Sull’alcolismo
Aggrappàti a un sorso in più

Fine maggio. Un’altra calda e intensa giornata era ormai tramontata. Così, col sole alle loro spalle, Barbara e Paolo – cresciuti insieme e amici per la pelle da oltre un ventennio – si accingevano a prepararsi per il lungo sabato sera che li attendeva. Prima una frugale cenetta a tu per tu, poi giù in piazza per una bevuta con l’intero gruppo, ed infine tutti insieme a fare quattro salti in discoteca, fino alle prime luci dell’alba. Era un bel giovane uomo, il timido Paolo. L’animo gentile, il cuore pulito e tutte le donne del mondo ai suoi piedi. Eppure, c’era in lui qualcosa d’inafferrabile, una scomoda quanto ingestibile parte che faceva il suo ingresso solo nel buio della notte, quando immerso nel clima danzereccio e goliardico generale perdeva pian piano ogni tipo di freno, diventando fumoso e fastidioso tanto quanto le luci accecanti e stroboscopiche dei suoi amati locali. Ogni festino che si rispettasse diveniva teatro di quella sua reversibile e spaventosa trasformazione: via via che l’alcol  andava giù, a fiumi, lui si faceva sempre più pedante, rumoroso. Litigioso.

Era spesso proprio Barbara che armata di pazienza doveva trascinarlo via dal locale, ormai in procinto di chiudere. A nulla valevano gli scongiuri prima imploranti e poi più decisi della donna: imperterrito, continuava a chiedere insistentemente all’imbarazzato barman un altro drink. L’ultimo. In quei momenti, Paolo non era più Paolo. Ma alla volta di casa, sulla strada del ritorno, era tutto un blaterale confuso e arrabbiato contro l’amica. E mentre il nuovo giorno volgeva all’orizzonte, Paolo finiva con l’addormentarsi ormai sfinito sul sedile dell’auto di lei.

Nella nostra cultura, si è sempre guardato al consumo di bevande alcoliche come ad un rituale che possiede in sé l’elemento della convivialità a cui si unisce il grande potere aggregante – dall’individuo, alla famiglia, fino ai gruppi più estesi – nelle più svariate situazioni di festa: eppure, tale spirito di fondo del consumo è ormai  divenuto per noi tutti così consolidato, da rendersi il principale responsabile della scarsa percezione soggettiva della pericolosità connessa all’assunzione alcolica, avendo tutto ciò assottigliato notevolmente la linea di demarcazione fra un consumo semplicemente sociale ed un consumo francamente rischioso.

L’alcolismo è considerato un disturbo dalla genesi complessa, che contempla in sé l’idea della multifattorialità e che pertanto intreccia e coinvolge fra loro componenti di origine biologica, psichica, famigliare, socio – culturale. 

Per dipendenza alcolica s’intende una modalità patologica di uso di una sostanza, al punto che essa produce menomazione e/o disagio clinicamente significativi sul piano personale e/o sociale. Alla luce di questo appare fondamentale tracciare subito un distinguo fra la nozione di dipendenza e quella di abuso: in quest’ultimo, nonostante un uso smodato della sostanza psicoattiva, non vengono tuttavia soddisfatti i criteri per la diagnosi di dipendenza. Pertanto, vi sono alcune condizioni esclusive riscontrate nella sola dipendenza da alcol: 1.la presenza di tolleranza alla sostanza assunta 2.la presenza di sintomi astinenziali successivi ad un’interruzione repentina ovvero ad una riduzione consistente della sostanza alcolica. Nella dipendenza, a presentarsi abbastanza tipicamente sono i tremori agli arti superiori, specie al mattino, circostanza che in qualche modo funge al bevitore da giustificazione all’assunzione di piccole quote etiliche mattutine (“segno del bicchiere mattutino”) così che esse possano ristabilire i livelli alcolemici originari, abbassatisi nella notte. Nell’alcolista, il desiderio dell’assunzione si fa persistente e la persona investe ingenti quantitativi di tempo per dedicarsi a tutto ciò che si associ alla sostanza: dal reperimento dell’alcol, passando attraverso la sua assunzione fino allo smaltimento dei suoi effetti, cosa che implica la conseguente compromissione di una o più aree significative – lavorativa, familiare, sociale-  nella vita del soggetto bevitore.

Un rapporto del 2011 del Ministero della Salute ci fornisce dati pressoché allarmanti a riguardo, indicando nel consumo dannoso di alcol la terza causa al mondo di malattia e morte prematura. L’Europa è in assoluto l’area più preoccupante del Pianeta e l’Italia in special modo, ormai in rotta di collisione col vecchio modello di assunzione mediterraneo, pare sempre più orientata ad omologarsi a quello nordeuropeo, dai contorni decisamente più preoccupanti: questa flessione è connotata dall’assunzione di drink e super alcolici specie fuori pasto, cui si associano un incremento del consumo alcolico giovanile e femminile. Ma quali saranno le ragioni nascoste di questo male? Tentando di entrare oltre la descrizione di superficie, notiamo come spesso, nel consumatore alcolico abituale, sia rintracciabile un familiare a sua volta coinvolto in problemi pregressi o mai del tutto risolti di dipendenza alcolica e che sovente uno o ambo i genitori si sono resi responsabili verso il figlio di un’assenza sul piano fisico e/o emotivo: ciò ha condotto il futuro alcolista, a coltivare dentro di sé un costante e profondo bisogno di dipendenza. Ma essendogli venuto a mancare  un  modello  solido  con  cui  potersi  poi identificare, L’Io della persona  bevitrice  è  divenuto  un  Io  pieno  d’invisibili “buchi”, che tenta

costantemente di colmare proprio attraverso la disperata quanto massiccia assunzione etilica (per un approfondimento si rimanda all’articolo La dipendenza – Vuoti di vita da colmare). Appare evidente quanto questa privazione si sia precocemente annidata nella psiche del soggetto, essendo la dipendenza dal bere leggibile come una fissazione alla fase orale del suo sviluppo evolutivo: la persona è cioè rimasta come bloccata all’oralità infantile, e ha fatto della bocca il centro nevralgico di ogni gratificazione soggettiva più o meno immediata.

Pensare di poter stilare un profilo che delinei e uniformi rigidamente a scopi puramente diagnostici la personalità dell’alcolista sarebbe piuttosto riduttivo e fuorviante; è pur vero che i molteplici fattori intervenienti nell’ampia varietà di condotte alcoliche, tuttavia è comunque possibile individuare dei tratti spesso presenti nel soggetto alcolista, che ci permettano di tracciare cautamente alcuni elementi di base. Bassa autostima, meccanismi difensivi incentrati sulla negazione e la dissimulazione della dipendenza, tratti ansiosi preminenti, spiccata impulsività, bisogno di gratificazioni e difficoltà nel tollerare le frustrazioni, fragilità dell’Io e componenti depressive, sono aspetti che generalmente figurano nell’alcolista. A grandi linee, potremmo immaginare il consumo patologico di alcol come una pratica dell’individuo che lo attua, necessaria a mantenere uno (pseudo) equilibrio interno, in realtà assai precario. Gli individui particolarmente timorosi ed introversi possono faticare parecchio ad approcciarsi con l’altro significativo, finendo così col vivere le situazioni sociali più svariate con profondo disagio; ma l’alcol – agendo sui centri nervosi inibitori – assume un ruolo decisivo e disinibente per la persona più trattenuta, insicura e bloccata, tale da renderle finalmente più agevole ogni approccio sociale. Ciò avviene poiché l’assunzione alcolica, favorendo un netto abbassamento delle difese più rigide, induce in chi introduce la sostanza un effetto trasformativo reversibile, che si evince dal comportamento manifesto del bevitore, che ora vanta una percezione soggettiva di maggiore controllo situazionale. Questa disinibizione ad ampio raggio può altresì subire un effetto a cascata portando la persona alcol – dipendente a relazionarsi in modo fortemente auto – centrato e irruento, senza che vi si ravveda la benché minima ombra di un filtro che ne possa modulare la scarica emotiva: di contro, questa arriva a pretendere attenzioni costanti e totalizzanti dall’interlocutore e ad attuare comportamenti variamente estremizzati. Senza contare poi, che come contraltare, l’assunzione alcolica eccessiva, poiché estesa a tutte le situazioni che il soggetto ritiene di non poter gestire in via autonoma, produce un effetto – amplificazione sulla percezione negativa di sé. Chiuderei con la cruenta verità di questa citazione:

 “L’alcol è un veleno che uccide lentamente. Gli alcolizzati lo sanno, ma non hanno fretta. Chi ha fretta prende la droga”.

  (Manlio Cecovini, Dizionarietto di filosofia quotidiana, 2002)

Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti

Riceve su appuntamento a Larino (CB)
(+39) 327 8526673

cl.marafioti@hotmail.com

Per approfondire:

Gabbard G.O., Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007

Edwards G., Marshall E., Cook C. C., Diagnosi e trattamento dell’alcolismo. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000.

Tatarelli R., Psichiatria per problemi, Giovanni Fioriti Editori, Roma, 2006

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