“Piccola Anima” quanto sei forte! Una lettura psicologica di un amore che fa male
I numerosi fatti di cronaca trattano, spesso, di violenza all’interno del rapporto di coppia: “Lei lo ha sempre perdonato!”, “Era una tragedia annunciata”, “l’amava troppo”. Queste le frasi che sentiamo spesso ripetere ai telegiornali, nei programmi televisivi dedicati, nei video divulgativi presenti sui social. Nasce quindi, l’esigenza di interrogarsi su cosa porti la donna a scegliere l’uomo violento costruendo con lui un legame affettivo. In risposta a tale domanda, in questo articolo, prenderemo spunto dalla canzone “Piccola Anima” di Ermal Meta ed Elisa.
La canzone, infatti, sembra essere un invito alla riflessione sul tema psicologico della dipendenza affettiva, che è qualcosa di nocivo che logora la persona fino ad annullarsi accettando, a volte, violenza fisica e psicologica dal maltrattante.
«Piccola anima
La luce dei lampioni ti accompagna a casa
Innamorata e sola
Quell’uomo infame non ti ha mai capita
Sai che a respirare non si fa fatica
È l’amore che ti tiene in vita»
Da questi versi si evince come la donna venga definita “innamorata e sola” in una relazione presumibilmente “tossica” ignara del fatto che è proprio l’amore sano a dare vita.
Dal punto di vista psicologico, Jacques Lacan, psicoanalista post-freudiano, sostiene che la donna trovi la sua realizzazione nella capacità di amare. In tal senso la donna, ha molta affinità con il discorso amoroso, riesce quindi ad entrare meglio nel campo dell’amore: si rivolge all’uomo cercando qualcosa che possa aiutarla a definire il suo essere. Cosa può dare senso all’essere se non l’amore? Il problema nasce quando questa definizione viene fatta dipendere totalmente dal partner.
Quando si parla di amore, il discorso diventa molto complesso: per quanto si tenti di darne una definizione, ogni donna cercherà di dare una risposta a partire dalla sua interpretazione dell’amore che, non giunge improvvisamente, ma si costruisce sin dall’infanzia.
La domanda inconscia che la “donna bambina” si pone è: come devo essere per non perdere il tuo amore? e rispondendosi a questa domanda pone le basi per la sua personale definizione di amore.
Sono molteplici le risposte, fortunatamente molte di queste sono sane e prevedono lo sviluppo di un’idea di amore vero e la costruzione di relazioni appaganti. In queste righe tratteremo dell’amore dannoso caratterizzato dalla dipendenza affettiva.
Quindi la donna che definiamo, in questo caso, dipendente tenderà a non amarsi, a non vedersi, ad annullarsi pur di mantenere la relazione amorosa, ma se i presupposti sono questi, cosa la spinge ad innamorarsi del partner maltrattante?
Questi uomini mostrano di avere un sapere su quello che una donna desidera o presume di desiderare: iper-attenzioni, iper-presenza, regali continui, grandi sorprese, sono solo alcuni degli atteggiamenti messi in atto che rassicurano profondamente la donna. Dietro questi iniziali comportamenti dell’uomo si cela una forma di controllo che permette l’annullamento delle differenze nella relazione e si genera una simbiosi che, inizialmente, può illudere al vero amore rivelandosi poi un potenziale esplosivo. Un aiuto importante che si può offrire alla donna “dipendente” è darle la possibilità di consapevolizzare le sue dinamiche, ma cosa potrà accadere in seguito alla conclusione dell’amore malato?
«Piccola anima
Che fuggi come se
Fossi un passero
Spaventato a morte
Qualcuno è qui per te
Se guardi bene cel’hai di fronte
Fugge anche lui per non dover scappare
Se guardi bene ti sto di fronte
Se parli piano ti sento forte»
Questi versi ci suggeriscono come la risposta alla domanda che ci siamo posti sia una donna che, spaventata, fugge dalla possibilità di essere amata.
In conclusione è importante ricordare come “piccola anima” rimandi all’idea di un’anima fragile, vulnerabile, ma degna di un amore vero, immenso e puro:
«Camminare fa passare ogni tristezza
Ti va di passeggiare insieme?
Meriti del mondo ogni sua bellezza
Dicono che non c’è niente di più fragile di una promessa
Ed io non te ne farò nemmeno una»
Dott.ssa Antonella Di Paola
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