Il Falso Sè. Sul sentimento di autenticità
Capita alle volte che il sentiero che conduce alla scoperta della propria vera essenza sia particolarmente impervio; lungo il tragitto possono trovarsi impedimenti di ogni genere e sorta, coi quali la persona è via via chiamata a confrontarsi. Per il bambino, a svolgere un ruolo centrale nella futura accettazione della realtà esterna e dei limiti che essa porta con se, è la madre, che lo fa attraverso il suo assecondare -rendendola reale- l’esperienza di onnipotenza del figlio, fornendogli così, nel gioco e con l’immaginazione, una base indispensabile a che gradualmente si compia il passaggio dalla dipendenza all’indipendenza. Durante il gioco, il bambino deve poter coltivare l’illusione della creazione dell’oggetto esterno: ma per far questo è necessario che la madre mostri nei suoi confronti una capacità di contenimento empatico (holding), tale da permettergli la piena espressione della sua essenza e di godere così dell’illusione della sua creazione. Una volta poste queste pre-condizioni di partenza, per il bambino sarà più semplice rinunciare pian piano all’idea onnipotente di aver creato da se il mondo esterno, modulandosi così alle reali esigenze da esso poste. Chiaramente, ciò avviene nel caso di una madre che sia stata “sufficientemente buona” e che non abbia invece anteposto, sostituendoli, i propri sottesi bisogni a quelli della sua creatura.
Quando ciò avviene, di contro, l’attuazione della vera indipendenza è fortemente compromessa, in quanto il bambino, avvertite le richieste tacite di chi si prende cura di lui (caregiver) vi si adegua; nel farlo, egli sacrifica quelle parti di se più libere e profonde al fine di soddisfare le aspettative di chi ama e di riceverne in cambio amore. Nel tempo, il bambino imparerà a con-fondersi coi bisogni più radicati dei suoi caregiver negando l’esistenza di parti più profonde di se e modellandole opportunamente in funzione dell’accoglimento dell’altro; così facendo, impedendo a se stesso di sperimentarsi in modo libero e autentico, rinuncerà all’intera gamma della sua affettività, che comprende anche la rabbia, la paura, l’invidia, l’impotenza e la gelosia, emozioni queste, che per essere vissute serenamente abbisognano però di uno spazio che le contenga e le comprenda insieme: pertanto, venendo a mancare quell’adulto dietro di se che gliene permetta la piena espressione, ecco che il bambino confina all’interno i suoi innumerevoli colori emotivi. Il prodotto di questo ambiente non facilitante e poco responsivo ai propri bisogni è il Falso Sè. Un Sè che prende vita e si struttura sulla base dello scarso contenimento genitoriale, specie di quello materno: è un Sè non autentico né spontaneo, ma finto e condiscendente, che in qualche modo resta costantemente sintonizzato sugli impliciti bisogni dei caregiver e che non ha avuto modo di sviluppare e consolidare un senso di continuità di se’: percependo l’ambiente come poco affidabile e minaccioso a causa della mancata mediazione materna, il bambino per difendersi da un contatto più reale e profondo con l’altro metterà in campo il Falso Sè, così da proteggere e conservare quello Vero, pur sempre presente, che in questo contesto, laddove esposto, rischierebbe l’annientamento. Egli ha imparato ad aderire costantemente ad un Sè costruito su misura, così da poter adempiere nel migliore dei modi alle richieste ambientali e continuare a “stare al mondo”: ovviamente, il prezzo da pagare per quel bambino sarà la mancata acquisizione di un sentimento di realtà; egli non si percepisce né si sente “reale”. E proprio in nome di quel sentimento di realtà che vuole affermarsi prepotentemente, può accadere che la persona tenti di liberarsi del proprio Falso Sè sostituendosi a tanta finzione, nonostante questo possa “funzionare” adeguatamente e possa paradossalmente meglio rispondere agli standard di desiderabilità sociale, tanto da essere considerato ”lui”, quello autentico. Va da se che, maggiore sarà lo spazio occupato dal Falso Sè nell’intera personalità, altrettanta sarà l’incombente minaccia di annientamento a cui è esposto quello Vero.
E’ esattamente questa sensazione di irrealtà che verrà portata nella stanza d’analisi dal futuro adulto di domani, alla disperata ricerca della sua autenticità.
Posto che ad essere analizzabile è solo il Vero Sè, il terapeuta dovrà dapprima creare uno spazio adeguato, che sia accogliente verso l’ambiente interiorizzato dal paziente, di modo che egli possa ivi depositare il suo Falso Sè e, una volta che sia finalmente entrato in contatto con le sue parti più vere e vitali, riscontrare finalmente l’evidenza che è possibile esprimere nella loro interezza i propri sentimenti più vivi, senza che ciò produca necessariamente fatti irreparabili. Grazie alla presenza rassicurante e contenitiva del terapeuta, il paziente può diventare finalmente un bambino realmente immaturo ed estremamente dipendente dal primo, ma anche scoprirsi, per la prima volta, autentico.
Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti
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Per approfondire:
Winnicott D. W. Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 2003
AA. VV. Il pensiero di D.W. Winnicott, Armando Editore, Roma, 1982