Famiglia o scuola?
Il ping pong delle responsabilità educative
Sempre di più in questo ultimo periodo, in merito a vari argomenti ed eventi di cronaca, si va palesando una divisione in schieramenti opposti: trincerate dietro questioni educative divisive, la scuola da una parte e la famiglia dall’altra, si “fanno la guerra” nelle parole di insegnanti, genitori, studiosi e tecnici.
Qualche mese fa, Giuseppe Lavenia scriveva su Repubblica un articolo che, partendo da una riflessione sul femminicidio, sollecitava i genitori a “svegliarsi” rispetto all’educazione emotiva e sentimentale delle figlie e dei figli, senza pretendere che questa sia compito soltanto della scuola.
“Non possiamo giocare al rimpallo di responsabilità. L’educazione emotiva è un compito che coinvolge tutti: scuola, famiglia, società. E’ un appello alla responsabilità collettiva.[…]” scriveva.
In questo articolo proveremo ad indagare questa strada tortuosa, senza avere la presunzione di una verità assoluta, se non quella che rispetto all’Umano nulla è privo di sfumature e intersezioni.
Potremmo definire in termini specifici le istituzioni “Famiglia” e “Scuola” rispettivamente come Agenzie di socializzazione primaria e secondaria, e già questo potrebbe darci qualche spunto.
Per socializzazione si intende, in sintesi e genericamente, la trasmissione del patrimonio culturale alle nuove generazioni. Il ruolo della famiglia è quello di trasmettere queste informazioni fin dalla prima infanzia, occupandosi principalmente di quelle che sono definite competenze sociali di base.
La scuola, dal canto suo, si occuperà di “specializzare” quelle competenze.
Definito ciò è bene porre l’assunto che, tralasciando la formazione personale e/o professionale di chi mette al mondo un figlio o se ne prende cura, le competenze genitoriali differiscono da quelle degli insegnanti per il fatto che non si “studia” come diventare genitori.
Anzi, è bene specificare che il lavoro educativo familiare comincia prima che il nascituro venga al mondo ed è un lavoro, potremmo dire, preventivo: una “precauzione sociale”, come la definisce Francesco Boriani nel suo libro “A scuola di genitori”. Il clima familiare durante l’attesa, infatti, è un elemento importantissimo per l’equilibrio emotivo e psicologico della gestante:
“Ciò che risulta davvero importante, allora, e che va tenuto in seria considerazione, è il fatto che le emozioni provate dalla mamma possono modellare alla base i caratteri del temperamento del piccolo che seppur non è “nato” vive già nel grembo materno. In questo senso, l’educazione intesa in senso lato è già iniziata.”
Riprendiamo un concetto importante citato all’inizio, quello di responsabilità. Un concetto ampio che comprende due macro-aspetti: uno è il riflesso dell’agire del genitore sulla prole, e uno è la riconducibilità dell’agire della prole al genitore, una responsabilità questa sancita anche a livello giuridico, declinata in modo diverso – e nelle diverse età – per quanto concerne questioni civili, penali o amministrative.
Nel primo aspetto potremmo rintracciare ulteriori sfumature di responsabilità, non solo quindi un determinismo tra quanto fa la famiglia e la ripercussione pratica nella vita delle figlie e dei figli (si pensi anche al termine “responsabilità genitoriale”), ma anche una responsabilità delle azioni, delle parole e delle intenzioni della famiglia nella costruzione del sé e della propria percezione dell’individuo nel mondo.
“La mamma dorme. La nonna beve. Ride da sola mentre cuce poi mette l’ago in bocca e parla tra sé. […] Il bambino prende un bicchier d’acqua e beve. Si siede, scrive. Quando si annoia, prende un foglio di carta e lo spezzetta. […] La mamma dorme sempre, non sa niente. Passa così il pomeriggio prima che il buio tappi con la sua mano le finestre.[…] Poi d’un tratto la nonna cambia voce, s’inalbera per nulla, rovescia la sua sedia, la mamma non si sveglia. Il bambino sa che le pasticche sono forti, la tengono legata al sonno con catene grosse quanto quelle della navi che una volta vide al porto senza mai partire.[…] La nonna ormai è una furia […] gelosa del cane e del bambino, prende il collare e lo getta nell’occhio aperto della stufa.[…]
I compiti quest’oggi non si fanno, il bambino corre, abbaia come il cane, la casa grida, il bosco beve la sua corsa e lo fa entrare, il vento chiude il verde dietro le sue gambe, gli alberi si fanno attraversare. Il bosco per lui è sempre sveglio, il mondo scotta troppo per qualcuno.”
(I bambini si rompono facilmente, S. Vecchini)
Un’altra responsabilità enorme delle famiglie nel mondo interconnesso d’oggi è la sfida dell’educare alle tecnologie, all’utilizzo dei dispositivi non in modo spasmodico, ma funzionale e strumentale che non sfoci nel demonizzare. E unitamente a questo c’è la necessità di un’educazione alla “relazione digitale” (oltre che alla relazione interpersonale in genere): le famiglie sono quasi totalmente avulse dall’agorà digitale in cui i loro figli sono immersi e in cui si relazionano, non possono salvaguardarli totalmente.
L’unico strumento che hanno per farlo è educarli alla relazione con l’altr*, essere esempio di rispetto per il prossimo e per se stessi, per il proprio corpo e per la propria integrità, per ciò che si è e che si prova, per ciò che sono le altre e gli altri e ciò che provano. Quella che potremmo definire con Daniel Goleman un’educazione emotiva.
Ma è proprio da Goleman che possiamo agganciarci all’indagine iniziale di questo articolo.
L’ultimo capitolo del suo capolavoro si chiama proprio – pensate un po’ – “Insegnare a scuola le emozioni” ed è introdotto da una citazione di Erasmo illuminante a riguardo – e non solo: “La prima speranza di una nazione è riposta nella corretta educazione della sua gioventù”.
Goleman ci dice che è indispensabile educare alle emozioni fin dalla tenera età, a scuola. Anzi, questa è una responsabilità di cui essa è investita. Nella scuola a modello educazione emotiva (esistente e operante, ad esempio a San Francisco) i bambini indagano il loro sentire fin dall’appello nelle lezioni della Scienza del sé, raccontando agli altri con un numero da uno a dieci come si sentono.
Indagare le proprie emozioni, saperle riordinare e distinguere dentro di noi, è il primo passo per sentirsi veri protagonisti della propria vita. Questo ha inevitabilmente conseguenze sulle relazioni, sul modo di stare al mondo, sul futuro. Avere accanto una persona che sappia guidare in questo e che sappia ascoltare attivamente è tanto importante in famiglia quanto a scuola, è una responsabilità di tutt* con un impatto enorme sull’intera società.
E’ responsabilità della scuola, ad esempio, anche “vedere” e agire in favore dei cittadini di domani che abitano i suoi spazi. Agire mediante gli strumenti a sua disposizione, siano essi educativi siano essi segnalazioni, provvedimenti, denunce, ma anche sussidi, aiuti, sostegni ai nuclei più bisognosi. La scuola deve esporsi, perché ha un ruolo fondamentale nella protezione del singolo, che una volta uscito da quel cancello si disperderà tra la folla di adulti non visti. E questa è una responsabilità civile e sociale, che non smette di essere educativa nel suo significato più profondo, perché solo coltivando il benessere si potrà davvero raggiungere obiettivi didattici utili alla fioritura di un futuro su misura per ognuno. Questo crea fiducia nelle istituzioni, identificazione con ciò che è giusto. Questo è educare alla giustizia e alla giustezza. E non è forse anche compito della famiglia?
Potremmo andare avanti all’infinito, enumerare milioni di responsabilità educative.
Ma ciò che emerge è l’impossibilità di separare davvero nettamente queste responsabilità e ripartirle tra famiglia e scuola almeno dal momento in cui il piccolo cittadino approda in classe e quindi nella sua prima micro-società. L’unica vera formazione vincente è la stretta del Patto Educativo entro un rapporto di fiducia reciproca e l’abdicazione al trono da parte di entrambe, in nome di una forma sana di collaborazione per un obiettivo comune riconoscendosi un valore reciproco.
“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio.” (Antico proverbio nigeriano)
Dott.ssa Silvia Salusest
Educatrice a Roma
(+39) 3299838155
Email: salus.silvia@gmail.com
Per approfondire:
F. Boriani, A scuola di genitori. Linee guida per l’educazione dei nostri figli
D. Goleman, Intelligenza emotiva
T. Gordon, Insegnanti efficaci
S. Vecchini, I bambini si rompono facilmente
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Simone Gadet Malomou
Commuovente