Cortocircuiti. Lasciare andare la frustrazione
“E come se stessi leggendo un libro… è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro gli spazi tra le parole sono quasi infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora. È un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero. Ti amo tantissimo. Ma ora sono qui, e ora sono questa, e devi lasciarmi andare, per quanto io lo voglia, non posso più vivere nel tuo libro.”
Questo discorso è tratto dal film Her di Spike Jonze del 2013. A parlare è Samantha, intelligenza artificiale, di cui si innamora il protagonista Theodore. Nel film queste parole coincidono con un addio, ma non è questo l’aspetto, in fin dei conti non determinante, sul quale vorrei soffermarmi. La vera forza di queste parole sta nella consapevolezza che Samantha acquisisce di se stessa, lo scoprire un proprio nuovo modo di essere, di desiderare. Si riconosce come una “persona” nuova, con caratteristiche diverse emerse durante e grazie la relazione, non conosciute fin dall’inizio. Questo, inequivocabilmente, genera una crisi, una frattura, un’inevitabile frustrazione che per essere accolta, generando un cambiamento, ha bisogno di essere lasciata andare. Questo è il punto che più mi piace del discorso: lasciare andare la frustrazione.
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