Nei panni dell’Altro
Il teatro come strumento sociale ed educativo

“Se noi riuscissimo a metterci nei panni degli altri, tanto da sentire gli altri come fossimo noi, non

avremmo più bisogno di regole, di leggi.” Così Elio Germano cita l’anarchico russo Kropotkin, e

poi aggiunge: “Per questo bisognerebbe fare teatro nelle scuole.”

Il teatro è da sempre fenomeno umano, fin dalle sue forme più rudimentali nella ritualità dei popoli

primitivi, nei riti religiosi, ma anche nella vita di ognuno dalla più tenera età con il gioco simbolico.

D’altronde to play significa giocare, ma anche recitare.

Il teatro, inteso come gioco serissimo, può essere infatti un alleato privilegiato nel lavoro educativo

con tutte le fasce d’età, mantenendo l’obiettivo finale sempre lo stesso: incoraggiare la prosocialità

e sviluppare empatia, elementi imprescindibili di una società giusta e fondata sulla solidarietà.

Per raggiungere questi obiettivi sempre è necessario mantenere i focus attivi su se stessi (e perciò

dell’altro, in un lavoro di gruppo) indagando i canali principali dell’espressione: Corpo, Voce ed

Emozione. Questi canali diventano quindi strumento di indagine del Sé e dell’Altr*, delle

dinamiche che nascono ed evolvono nel Noi, dell’osservazione e la conoscenza di un Loro che non

si risolva nella distanza né nella cieca assimilazione delle differenze, ma che sia comprensione,

rispetto delle diversità ed accoglienza.

“Un teatro non può giustificare la sua esistenza se non è cosciente della sua missione sociale.”

(Eugenio Barba)

Proprio Eugenio Barba parlando di nuove necessità e applicazioni del teatro, ne definì nel 1976 un

altro tipo, non necessariamente in opposizione agli altri, ma come superamento di essi in virtù di un

bisogno nuovo dell’umano e di quell’umanità che del teatro aveva fatto la sua vita.

Questo “nuovo” teatro venne chiamato Terzo Teatro, e raccoglie tutti quei gruppi che si pongono su

un piano diverso dall’accademismo, ma non sono – dice Barba – dilettanti.

Il taglio di indagine cambia, perché l’uomo cambia all’interno di una società mutevole essa stessa.

Si cita a tal riguardo l’ultimo passaggio del Manifesto del Terzo Teatro, scritto da Barba stesso:

“Non si può sognare soltanto al futuro, attendendo un mutamento totale che sembra allontanarsi a

ogni passo che facciamo, e che intanto lascia tutti gli alibi, i compromessi, l’impotenza dell’attesa.

Si desidera che subito una nuova cellula si formi, ma non ci si vuole isolare in essa.

Questo paradosso è il Terzo Teatro: immergersi, come gruppo, nel cerchio della finzione per trovare

il coraggio di non fingere.”

Il teatro di Barba e di chi intraprese questa strada era un teatro d’avanguardia, sperimentale, un

teatro che richiede all’attore e al pubblico di mettere in gioco se stess* con la propria esistenza, e

diventa un fatto comunitario che coinvolge tutt* sopra e sotto il palcoscenico abbattendo le pareti.

Come Barba, prima di lui a Jerzy Grotowski (suo maestro) o Peter Brook può essere ricondotta in

un certo senso la paternità di un teatro che oggi possiamo definire educativo.

Con Grotowski infatti si recupera la dimensione comunitaria e del teatro-rito.

Secondo questa concezione l’attore fa dono di sé nell’atto di recitare istituendo una comunità

spirituale con lo spettatore. Ed è possibile far esistere il teatro spogliandolo di tutto, costumi,

trucchi, uno spazio separato…

Per Brook inoltre non si necessita di null’altro perché avvenga il teatro, che di qualcuno che

attraversi lo spazio e qualcun altro che lo osservi.

Questi sono solo alcuni degli spunti possibili per un teatro applicabile all’educazione, e questo

proprio per la versatilità di questo strumento, utilizzabile in vari contesti sociali ed educativi, con

bambini ed adulti, anche in situazione di difficoltà.

Basti pensare al Teatro dell’Oppresso (Teatro do Oprimido) di August Boal. Un tipo di teatro nato

in Brasile, progettato per non-attori, ma per comunità o persone che vivono in situazione di

oppressione. Questo teatro ha come obiettivo la sensibilizzazione, il pensiero critico, la presa di

coscienza e il cambiamento sociale e politico. Nella messa in scena è coinvolto anche il pubblico,

perché non sia solo spettatore, ma spett-attore, in quanto parte dell’agire e dell’aspetto trasformativo

della performance.

Suggerimenti e applicazioni pratiche:

Nel teatro educativo con i bambini del nido e della materna, ma anche delle prime classi della

primaria può essere utilizzato uno schema ripetuto che “circoscriva” l’esperienza senza limitarla.

L’idea infatti è quella, al contrario, di creare uno spazio di possibilità che faccia perno

sull’immaginazione del bambino, ma anche sulla sua necessità di concretezza. A tal proposito si

può delimitare uno spazio (se non si ha la possibilità di cercarne uno alternativo ad esempio alla

classe, se si fa teatro a scuola) perché all’interno di questo spazio si compia la magia.

A questo proposito si recupera l’importanza del rituale (di apertura e chiusura) che può essere una

canzone, una camminata immaginativa verso il mondo del teatro in cui saltare gli ostacoli,

camminare in punta di piedi…

Con i più piccini poi può essere un gancio “delegare” le regole, le attività e i giochi ad un aiutante

“magico” che abbia più credibilità di noi educatori teatrali: il burattino come co-educatore.

Con la sua voce buffa e i suoi modi iperbolici il burattino conquisterà molto facilmente l’attenzione

dei piccoli spett-attori.

Altro sussidio imprescindibile o quasi, quando si tratta di teatro con i più piccoli è l’albo illustrato,

come strumento e spunto per le attività, le quali indagheranno sempre – modulate in base all’età –

Corpo Voce ed Emozione.

Nel teatro educativo con i pre-adolescenti e gli adolescenti sarà importante invece agganciare la loro

forza creativa: può essere importante per loro avere la possibilità di pensare, scrivere e mettere in

scena una storia o un copione pensato da solo, che racconti o parli in un certo senso dei loro vissuti,

le loro emozioni, le loro paure. Il consiglio è sempre quello di “asciugare” il più possibile, perché

resti l’essenza. All’interno di un mondo e una società fatti di eccessi, materialità e oggetti, il teatro

ci dà la possibilità di essere e fare senza necessariamente avere. Ci concede il privilegio di

immaginarci altr* da chi siamo, per poterci conoscere realmente, sperimentandoci e allenandoci per

poter comprendere chi abbiamo davanti. Questo ci insegna a rispettare tutt* in un’ottica di

uguaglianza, intesa come valorizzazione delle differenze.

“Il teatro ha un significato solo se ci permette di trascendere la nostra visione stereotipata, i nostri livelli di giudizio, non tanto per fare qualcosa fine a se stessa ma per verificare la realtà e, avendo rinunciato già a tutte le finzioni di ogni giorno, in uno stato totalmente inerme, svelare, donare, scoprire noi stessi”

(Per un teatro povero, Jerzy Grotowski)

Dott.ssa Silvia Salusest

Educatrice a Roma

(+39) 3299838155

Email: salus.silvia@gmail.com

Per Approfondire:

Per un teatro povero – Jerzy Grotowski

Lo spazio vuoto – Peter Brook

La canoa di carta – Eugenio Barba

benessere, consapevolezza, educazione, relazione, relazioni, socialità, società, teatro, teatro educativo

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