Il lutto. Della morte e di altre perdite.
L’orologio sulla parete segna le 2:25 di una delle mie solite notti insonni. Eccomi qui, la mente attiva e io già in piedi. Accendo il telefono così da scorrere le notizie dell’ultima ora dalla mia applicazione…ma basta un attimo, ed ecco che scelgo il dirottamento repentino, quasi una sorta di automatismo ormai acquisito; così, il mio dito va per aprire la mia pagina Facebook. Leggo e non leggo, guardo e non guardo. Mi chiedo di che cosa mai io sia in cerca. A quell’ora del mattino poi. Tutt’a un tratto resto gelata davanti ad un post di Federico Zampaglione, voce dei Tiromancino.
Federico dice di esser sconvolto da una notizia appena appresa: la morte di Pino Daniele. Morte. Di Pino Daniele. Resto pietrificata per qualche istante, sino a quando, senza quasi accorgermene, viene fuori un deciso: “No, non è vero. Non può essere. Lui no!”.
A quel punto mi adopero per capire se si tratti o meno dell’ennesima bufala lanciata sul web. Della notizia, nessuna traccia. Tutto tace, da SkyTg24 all’Ansa, passando per il Tg5 notte. Eppure, sui social, la notizia continua a diffondersi velocemente, centinaia i commenti sgomenti e attoniti tanto quanto me; fino a quando scopro che Ramazzotti, amico fraterno del cantautore, aveva lanciato per primo la bomba dal suo Instagram. E lì inizio a convincermene. “Allora…è vero!”. In un attimo vedo scorrere tutta insieme la mia beata adolescenza, in sottofondo quella voce nera e inconfondibile, quasi un falsetto naturale, dolce sussurro per le mie orecchie.
Lui, che era stato colonna sonora dei miei anni migliori, adesso, non c’era più. Puff. “Che perdita” …ho pensato fra me e me. Era da un po’ che mi chiedevo in che modo vi avrei condotto al tema del lutto. Non è mai semplice parlare di morte: attorno ad essa vigono quesiti e credenze senza tempo, angoscia e pudore, quasi una sorta di timore reverenziale verso quest’angelo oscuro e dal fare impietoso. Così, ad aiutarmi nell’impresa è intervenuta mio malgrado la perdita recente di un – passatemi il termine – patrimonio immateriale collettivo. Credo che il modo migliore per esorcizzare ciò che più ci desta terrore sia semplicemente parlarne. Pertanto vi parlerò del lutto e di altri lutti e di quel sentimento di perdita che ad esso si accompagna. Freud descrive bene quella sensazione per cui, di fronte ad una perdita, sia essa reale o simbolica, il mondo appare come impoverito: se quella sensazione di vuoto resti confinata al solo mondo esterno o se essa, di contro, vada estendendosi anche a quello interno, dipende molto da quel che interviene nell’elaborazione della perdita medesima. Normalmente, vi sono situazioni inquadrabili come lutti, che seguono un iter per così dire “fisiologico”, in cui, dinanzi ad una perdita reale, ad esempio la morte di una persona amata, come reazione, ad essere svuotato di senso è il mondo esterno al soggetto. Si riscontra qui una condizione generale di inibizione e limitazione che si estende ad ogni attività: l’umore della persona colpita dal lutto è profondamente depresso e questi, con la dipartita del suo oggetto d’amore, ha perso altresì la capacità di sceglierne uno nuovo, al quale poter destinare le proprie attenzioni; la tendenza al ritiro da quello stesso mondo, verso il quale perderà temporaneamente ogni forma d’interesse, ha in sé una sua logica e ciò in quanto l’Io è interamente impegnato a mobilitare le sue energie tutte, nell’elaborazione della perdita del suo oggetto d’amore; così, per un po’, nessun’altro investimento sarà contemplato, tale è il dispendio di tempo e d’energia psichica, elementi entrambi necessari a promuovere e a portare a compimento il lavoro del lutto. Alla fine, l’esame di realtà ha la meglio sull’oggetto d’amore perduto, ormai inesistente, a cui viene sottratto ogni esiguo investimento, così da rendere l’Io finalmente libero di volare verso altre mete. Tuttavia, in condizioni meno favorevoli, tale elaborazione si fa più tortuosa e gli elementi di ambivalenza insiti nell’oggetto d’amore, la cui perdita può esser tanto reale quanto ideale, rendono il distacco dall’oggetto assai più conflittuale, prolungandone a oltranza il legame, al punto che se nella situazione luttuosa normale è il mondo esterno ad apparire come vuoto ed impoverito, in quella melanconica è l’Io stesso a percepirsi come tale: la fine di un amore ne offre un valido esempio.
In tal caso, per effetto della delusione o offesa proveniente dalla persona amata, chi la subisce, anziché privare questa del suo investimento originario spostandolo su altri oggetti d’amore, lo riconduce interamente su di sé: così, l’Io si identifica totalmente con l’oggetto d’amore perduto, cioè, per effetto di tale spostamento massiccio d’energia, l’Io diviene esso stesso l’oggetto d’amore, perduto, il che spiega la sensazione di impoverimento e svuotamento di sé subìta dall’Io in condizioni melanconiche. Ecco, è esattamente quel perder-si, quel restare rigidamente impantanati dentro ad una relazione a cui psichicamente non s’intende rinunciare, che impedisce all’Io di trovare nuova linfa vitale e reinvestirla altrove, una volta sradicata dal vecchio oggetto d’amore.
Dott. ssa Carmela Lucia Marafioti
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Per approfondire:
Freud S. Metapsicologia, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2006.
“Interiors”, film di Woody Allen, 1978, USA.