivere Libera Come le farfalle Che si appoggiano sulla mia finestra La mia compagnia Ogni volta che te ne vai Lasciami vivere Libero Libero come laria
Mi hai insegnato a volare E ora Mi tagli le ali E tornare ad essere me stesso Che tu torni a essere te stessa Libera Libera come laria Lasciami vivere Libera Ma a modo mio E respirare di nuovo Questaria Che mi faccia ritornare alla vita Ma a modo mio Ed essere di nuovo me stesso E tu sarai di nuovo te stessa Libera
Ma a modo tuo Ed essere di nuovo me stesso E tu sarai di nuovo te stessa Libera Libera come laria
Con un gran frullo d’ali dal campo, spaventati, i passerotti in frotta al nido son rivolati.
Raccontano ora al nonno la terribile avventura: “C’era un uomo! Ci ha fatto una bella paura.
Peccato per quei chicchi sepolti appena ieri. Ma con quell’uomo… Ah, nonno, scappavi anche tu, se c’eri.
Grande grande, grosso grosso, un cappellaccio in testa, stava li certamente per farci la festa…”. “E che faceva?”. “Niente. Che mai doveva fare? Con quelle braccia larghe era brutto da guardare!”.
“Non lavorava?”. “O via, te l’abbiamo già detto. Stava ritto tra i solchi con aria di dispetto…”.
“Uno spaventapasseri, ecco cos’era, allora! Non sapevate che non è un uomo chi non lavora?”.
Un potente stregone, con l’intento di distruggere un regno, versò una pozione magica nel pozzo dove bevevano tutti i sudditi. Chiunque avesse toccato quell’acqua, sarebbe diventato matto.
Il mattino seguente l’intera popolazione andò al pozzo per bere. Tutti impazzirono, tranne il re, che possedeva un pozzo privato per sé e per la famiglia, al quale lo stregone non era riuscito ad arrivare. Preoccupato, il sovrano tentò di esercitare la propria autorità sulla popolazione, promulgando una serie di leggi per la sicurezza e la salute pubblica. I poliziotti e gli ispettori, che avevano bevuto l’acqua avvelenata, trovarono assurde le decisioni reali e decisero di non rispettarle.
Quando gli abitanti del regno appresero il testo del decreto, si convinsero che il sovrano fosse impazzito, e che pertanto ordinasse cose prive di senso. Urlando si recarono al castello chiedendo l’abdicazione. Disperato, il re si dichiarò pronto a lasciare il trono, ma la regina glielo impedì, suggerendogli: – Andiamo alla fonte, e beviamo quell’acqua. In tal modo saremo uguali a loro -. E così fecero: il re e la regina bevvero l’acqua della follia e presero immediatamente a dire cose prive di senso. Nel frattempo, i sudditi si pentirono: adesso che il re dimostrava tanta saggezza, perché non consentirgli di continuare a governare?
“ Immaginate una pentola piena d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce bollita.Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Il principio della “rana bollita” è stato usato dal filosofo Noam Chomsky per indicare l’attitudine dei popoli ad adattarsi e accettare situazioni sfavorevoli, negative e opprimenti. Viene usato specialmente in sociologia per descrivere alcune dinamiche di potere, soprattutto moderne, nelle quali vengono cambiate le regole della società, procedendo per step, facendo abituare lentamente le masse anche a conseguenze avverse e sfavorevoli.
“Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto ad una rana che si trovava lì accanto. Così, con voce dolce e suadente, le disse: “Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull’altra sponda.” La rana gli rispose “Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!” “E per quale motivo dovrei farlo?” incalzò lo scorpione “Se ti pungessi, tu moriresti ed io, non sapendo nuotare, annegherei!” La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua. A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’ospite il perché del gesto. “Perché sono uno scorpione…” rispose lui “E’ la mia natura!”
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