La madre. Una morbida danza fra assenza e presenza

Oggi vi parlerò di madri. Ma di madri un po’ diverse da quelle idealmente tratteggiate sui libri di lettura per bambini e dai colori pastello. Per far questo ho bisogno però di usare tinte assai più forti e decise, di evidenziare i chiaroscuri, di metterne in risalto sia le luci che le ombre e ciò perché la maternità porta con sé un insieme di vissuti ambivalenti che discendono dalla complessità che un’esperienza trasformativa simile possiede. Tale circostanza porta la donna ad essere spesso “vittima” (suo malgrado) di scontri titanici fra forze interne a sé opposte e all’apparenza del tutto inconciliabili e questo proprio perché quella donna al suo interno è anche e comunque madre. O sarà invece che il conflitto discende dal suo essere, adesso, prima di tutto madre e solo dopo, forse, (anche) donna? E qui arrivo al punto. Recalcati – fra i più noti psicoanalisti lacaniani del nostro Paese –  ci illustra egregiamente l’affascinante quanto tortuoso viaggio verso la maternità, puntando in special modo sulle sue declinazioni patologiche, figlie della sempre più frequente impossibilità di coniugazione dei due ruoli: quello di donna e quello di madre.

Facendo un rapido salto all’indietro osserviamo come nell’ideologia patriarcale, la donna che si apprestava ad acquisire il suo nuovo status di madre, veniva automaticamente scorporata dalla sua essenza più intimamente legata alla femminilità, un po’come se il risultato ultimo della maternità dovesse necessariamente coincidere con la mortificazione e l’eclissi della donna, ora fagocitata dal e nel suo (unico) ruolo di madre, finendo così col sacrificare inevitabilmente la donna che era in lei. Per rendere visivamente l’idea di questa alterazione del materno potremmo impiegare l’immagine, di richiamo lacaniano, della mamma – coccodrillo: la madre – che ha inglobato la donna che è in lei – divora con le sue fauci il proprio figlio, da cui viene a sua volta divorata. Oggi, di contro, si assiste ad un andamento inverso, tanto che in parecchi casi rintracciare la madre nella donna appare arduo come non mai: ed è in questi aspetti sempre più dilaganti che si annidano le patologie narcisistiche della maternità, qui vissuta dalla donna come una sorta di fardello che impedisce l’espressione più pura della componente femminile.

Se per Recalcati la maternità è da vedersi come il tentativo ben riuscito di tenere insieme in modo funzionale la donna e la madre, senza che l’una venga inesorabilmente risucchiata dall’altra e nell’altra, è pur vero che una delle tendenze crescenti cui più si assiste – perfetta testimonianza dell’esistenza di una patologia nella relazione madre-figlio – è quella della madre che finisce con l’essere “tutta madre”. Una madre, questa, la cui presenza è presente al punto tale da impedire al figlio l’accesso all’area del gioco, che qui non trova alcuno spazio creativo da occupare; difatti, è proprio il tempo del gioco che permette al bambino di elaborare l’assenza della madre attraverso una messa in scena creativa, che simbolizzi quella stessa assenza. Chiaramente, la “madre tutta madre” è una madre che toglie il respiro, che soffoca il proprio figlio e che lo allontana dalla soluzione salvifica attuata attraverso il gioco, poiché finisce col non concedergli uno spazio vuoto da riempire, avendolo già tutto saturato con la sua ingombrante presenza.

Una presenza sempre presente, invece, deve essere “bucata” dall’assenza, che, lungi dall’essere intesa come un’assenza materna abbandonica e traumatica, è invece un assenza che sostiene, che sorregge e non lascia cadere. Che salva il bambino e la sua psiche. Ma tutto ciò può trovare la sua più proficua attuazione solo grazie alla donna che è dentro la madre, donna, questa, che sembra rispondere all’idea di madre sufficientemente buona secondo la visione di Recalcati: per essere tale, la madre non deve cioè essere “tutta madre”, ma una madre bucata dalla donna, che pertanto non abbia esaurito il suo essere femmina nella sola maternità. Questa “alterità” che Recalcati contempla, suggerisce e descrive, si traduce altresì in un morbido fluttuare fra assenza e presenza, in un movimento fluido fra il dentro e il fuori da cui si genera uno spazio in cui il bambino impara da sé che il mondo della madre non si esaurisce in lui e con lui, ma che esiste un altrove in cui la madre estende il suo essere donna: sia esso il proprio lavoro, l’amore, un qualsiasi hobby o una passione poco importa; conta solo che ci sia un luogo-altro verso cui la donna protenda, portando con sé il suo desiderio. 

E’ forse in questo dono generoso dell’assenza che rende liberi, l’essenza dell’eredità materna? Probabilmente l’aspetto più profondo che una madre può tramandare ad un figlio sta proprio qui: nel suo non esaurirsi tutta entro la dimensione materna, dentro a quel moto che la conduce verso un altrove.

Dott. ssa Carmela Lucia Marafioti

Riceve su appuntamento a Larino (CB)
(+39) 327 8526673

cl.marafioti@hotmail.com

Per approfondire:

 

Recalcati M., Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli Editore, Milano, 2015

Winnicott D., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 1976

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